Tra le mostre recenti di Luana Perilli: Souvenir d’Hopital, Reload-Prototipo d’intervento culturale urbano, ex officine automobilistiche, via Arcangelo Ghisleri 44, Roma (personale) – 2011; Omaggio a Graziella Lonardi Buontempo, a cura di/curated by C. Casorati, PAN – Palazzo delle Arti Napoli – 2011; Ente Comunale di Consumo, a cura di/curated by C. L. Pisano, Complesso del Vittoriano, Roma – 2011; Un PO d’arte – Paratissima 2011, finalists exhibition, varie sedi, San Salvario, Torino – 2011; Le scosse dell’arte per riabitare e guarire, a cura di/curated by M. Sconci, MU.SP.A.C.-Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, L’Aquila – 2011; GARAGEZERO a cura di/curated by F. Campagna, L. Canova, S. Lux, D. Maestosi, M. Pacella, N. Zanella, Via Treviri (parcheggio l.go Spartaco), Roma – 2011. Nel 2011 ha conseguito il 1° premio alla Biennale GiovaniMonza 2011 ed è stata finalista al 12° premio Cairo. In programma per settembre 2012 la personale romana da The Gallery Apart, che nel 2009 ha ospitato Manutenzione sentimentale della macchina celibe.

Roma. Lo sguardo sorridente di Shri Mataji Nirmala Devi (1923-2011), con il grande bindi rosso sulla fronte, si confonde sul ripiano dello scaffale tra i tanti dvd – La città, Dieci piccoli indiani, Hong Kong Express, Ginger e Fred… – e i libri. Significativa presenza quella di Flaiano con Autobiografia del Blu di Prussia e Diario degli errori, referente importante per Luana Perilli (Roma 1981), come del resto Pasolini, Duchamp, Calvino, Nauman, Bene, Perec, Vian, Wurm…

Una curiosa mescolanza regna in questo salotto del grande appartamento al quarto piano di un palazzo umbertino. Pavimenti e tappezzeria anni ’70, i volumi rossi dell’enciclopedia illustrata Conoscere della Fratelli Fabbri, un bicchiere di vetro pieno di pennelli, un martello, una confezione di bolle di sapone, i cactus… L’artista si è trasferita in questa casa, dove prima abitava la nonna materna, circa un anno fa. “Questo spazio ha per me anche un senso lavorativo.” – spiega – “Due miei video sono stati girati proprio all’interno di questa casa. Una pastiera per sei persone del 2005, quando ancora vi abitava mia nonna, che è un lavoro su di lei. Anche Sì dolce è il Tormento, in parte, è stato girato qui. In qualche modo questa è una casa in cui mi trovo ad abitare, ma non è né abitazione né studio. È un luogo della memoria privata e, paradossalmente, del mio lavoro. Perché ormai sono passati sei anni da quelle prime videoinstallazioni che feci al Pastificio Cerere. È un po’ un crocevia di tante mie storie personali. Intanto da sempre, per me, è stato un posto dove venire a nascondermi. Un luogo un po’ matriarcale. Ci abitava mia nonna e anche mia madre, quando era molto giovane e, quando sono nata, è stato il primo posto dove sono stata portata. Uno spazio che non mi interessa neutralizzare come studio, ma che mi permette di lavorare, proprio nella sua qualità di horror vacui, di stratificazione della memoria e anche degli oggetti. Molti oggetti c’erano, altri li ho portati io. Uno strano mélange anche del disordine della memoria”.

Fanno parte dello scenario anche alcune teche trasparenti di forme differenti, apparentemente vuote. Solo dopo un incontro ravvicinato svelano il loro contenuto imprevedibile: formiche. “Le ho sterminate fino a qualche anno fa, cercando di mandarle via da casa, adesso invece le compro!”.

