Abbiamo dato ormai per assodato che il ruolo dell’arte è quello di problematizzare il reale, l’esistente, intromettersi nel quotidiano per reinterpretarlo, a volte persino glorificarlo, per poi scomparire, evaporare senza lasciare traccia. Abbiamo dato per scontato questo lavorio dell’arte, perché l’abbiamo sempre vista in un’ottica galleristica-museale-indipendente o comunque lontana dalla realtà vera, cioè quella realmente problematica. Del resto, abbiamo sostituito la socialità con la popolarità che è ben noto essere appannaggio di quel famoso uno su un milione. Addirittura, si è arrivati a pensare che l’estetica relazionale di Bourriaud comportasse un qualche effettivo coinvolgimento sociale. Negli anni ’70, quando si cercò di cambiare qualcosa, sembrò per un attimo che un nuovo sistema fosse all’orizzonte, che un nuovo codice fosse stato decifrato. Fu solo un abbaglio. Lo storico-utopico-quanto-mai-concreto Padiglione Italia alla Biennale del 1976 Ambiente come sociale, curato da Enrico Crispolti, presentava una nuova forma di alfabetizzazione culturale fatta di un’arte realmente in contatto con il suo ambiente. In quel padiglione l’opera artistica veniva tramutata in operatività ed il criterio di misurazione era la risposta nel sociale. Le pionieristiche operazioni, perché di questo si trattava, quali Volterra 73 e Gubbio 76, con i loro pregi e difetti, avevano aperto una via che repentinamente venne richiusa ed ora quei nuovi segni di alfabetizzazione sembrano come i graffiti di Lascaux: lontani secoli da noi. Il periodo che si è andato poi sviluppando, in particolare il decennio ’80, è stato, naturalmente con qualche eccezione come il collettivo Group Material, un continuo atto di dolore e di rifiuto. Successivamente, gli anni ’90 hanno rappresentato una sorta di limbo, costantemente combattuto tra un vero interesse verso il sociale ed una sua riappropriazione in chiave galleristica-espositiva. Sorvolando il fenomeno delle occupazioni come nuova esigenza, e a volte come nuovo trend dell’arte, si arriva ai tempi attuali ed alla Arte ùtil. Questo termine coniato dall’artista cubana Tania Bruguera (1968) si pone, così come la ripresa di un discorso interrotto per anni, con tutta la veemenza di un ricordo riemerso improvvisamente. L’Arte ùtil, che, tuttavia, nella traduzione inglese usefull art perde il senso fisico dell’operazione, è una pratica molto articolata e complessa e, allo stesso tempo, una risoluzione. Abbiamo problematizzato ed indagato il reale per così tanto tempo che ci siamo dimenticati la cosa più importante, ovvero le risposte. Ovviamente, dire che l’Arte ùtil è “soltanto” una risposta sarebbe oltremodo riduttivo. Iniziamo con il dire che una sua definizione, nel senso più stretto della parola, è complicata.

Tania Bruguera rappresenta per l’Arte ùtil quello che William James ha rappresentato per il Pragmatismo americano, ovvero il diffusore ed il coordinatore del movimento. La sua opera/operazione è molto delicata in quanto non si tratta solamente di inventare una nuova modalità artistica bensì di rintracciarne le radici e delinearne gli sviluppi futuri.

Del resto, è la stessa Bruguera la prima a lavorare in un’ottica sociale a lungo termine come dimostrano i suoi progetti Immigrant Movement International e Migrant People Party rivolti non tanto alla ricerca e alla creazione di una piattaforma comune su cui discutere la sempre più pressante questione del riconoscimento dello stato di migrante, ma quanto, piuttosto, ad un vero e proprio coinvolgimento e ad un’implementazione nel reale attraverso una pratica tanto sociale quanto politica. Il progetto Immigrant Movement rappresenta uno di quei lavori dell’artista che vanno rubricati sotto la voce long-term project. Questa operazione di stampo socio-politico rappresentata una sorta di “palestra” per Bruguera stessa, per testare l’efficacia e la praticità dell’arte ùtil. Immigrant Movement progettualmente concepito nel 2006 prevede un periodo di implementazione dal 2010 al 2015. Il quartier generale si trova nel quartiere multietnico di Corona nel Queens. Lo scopo del progetto è quello di stabilire una relazione con il quartiere attraverso workshops, azioni, eventi e collaborazioni con i servizi sociali, al fine di definire il concetto di immigrazione alla luce dei continui cambiamenti socio-politico-naturali che spingono ognuno di noi a diventare migrante.

