7
           Warehouse421, spazio culturale fondato nel 2015 dalla Salama bint Hamdan Al Nahyan Foundation ad Abu Dhabi. Visitatore.

NOTE

1
Il Ministero della Cultura e dell’Informazione dell’Emirato di Sharjah è stato istituito nel 1981.
2
A pochi anni da questa iniziativa, nel 1998, la città di Sharjah conquista la nomina da parte
dell’UNESCO di capitale culturale del mondo arabo.
3
La principessa Sheikha Hoor Al Qasimi, classe 1980, è la direttrice della Fondazione Sharjah.
Laureatasi alla London’s Slade School of Fine Art (2002) e specializzata in curatela di arte
contemporanea al Royal College of Art (2005), dichiara di aver tratto ispirazione per la
realizzazione del suo progetto espositivo dalla XI Documenta di Kassel, curata da Okwui
Enwezor, noto critico d’arte nigeriano, curatore della recente Biennale di Venezia. Nello stesso
anno in cui Al Qasimi viene nominata curatore del Padiglione Nazionale degli Emirati Arabi, alla
56° Biennale di Venezia (2015), il nome della principessa spicca al 48° posto della Power 100,
la classifica delle personalità più influenti nel mondo dell’arte contemporanea, redatta da Art
Review.
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Una delle iniziative più importanti lanciate dalla sceicca Manal bint Mohammed bin Rashid Al
Maktoum nell’ambito della fiera è il premio per i giovani artisti ‘New Signature Competition’.

5
Il lavoro presenta cinque interviste girate tra Dubai & Abu Dhabi, nel 2009, con alcune delle figure
chiave per lo sviluppo del panorama culturale degli UAE (il Direttore della Examination Directorate
del Ministero della Cultura UAE: Dr. Aref Al- Sheik; il Manager di progetti ed eventi presso la Culture
& Arts Authority di Dubai: Mishaal Al Gergawi; il consulente del Ministero degli Affari presidenziali e
interprete del presidente HH Sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan (il secondo reale più ricco al
mondo) Dr. Zaki Anwar Nusseibeh; il responsabile per la garanzia dei piani e delle politiche del Abu
Dhabi Tourism Development & Investment Company (TDIC) e supervisore dei principali piani di
sviluppo in Abu Dhabi tra cui Saadiyat Island: Lee Tabler; il Sultan Sooud Al-Qassemi uomo d’affari
residente a Sharjah, fondatore di Barjeel Securities Dubai, presidente del UAE Chapter of Young
Arab Leaders, editorialista e blogger.
6
La Salama bint Hamdan Al Nahyan Foundation è la stessa Fondazione che commissiona i progetti
allestiti nel Padiglione Arabo alla Biennale di Venezia cui fa capo la sceicca Salama bint Hamdan Al

Nahyan, sposa dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e
Vice Comandante Supremo delle Forze Armate degli Emirati Arabi Uniti e figlio di Zayed bin Sultan
Al Nahyan, primo presidente degli Emirati Arabi Uniti e governatore di Abu Dhabi.

7
Come si può leggere sul web (http://www.ilpost.it/2013/04/17/louvre-abu-dhabi/) “Il Louvre Abu
Dhabi, il museo – a forma di astronave, o fungo atomico in esplosione, o medusa galleggiante sul
mare – è stato progettato dall’architetto francese Jean Nouvel, si estenderà su una superficie di
24.000 metri quadri, con una cupola di 180 metri di diametro e con un costo di costruzione stimato
tra 83 e 108 milioni di euro. Secondo il progetto, avrà in prestito le opere di alcuni musei francesi –
300 nel primo anno, 250 dal quarto anno e 200 dal settimo al decimo anno – e per quindici anni la
Francia fornirà annualmente quattro mostre. Infine aiuterà il museo a creare una raccolta che andrà
progressivamente a sostituire le opere dei francesi con una collezione propria. Gli Emirati Arabi
Uniti, a loro volta, si sono impegnati a versare circa 700 milioni di euro in trent’anni, di cui
beneficeranno i soci del Louvre (che è di proprietà pubblica per due terzi) e altri musei che
partecipano all’operazione. Il Louvre Abu Dhabi insieme ad altri progetti museali apriranno i battenti
entro il 2020, l’anno in cui nella vicina Dubai si terrà L’Expo.
8
Come si può leggere sul web (https://www.hrw.org/report/2009/05/19/island-happiness/exploitation
migrant-workers-saadiyat-island-abu-dhabi) l’organizzazione per i diritti umani Human Rights
Watch ha documentato alcune violazioni dei diritti dei lavoratori migranti che lavorano al progetto nel
paese arabo. Nella sua relazione di maggio 2009, dal titolo «L’Isola della Felicità, sfruttamento dei

