Gioia Pica: Maestro, quali sono state le motivazioni di fondo che l’hanno spinta a realizzare un’opera per Parco Canale Cardello? Quali sono i tratti comuni che La legano alla poetica del Parco?
Attilio Pierelli: Qualche anno fa è stata discussa una tesi alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Viterbo dalla dottoressa Paola Donato, la quale ha messo in luce, con grande sorpresa da parte mia, quanto nel mio lavoro vi sia un evidentissimo rapporto, quasi un’osmosi, con Fluxus. In effetti è assolutamente casuale che si sia verificata una tale coincidenza in questo senso. Credo che sia questo l’aspetto che, più di ogni altro, unisce Ambrosini e me e, credo, anche gli altri artisti presenti al Parco, anche se io mi sono dedicato più di ogni altro campo, alla geometria avanzata.

G. P.: In che modo l’evoluzione dei Suoi studi sull’Iperspazio, iniziati già a partire dagli anni Sessanta, ha cambiato la geometria delle Sue forme, per esempio in Monumento Inox 2001?
A. P.: Un punto di svolta nel mio percorso avvenne nel 1974. Fino ad allora avevo realizzato sculture con l’acciaio speculare da parete o verticali a tutto tondo, molto affascinanti, vendute ovunque, negli Stati Uniti, in Africa, Europa, Asia grazie all’ottima promozione della galleria L’obelisco con cui lavoravo. Devo riconoscere, però, in tutta onestà, che non sapevo esattamente cosa stessi facendo, quali geometrie stessi elaborando. Un giorno mi capitò sotto mano Spazio tempo universo, un testo del prof. Arcidiacono sugli Iperspazi. Ne rimasi fortemente impressionato, provai a cercare il suo numero sull’elenco, senza sapere neanche se fosse a Roma: fortunatamente era proprio a Roma. Gli telefonai subito ed ebbi concesso un appuntamento dopo un paio di giorni. Quando mi recai all’appuntamento, mi tenne una lezione stupenda sulla matematica, la geometria e la cosmologia che mi aprì il cervello su questi fenomeni scientifici. Dopo qualche tempo, venne a vedere il mio studio e mi parlò di geometrie non euclidee e Iperspazi. Mi disse che stavo già facendo esperimenti col non euclideo ma che nel campo dell’Iperspazio, cioè di qualunque spazio a più di tre dimensioni, non avrei potuto fare niente di nuovo rispetto ai geometri. Passò ancora un po’ di tempo, ritornò nel mio studio che allora era a Roma, e rimase colpito, poiché a differenza dei geometri, che nella rappresentazione dei solidi iperspaziali usavano materiali opachi come cartone, compensato etc., io usavo specchi di acciaio inossidabile con i quali sono avvenuti miracoli. Per esempio, nell’Ipercubo che rappresenta il secondo solido regolare dello spazio a quattro dimensioni, si nota che l’acciaio è trasparente, cioè da qualunque parte lo si osservi, si può vedere non solo la parte che ci sta di fronte, ma anche tutti i sei lati, compreso quello posteriore. E non è un’illusione ottica ma una visione multipla determinata dalla specularità dell’acciaio.

G. P.: La superficie specchiante dell’acciaio riflette, almeno parzialmente, il contesto ambientale naturale in cui l’opera è collocata. Ciò conferisce all’opera una connotazione ulteriore, rispetto, ad esempio, ad una sistemazione museale?
A. P.: Certo, si verifica questo fenomeno molto importante. Contrariamente alle sculture classiche, con tutta la riverenza che si può avere per chi ci ha preceduto, la mia opera differisce poiché diventa una macchina infernale, che non può mai trascurare né se stessa, né l’ambiente, né le persone che vi si riflettono. Infernale, perché non c’è scampo di fronte alle manifestazioni semplici, elementari, indistruttibili.
Il fruitore viene a essere complice dell’opera e fa parte dell’opera, la sua figura viene registrata, manomessa, esasperata.
Inoltre, un’opera collocata in un museo ripeterà sempre le figure del museo, all’aperto altre possibilità si aprono alla sua configurazione, che può variare al variare del tempo, del mare, della montagna. La scultura diventa l’ambiente e l’ambiente entra nella scultura.

G. P.: Due lastre flessibili, sensibili al vento, vibranti in superficie compongono Monumento Inox 2001. Mi sembra che anche questo elemento compositivo concorra ad accentuare il carattere interlocutorio dell’opera…
A. P.: Certo. Oltretutto i due elementi che lo compongono, nel mio modo di rappresentare, si riferiscono all’amore. Difficilmente un solo elemento può includere questo sentimento dell’uomo. Quando due elementi sono messi insieme evocano amore, compagnia, solidarietà, in tutti i sensi.

G. P.: Fino a che punto la Natura, intesa come esistenza pre-storica, partecipa alla genesi delle Sue opere? Vi è una coincidenza di intenti tra la proiezione verso la quarta dimensione e il recupero di una condizione originaria, anteriore ad ogni strutturazione? Possono essere le medesime motivazioni a spingere verso un futuro inaccessibile ai sensi o, all’opposto, un passato sconosciuto alla memoria?
A. P.: Quando ho fatto l’Ipercubo ho avuto un senso di terrore perché ho usato lo stesso modello per costruire una chiesa. Fin da ragazzino avevo sentito parlare dell’Apocalisse, mi dicevano che il mondo sarebbe durato mille anni o poco più. Credevo che fosse capitato a me di essere l’artefice dell’elemento che si avvera, di dover rappresentare disegni, scopi e fine di un certo esperimento della natura di cui si parla nella religione cristiana e in quasi tutte le altre. In questo senso vi è trascendenza: la chiesa è un passaggio dalle tre alle quattro dimensioni, è una trascendenza reale. C’è una frase nell’Apocalisse di Giovanni al versetto 21.16 quando parla della Gerusalemme celeste in cui si dice “la città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza (…) la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali”: era la descrizione puntuale del modello di chiesa che avevo realizzato. Su di me forse pesano la cosmologia e l’Apocalisse, ma posso dire, in coscienza, che ho sempre presente non solo il rapporto tecnico con l’acciaio, ma che ho sempre tentato di accumulare tutta la conoscenza che ho potuto; mi piaceva molto approfondire tutto ciò che concerne le conoscenze empiriche di cosmologia, filosofia, teologia dall’Egitto all’Ellade, ancor più straordinarie se si tiene conto del fatto che precedono il pensiero cosiddetto scientifico. Il Rinascimento poi ha segnato il passaggio dalle due alle tre dimensioni, mentre la ricerca sulle dimensioni superiori è in questo frangente.

Dall’alto:

A. Pierelli, Monumento Inox, 2001