Come detto precedentemente, problematizzare non è più abbastanza. Così Tania Bruguera unisce alla ricerca di un nuovo status per quella che sarà ben presto una condizione comune a tutti, un attivismo politico molto marcato che diventa esso stesso metro di giudizio di un’arte che vuole definirsi come utile. A spazzare via comunque le solite domande sulla legittimazione artistica di un progetto come ad esempio Immigrant Movement, ci pensa il Queens Museum of Art, sostenitore dell’intera operazione. Focalizzando ulteriormente l’attenzione verso il concetto di Arte ùtil, bisogna innanzitutto dire che è una questione totalmente aperta ed il modo migliore per conoscerne i principi è quello di partire dai criteri stilati dall’artista ed indicati sul sito dell’associazione Arte ùtil (http://arteutil.net/). Questi si dividono in otto punti: 1 proporre un nuovo uso dell’arte all’interno della società, 2 problematizzare/sfidare il settore in cui si opera (civile, legislativo, pedagogico, economico, ecc..) 3 essere time-specific, ovvero rispondere ad una determinata urgenza, 4 apportare un miglioramento all’interno di una situazione reale, 5 sostituire il concetto di autore con quello di iniziatore e quello di spettatore con quello di utilizzatore, 6 portare benefici, in senso pratico, per i suoi utilizzatori, 7 perseguire la sostenibilità, pur adattandosi alle mutevoli condizioni, 8 ristabilire l’estetica come un sistema di trasformazione.

Ognuno di questi punti aprirebbe una voragine teorica e rischierebbe di portare il tutto nuovamente nel mondo della pura speculazione e della problematizzazione a sé stante. Il modo migliore dunque per sciogliere i nodi che questi criteri creano è analizzarli attraverso un esempio, ancor meglio se l’esempio rientra nei casi studio selezionati dalla stessa Bruguera. L’esempio in questione è quello del collettivo austriaco WochenKlausur ed in particolare della loro azione Immigrant Labour Issue del 1995. Il gruppo si formò agli inizi degli anni 90 ed il loro primo progetto risale al 1993. Il nome deriva dalla metodologia lavorativa in quanto WochenKlausur, traducibile come settimana di clausura, si riferisce alla prima fase del progetto ovvero quella in cui i partecipanti si ritrovano per programmare e progettare l’intervento in un clima, per l’appunto, di clausura. Alla base di tutto, e questo giustifica e legittimizza le loro azioni all’interno del contesto artistico, c’è la chiamata da parte di un’istituzione artistica. Il periodo solitamente concesso ad un’esposizione viene usato dai WochenKlausur come momento di progettazione ed implementazione nel contesto sociale. Il nucleo centrale del gruppo è formato da otto membri tra i quali spicca Wolfgang Zinggl, non tanto per la sua formazione artistica quanto piuttosto per la sua attività politica come membro del partito dei verdi (Grunen). Infatti, il lato politico nelle azioni del collettivo è sempre ben marcato ed allo stesso tempo è assolutamente apartitico (seppur con una connotazione di fondo di sinistra) nel senso che le loro azioni non sono finalizzate alla propaganda politica né servono per incrementare l’attenzione mediatica sul partito. Grunen e WochenKlausur sono due elementi ben distinti ma la cosa interessante in questo è la formazione e la pratica politica/diplomatica nella definizione delle strategie del gruppo. Detto che i membri del collettivo ruotano ad ogni progetto e che la prassi è quella di collaborare con artisti ed operatori locali stanziati sui vari territori d’azione, la modalità con cui operano differisce dalla classica azione artistica nel sociale ed anche per questo possono rientrare nella definizione brugueriana. Una differenza fondamentale tra quella che può essere definita come autonomus art o arte indipendente e l’Arte ùtil sta proprio nel concetto di presentazione contro quello di rappresentazione. Un progetto ùtil non tende semplicemente a strutturare una situazione, bensì date le base comuni d’azione viene “donato” ad una comunità la quale ne sviluppa le successive modalità d’azione. C’è una differenza abbastanza netta tra un artista che decide di creare una performance di stampo politico ed un artista che invece dà gli strumenti per poter contrastare un sistema politico. In questo caso l’esempio di Hirschhorn e del suo Bataille monument (2002) è esemplare. L’artista lavorò con la comunità turca di Kassel non tanto alla creazione dell’opera, bensì alla sua messa in pratica. I partecipanti alla performance, e qui sta il divario abissale, vennero pagati come normali comparse e non diedero nessun contributo all’opera se non quello della mera presenza. Questo caso rappresenta solo uno dei tanti aspetti del (dis)impegno sociale di molti artisti, infatti, un conto è la partecipazione ed un altro è la presenza e questo dualismo è lo stesso che intercorre tra presentazione e rappresentazione. Tornando dunque al progetto dei WochenKlausur realizzato nel 1995 a Graz, possiamo ritrovare la maggior parte dei criteri dell’Arte ùtil. Anche qui, come in tutti gli altri casi, l’intervento nasce da una chiamata da parte di un ente culturale, nello specifico il festival Steirischer Herbst di Graz. Il problema che i WochenKalusur decisero di affrontare fu quello relativo alle condizioni lavorative di un gruppo di rifugiati di modo da poter garantire loro la permanenza in Austria. All’epoca dell’intervento, il Ministero degli Affari Sociali aveva già stabilito la quota massima di permessi di lavoro da concedere per quell’anno (1995). Così, per risolvere il problema, il collettivo austriaco decise di agire attraverso una scorciatoia legale. Le leggi austriache in materia di immigrazione allora prevedevano per gli artisti stranieri uno statuto diverso che non necessitava di un “normale” permesso di lavoro, ma che consisteva nel garantire la propria sussistenza attraverso il lavoro artistico. In poche parole, l’artista non aveva bisogno di un regolare permesso, ma doveva dimostrare di poter vivere grazie alla propria produzione artistica.