lavoratori migranti sulla Saadiyat Island, Abu Dhabi», scrive che i lavoratori immigrati (in
maggioranza indiani e bengalesi) vengono regolarmente ingannati dalle società di selezione nei loro
paesi d’origine, a cui pagherebbero cifre esorbitanti per la loro assunzione, con false promesse di
alti salari. Queste persone, oggi, si dichiarano prigioniere di un sistema di lavoro che non gli
permetterebbe di lasciare il cantiere senza, per questo, rischiare di essere deportati nei loro paesi
d’origine. I loro passaporti vengono confiscati dai datori di lavoro e non possono nemmeno avviare
una contrattazione, perché il diritto di sciopero non è riconosciuto negli Emirati Arabi Uniti.
L’organizzazione ha invitato diverse istituzioni internazionali con interessi a Saadiyat Island, tra cui il
Louvre, a convincere le autorità degli Emirati Arabi Uniti a rispettare gli standard internazionali dei
diritti dei lavoratori.

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http://www.domusweb.it/it/arte/2011/03/26/sharjah-10-intervista-a-jack-persekian.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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        Rashed Al Shashai, From the Skylight, 2016, stampa su foglio di cotone, 80×120 cm. L’opera si trovava nel 2016 presso la Ayyam Gallery nel DIFC – Dubai International Financial Centre, 312th Rd – Dubai. Il DIFC – Dubai International Financial Centre comprende un’area di quasi mezzo chilometro quadrato dove vige una legislazione finanziaria indipendente da quella del resto degli Emirati Arabi Uniti ed ospita un importante polo artistico grazie alla presenza di famose gallerie come Art Sawa, Ayyam Gallery, Brownbook, Cuadro fine art Gallery, Limestone House, Opera Gallery, RIRA Gallery, The Empty Quarter e Farjam Foundation.
6
         Veduta di Art Dubai 14 – 18 Marzo, 2016.

 

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  Faig Ahmed, Ranging, tappeto di lana artigianale, 145×195 cm., 2016. L’opera si trovava nel 2016 presso la Cuadro Gallerynel DIFC – Dubai   International    Financial Centre, 312th Rd – Dubai. Il DIFC – Dubai International Financial Centre comprende un’area di quasi mezzo chilometro quadrato dove vige una legislazione finanziaria indipendente da quella del resto degli Emirati Arabi Uniti e ospita un importante polo artistico grazie alla presenza di famose gallerie come Art Dubai, Art Sawa, Ayyam Gallery, Brownbook, Cuadro.

Luci ed ombre del sistema dell’arte contemporanea araba

 Eugenia Battisti

Per comprenderne le ragioni del tumultuoso sviluppo della scena artistica contemporanea negli Emirati Arabi è necessario individuare alcune delle tappe che hanno segnato la nascita in quest’area di grandi istituzioni dedicate all’arte. Organizzata sotto l’egida del Ministero della Cultura e dell’Informazione dell’Emirato di Sharja1 con l’intento di promuovere, diffondere e valorizzare l’arte contemporanea Araba e del Medio Oriente la biennale d’arte più importante del territorio: la Biennale di Sharjah è sorta nel 1993.2 L’esposizione presenta nelle prime edizioni un taglio tradizionale e un respiro regionalistico. Un netto cambio di rotta si verifica con la VI edizione del 2003 sotto la nuova direzione della sceicca Hoor Al Qasimi, figlia del Sultan bin Mohammed al Qasimi.3 Da questa edizione per la prima volta si ospitano le più recenti pratiche artistiche quali: l’installazione, il video, la fotografia, la performance, la web e la digital art.