Alla luce di questa scappatoia legale, i sette rifugiati che parteciparono al progetto cambiarono il loro status da immigrati ad artisti attraverso la produzione di Sculture Sociali. I rifugiati/artisti, per lo più kurdi e bosniaci, iniziarono a lavorare al progetto intendendo la scultura sociale soprattutto come raccolta di materiali di primo soccorso. Il kurdo Hoshyar Mohiden iniziò a realizzare sculture sociali su commissione dell’agenzia pubblicitaria Croce & Wir, raccogliendo per un anno cibo per bambini da inviare poi alle città kurde di Dohuk, Erbil e Sulemanija. Sempre su questa stessa lunghezza d’onda altri rifugiati/artisti raccolsero vestiti per bambini e materiale scolastico da inviare in Bosnia, altri ancora ripararono biciclette per l’Associazione degli studenti dell’Università di Graz. Per garantire l’artisticità dell’intera operazione tutte le opere vennero esposte al pubblico in una mostra dal titolo Project Social Sculptor presentata all’interno del festival Steirischer Herbst del 1996. A dimostrazione della validità e soprattutto della utilità del progetto, nel 2006 la legge riguardo alla condizione degli artisti stranieri in Austria venne cambiata cancellando i privilegi fino a quel momento concessi avendo dimostrato la vulnerabilità di un sistema messo alle strette da un’azione “artistica”. Come detto, rileggendo il progetto alla luce dei criteri dell’Arte ùtil possiamo spiegarne i contenuti attraverso una sorta di teorizzazione pratica. Partiamo dal punto numero1: proporre un nuovo uso dell’arte all’interno della società. L’operazione dei WochenKlausur a Graz, rappresenta essenzialmente un nuovo utilizzo dell’arte all’interno della società, in quanto non tende ad operare con i mezzi ed i linguaggi propri dell’arte, per lo meno quelli che fin qui l’hanno sempre contraddistinta, bensì opta per uno spostamento di senso, non più incentrato sulla produzione egoistica/egotistica di un oggetto o di un comportamento, bensì sulla creazione partecipata alla risoluzione di un problema reale. Per reale qui si intende non solo un qualcosa di vero e storicamente dato, in fondo anche i quadri di Delacroix raccontavano della Rivoluzione Francese, bensì ciò che esce fuori dalla sfera del mondo artistico, una realtà intesa come ciò che non può essere presentato al di fuori della sua essenza e quindi non può essere rappresentato come altro all’infuori di sé. Questo scarto tra presentazione e rappresentazione fa sì che ciò che è stato portato dai WochenKlausur sia un nuovo utilizzo dell’arte.

Punto numero 2: problematizzare/sfidare il settore in cui si opera (civile, legislativo, pedagogico, economico, ecc..). Questo punto rappresenta per certi aspetti la cifra stilistica del gruppo austriaco. In questo caso poi è il perno sul quale ruota l’intero progetto. Essere intervenuti direttamente sulle legge in materia di immigrazione rappresenta una sfida (vinta) diretta all’apparato burocratico legislativo, e il cambio di ordinamento avvenuto nel 2006 non fa altro che sottolineare questo aspetto.

Punto numero 3: essere time-specific, ovvero rispondere ad una determinata urgenza. Anche questo aspetto rientra nella routine operativa dei WochenKlausur, forse è per questo che sono il miglior esempio di Arte ùtil, in quanto si trovano a rispondere direttamente ad un’urgenza più che mai specifica, prova ne è la presenza di rifugiati bosniaci durante il periodo della guerra nella ex Jugoslavia. Se da un lato, infatti, il problema del permesso di lavoro correlato poi a quello del soggiorno può essere considerato un problema senza tempo, la nazionalità dei rifugiati e la destinazione degli aiuti raccolti dimostra l’intervento in una determinata e specifica porzione di tempo storico come quella relativo al conflitto balcanico di inizi anni Novanta. Punto numero 4: apportare un miglioramento all’interno di una situazione reale. Anche questo punto è sotto gli occhi di tutti. La scappatoia legale ha fatto sì che i rifugiati potessero cambiare il loro status dando loro un lavoro e soprattutto una permanenza legale in Austria. Tra l’altro uno dei rifugiati/artisti si è sposato in Austria mentre altri due hanno ottenuto altre commissioni artistiche. Punto numero 5: sostituire il concetto di autore con quello di iniziatore e quello di spettatore con quello di utilizzatore. Già i Futuristi a loro tempo auspicavano un cambiamento del ruolo dello spettatore, non più passivo bensì inserito al centro della creazione artistica stessa. Riguardo all’autore quello che c’è di nuovo, e complicato, è la perdita autoriale dell’artista, o coma la definisce Maria Lind “l’etica della rinuncia autoriale”. L’artista, in questo caso i WochenKlausur, non è tale in conseguenza di una sua produzione, anzi tale aggettivazione non è più necessaria ai fini di un’arte che vuole essere ùtil(e) in quanto non serve un autore bensì un iniziatore, qualcuno in grado di generare, di iniziare un processo che verrà continuato da altri. I Superflex, gruppo artistico danese che può a buon diritto rientrare nella categoria dell’Arte ùtil, è impegnato da anni nella lotta al copyright inteso come barriera autoriale alla condivisione. Nel caso di Graz, i WochenKlausur hanno iniziato un percorso proseguito da altri, hanno tracciato le linee guide di un progetto del quale non conoscevano l’esatto sviluppo.

Punto numero 6: portare benefici, in senso pratico, per i suoi utilizzatori. Per coloro i quali si stessero chiedendo ancora, nonostante tutto, come misurare gli effetti di questo tipo di arte, la risposta è per l’appunto nel progetto di Graz in cui gli utilizzatori hanno potuto usufruire di un lavoro e di un conseguente permesso di soggiorno. Punto numero 7: perseguire la sostenibilità, pur adattandosi alle mutevoli condizioni. Le mutevoli condizioni sono alla base della sfida artistica alla società in questo caso i WochenKlausur le hanno sapute aggirare passando per il versante legislativo al fine di ottenere un pratico beneficio/risultato volto anche e soprattutto ad una ripetibilità futura, almeno fino al 2006, anno in cui la legge è stata modificata.

Punto numero 8: ristabilire l’estetica come un sistema di trasformazione. Fra tutti i punti forse questo è il più problematico e di gran lunga il meno “pratico”. Riguardo al concetto di estetica applicata all’Arte ùtil, Bruguera spesso usa il termine aest-ethics unendo così i valori dell’estetica alle ragioni dell’etica. Questo termine ibrido è decisamente più appropriato a questa tipologia di arte che fa dell’eticità dell’intervento uno dei suo punti focali. L’intervento/operazione per essere ùtil(e) infatti dev’essere anche etico e l’estetico dell’operazione risiede proprio in questo equilibrio che viene a crearsi tra la necessità d’intervento e la sua giusta posizione in una serie di valori. Il progetto di Graz è estetico, ed usa l’estetica come sistema di trasformazione, in quanto è eticamente ùtil(e).

Dall’alto:

Immigrant Movement International (IM International). Courtesy of Immigrant Movement International. Foto, IM International

Tania Bruguera, Immigrant Movement International, 2011 – 2015 Event #1: MAKE A MOVEMENT (Slogan Workshop), 3 Aprile 2011. Courtesy, Studio Bruguera and Immigrant Movement International. Foto, Ahram Jeon

Tania Bruguera, Tatlin Whisper # 6 (Havana version), 2009. Courtesy, Studio Bruguera

WochenKlausur, Immigrant Labour Issue, Graz, 1995. Courtesy WochenKlausur.

WochenKlausur, Immigrant Labour Issue, Graz, 1995. Courtesy WochenKlausur

WochenKlausur, Immigrant Labour Issue, Graz, 1995. Courtesy WochenKlausur