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  1. Mohammed Kazem, Measuring, 2015, scultura in acciaio inox, acrilico e luci a LED, 40×40×40 cm. Mohammed Kazem è un celebre artista emiratino che ha partecipato a numerose Biennali di Sharjah vincendo nel 2003 il primo premio per installazioni artistiche alla VI Biennale di Sharjah. Ha inoltre partecipato alla 56a Biennale di Venezia con una mostra personale presso il Padiglione Nazionale degli Emirati Arabi. Lo studio degli artisti: Mohammed Kazem e Cristiana de Marchi è situato nel quartiere di Al Quoz, ex zona industriale di Dubai adibita all’arte contemporanea in cui si trova l’Alserkal Avenue Galleries sede di gallerie e studi d’artista.

 

Negli anni a seguire la Biennale di Sharjah aumenta esponenzialmente di prestigio e viene eletta evento più ambizioso d’arte contemporanea mai realizzato nel Golfo Persico. Volgendo lo sguardo a Dubai scopriamo anche qui un’intensa attività d’investimento nel settore dell’industria culturale più avanzata. La casa d’aste Christie’s vi apre i battenti nel 2006, stesso anno in cui sboccia Art Dubai la principale fiera d’arte internazionale in Medio Oriente, Africa ed Asia meridionale. Inevitabile accorgersi del mecenatismo esercitato in quest’ambito dallo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum (il terzo reale più ricco al mondo, attuale Primo ministro e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti nonché governatore di Dubai) e dal Ladies Preview al cui vertice spicca la sceicca Manal bint Mohammed bin Rashid Al Maktoum, figlia maggiore del governatore di Dubai, moglie del giovane sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan e presidente del UAE Gender Balance Counsil nonché del Dubai Women Establishment.4 Il 2007 segna la nascita della fatidica “operazione Abu Dhabi” consistente nella progettazione e costruzione di grandi musei come il Louvre ed il Guggenheim che, insieme  ad altri progetti museali, apriranno entro il 2020, l’anno in cui nella vicina Dubai si terrà L’Expo.

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Asta Christie’s nella sede di Dubai (15-17 Marzo 2016) dedicata all’arte Moderna e Contemporanea Medio Orientale.

Il 2009 è l’anno del debutto ufficiale dell’arte contemporanea araba nel mondo europeo. Alla Biennale di Venezia inaugura il nuovo Padiglione nazionale degli Emirati Arabi curato dal giovane iraniano: Tridad Zolghadr. In quest’occasione gli artisti arabi invitati si avvalgono delle ultime tecnologie: quattro su cinque espongono un’opera fotografica o video (facciamo riferimento a Hassan Sharif, Lamya Hussain Gargash, Tarek Al-Ghoussein e Huda Saeed Saif). Una sala è interamente dedicata alla videoinstallazione: KIOSK: Nation Builders. Dubai/Abu Dhabi, UAE Pavilion prodotta dalla tedesca Hannah Hurtzig. Quest’ultimo lavoro è incentrato sul tema della memoria ed ospita le testimonianze degli uomini più potenti della scena culturale araba.5 Infine troviamo il progetto Archive: una serie di plastici architettonici rappresentanti le strutture dedicate alle arti negli UAE. Trattandosi del primo padiglione arabo veneziano la volontà curatoriale è dichiaratamente volta a rappresentare la storia e l’identità nazionale di un paese giovane. Il comun denominatore degli eventi espositivi analizzati è la presenza dilagante di un’ossessione collettiva, appartenente soprattutto all’ultima generazione araba, di storicizzare una cultura nascente, di scoprire e svelare i propri scenari culturali con l’ambizione di guardare al passato per porre una riflessione sul presente. L’attenzione per la memoria e l’identità storica del paese è abbastanza comprensibile se consideriamo la giovane età del continente in relazione al rapido sviluppo ed alla ricca presenza di etnie differenti al suo interno. Andando a riguardare le tematiche e le problematiche toccate nelle varie edizioni della Biennale di Sharjah affiorano questioni affini al tema della memoria e dell’identità. Nel caso della VII edizione del 2005, intitolata Belonging, il leitmotif espositivo torna insistentemente su domande relative l’appartenenza o non appartenenza territoriale e l’identità in un contesto di cambiamento globale. La IX edizione 2009, intitolata: Provisions For The Future. Past Of The Coming Days, inscena artisti che lavorano con concetti affini a quelli precedentemente citati quali: l’immigrazione, i viaggi, la narrazione, la fuga e l’esilio. Ricalcando un trend che anche nelle passate edizioni è andato per la maggiore ovvero il rapporto con la storia, la XII edizione della Biennale di Sharjah del 2015 s’ispira al filosofo Henri Lefebvre, come si può intuire dal suo titolo: The past, the present, the possibile.

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Hassan Hajjaj, Classic Saeeda, 2000, stampa a colori, 67 x 87 cm., opera venduta in occasione dell’Asta Christie’s nella sede di Dubai (15-17 Marzo 2016). Prezzo di partenza USD 12,000 venduta a USD 25,000.

 

Un programma affine incentrato sulla ricerca storica e sulla memoria è alla base di un recente ed interessante progetto espositivo promosso dalla Wharehouse 421. Warehouse421 è una nuova area culturale sorta nella zona del porto di Abu Dhabi di Mina Zayed, cui fa capo la Salama bint Hamdan Al Nahyan Foundation.6

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Warehouse421, spazio culturale fondato nel 2015 dalla Salama bint Hamdan Al Nahyan Foundation ad Abu Dhabi. Veduta dell’allestimento di alcune mostre presenti dal Novembre 2015 a 19 Marzo 2016: Mina Zayed: Through the Lens of Jack Burlot; 1:100 The Warehouse Reimagined; Lest We Forget: Emirati Family Photographs 1950-1999 (Foto di Francesca Fecoli).

 

 

La sua sede si trova all’interno di ex magazzini industriali, trasformati in luoghi di espressione artistica ed interamente dedicati alla comprensione ed allo sviluppo della comunità creativa degli Emirati Arabi Uniti. La mostra: Lets We Forget: Emirati Family Photographs 1950-1999 nasce da un progetto iniziato nel 2010 nel campus femminile di Zayed University: un archivio fotografico, messo a punto da alcune studentesse, dove si raccoglie materiale visivo amatoriale realizzato dalla prima generazione di cittadini degli Emirati durante la seconda metà del ventesimo secolo. Attraverso una serie di fotografie in bianco e nero, che coprono un arco temporale di oltre quarantanove anni, la mostra coadiuvata da un allestimento che vanta un apparato tecnologico avanzatissimo presenta una sorta di ricostruzione storica per immagini di un paesaggio in rapida evoluzione, in cui si svolge la vita privata delle famiglie degli Emirati durante i primi decenni di costruzione della regione. Non nascendo con lo scopo promozionale di stampo mediatico o ufficiale, l’insieme documentario si differenzia dall’immagine istituzionale e turistica del paese. Le immagini raccolte catturano un’atmosfera privata di una società assai conservatrice, mai mostrata in precedenza al pubblico.

Sebbene il mondo dell’arte contemporanea araba, assaporato anche a Dubai ed Abu Dhabi abbia dimostrato di cavalcare la cresta dell’onda e quasi inaspettatamente di voler conferire un ruolo di rilievo a figure femminili, bisogna ricordare alcuni episodi importanti che spiegano anche quale sia il sistema con cui si deve quotidianamente confrontare. Basta fare una ricerca più approfondita per imbatterci in alcuni episodi significativi che intaccano indelebilmente la fioritura artistica della regione. Pensiamo alla X Biennale di Sharjah, che apre i battenti nel 2011 l’anno cruciale della Primavera Araba. Nonostante i curatori dichiarino la loro imparzialità di fronte a tale momento, affermando nelle interviste di aver operato la selezione delle opere da mettere in mostra un anno prima dell’apertura, nel comunicato che accompagna l’esibizione spiccano parole quali: «insurrezione», «affermazione» e «tradimento» e al suo interno si scorge la presenza di numerose opere con forte contenuto politico. Il contrasto affiorato durante la biennale araba tra le tematiche emerse nei lavori artistici e le dichiarazioni dei curatori diventa più chiaro quando si scopre la censura applicata dallo sceicco, finanziatore della mostra, ad alcune opere ivi esposte. Ci riferiamo all’installazione realizzata dall’artista/giornalista Mustapha Benfodil, nota figura dissidente del panorama culturale algerino. L’installazione prevede manichini decapitati, posti su un fittizio campo da Football, vestiti con divise su cui sono trascritte brevi frasi. Illustrando il suo lavoro, l’artista Mustapha Benfodil spiega che le frasi, attinte dai testi sacri e stampate sulle magliette dei manichini, sono state usate da

alcuni estremisti religiosi algerini per giustificare i loro crimini. L’uso di tali espressioni è stato considerato irriverente e potenzialmente offensivo della morale; non è stato accettato dall’ambiente conservatore arabo. Altra opera censurata in questa edizione è quella del video artista armeno Melik Ohanian. Protagoniste del filmato sono le vite degli operai immigrati negli Emirati, provenienti da varie regioni tra cui Pakistan, India e Bangladesh. Essi estenuati da pesanti turni lavorativi appaiono segregati in campi di lavoro.

In concomitanza a quella sharjahna l’esposizione per il padiglione degli Emirati Arabi, all’interno dell’edizione veneziana dello stesso anno (2011) presenta un profilo completamente diverso, tanto che la stampa ha definito l’opera degli artisti invitati scarsamente impegnata ed estranea a qualsiasi ermeneutica della scena contemporanea esistente in UAE. Altro episodio di censura si verifica nel 2015: gli Emirati Arabi Uniti bloccano l’ingresso di due artisti: Walid Raad e Ashok Sukumaran Barred. Essi hanno parlato pubblicamente, anche se in modo pacifico e costruttivo, delle condizioni di lavoro nel Golfo, in particolare di quelle vissute dagli operai impiegati nella costruzione di grandi musei come il Louvre7 ed il Gugghenheim sull’isola di Saadiyat ad Abu Dhabi.8 L’effetto domino della censura si è ripercosso sulla produzione artistica del territorio provocando anche la “detronizzazione” del direttore artistico palestinese della Biennale del Sharjah: Jack Persekian, il quale l’ha diretta dal 2005 al 2011. Nell’intervista rilasciata a Massimiliano Gioni, Jack Persekian ha dichiarato:

“Uno dei principali problemi di questa regione è stata la volontà di impegnare grandi risorse per costruire edifici e immobili dedicati all’arte, piuttosto che alla produzione ed alla conoscenza effettiva dell’arte contemporanea”9

Nonostante lo sviluppo della scena contemporanea araba sia recente, grazie per lo più a generose iniziative personali, è munita di una fitta rete di strutture dedicate all’arte che vantano apparati tecnologici ed architettonici all’avanguardia. Come ha osservato l’ex direttore artistico della Biennale del Sharjah è evidente che il ritmo calzante dello sviluppo economico non abbia trovato un riscontro equivalente dal punto di vista culturale. Nel visitare le istituzioni dedicate all’arte di quest’area geografica ci si imbatte in scatole architettoniche di grande effetto avvolte da una veste accattivante, ma che presentano una comune problematica basilare ovvero la necessità di un potenziamento del loro stato contenutistico. Detto ciò possiamo concludere le nostre osservazioni volgendo lo sguardo in avanti e sollevando un interrogativo: l’operazione di acquisizione e trasferimento del patrimonio culturale occidentale in questo paese sarà sufficientemente efficace se non si lavora prima sulla sua crescita e apertura culturale interna?

 

 

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