Manuela De Leonardis: Quando sono entrata ascoltavi musica indiana. In giro, poi, c’è più di un’immagine di Shri Mataji…                                                             Luana Perilli: Shri Mataji è la mia guru. Ha viaggiato in tutto il mondo per insegnare la forma di yoga chiamato Sahaja Yoga o yoga spontaneo, che ancora viene praticato gratuitamente. Sono sempre stata molto affascinata dall’oriente più che dall’occidente, come percorso di auto miglioramento o, comunque, spirituale. Già alle scuole medie avevo chiesto a casa vari libri sul Buddha; andando avanti nell’adolescenza ho scoperto i Bhagavat Ghita, i Veda e altri testi della cultura indiana. Poi, intorno ai ventitré anni, mi sono stufata di leggere, rendendomi conto che accedevo ad una parte che, per quanto profonda, era sempre molto mentale. Cercai su internet “corso di yoga gratis Roma”. Così andai ad uno di quei primi incontri che mi piacque moltissimo, perché lo yoga è una forma di disciplina molto semplice, ma che permette di approfondire molti aspetti della vita e, soprattutto, di interrompere i pensieri. Questo, alla fine, è meditare. Poter sospendere è un lusso enorme, come prendersi una vacanza da tutti i pensieri e le emozioni che “parassitano”. Lo yoga è rimasto una mia costante, con momenti di maggiore e minore intensità.

M.D.L.: Liceo classico, Accademia di Belle Arti e, nel passaggio tra l’una e l’altra, parecchi anni di teatro. Quando hai avuto la consapevolezza della tua scelta professionale?                                                                                                                  L.P.: Durante il primo anno di accademia ero abbastanza confusa. Seguendo il corso di Fenomenologia dell’arte contemporanea, ho capito di aver trovato nell’arte una maniera per mettere insieme tanti interessi personali, spaziare in varie discipline, senza dover diventare un tuttologo.

M.D.L.: Sfida, ironia, ottimismo, tre parole associate – con una certa ricorrenza – al tuo lavoro. Forse anche al tuo modo di essere…                                                         L.P.: Esperienza di crescita e lavoro sono imprescindibili per me. Quando guardo dei miei lavori vecchi provo tenerezza, così come quando vedo una foto di me adolescente, perché colgo tutta una serie di limiti, paure che hanno a che fare con la mia storia personale. Mi piace molto che tu abbia trovato queste tre parole. La sfida, sicuramente, è con me stessa prima di tutto. Quella principale di fare l’artista, mantenendo una propria integrità e onestà intellettuale, e anche l’idea di cominciare un nuovo progetto. Infatti si sa, più o meno, cosa ci si aspetta, ma bisogna interagire con materiali e situazioni di cui non si ha sempre il controllo completo. Ironia, altrimenti non sarei sopravvissuta fino a trent’anni! Mi sembra che lo dicesse anche Shri Mataji, quello che distingue l’uomo dagli animali è la sua grande capacità di prendersi in giro. Effettivamente autoironia e ironia sono possibilità umane. Ottimismo… (risata) assolutamente sì, ma non come autocompiacimento. Mi fa sempre piacere, magari, vincere un premio, piuttosto che fare una mostra che va bene, vendere un pezzo o avere un articolo, però cerco di vederli sempre come fattori contingenti. Non sono un punto d’arrivo o un momento di clack con me stessa, ma micro tappe di uno sviluppo che spero ci sarà per tutta la vita. Un ottimismo guardando sempre un pochino al futuro, anche se trovo che sia salutare il non essere mai appagati completamente, altrimenti non si farebbe mai un altro nuovo lavoro.

M.D.L.: Metti in gioco l’elemento autobiografico nella costruzione dell’opera. C’è un momento in cui il personale rischia di scivolare nell’autoreferenziale?             L.P.: Non saprei, forse sì. In realtà credo che ci siano dei meccanismi della memoria che dal molto personale vanno al molto generico. Si vede molto facilmente nella fotografia. Le foto dei matrimoni o dei battesimi, per parlare della nostra cultura italiana, si assomigliano tutte. Quindi, quella che è la celebrazione di un momento assolutamente privato e personale, nel momento in cui accade e viene rappresentata, diventa una memoria collettiva che resta sospesa. Credo che molti artisti che lavorano sul personale e il privato cerchino di comunicare attraverso tutta una serie di immagini, sensazioni, esperienze chiave che riguardano, poi, il privato di tutti. Personalmente non ho mai pensato ad una formula deduttiva dell’arte, ovvero di prendere una grande tematica o un assunto generale e svilupparlo. Anche adesso che sto preparando un lavoro sulla scienza, è sempre vista in una sua dimensione domestica, che è qualcosa che entra nel quotidiano. È più facile parlare del dio delle piccole cose che di Dio!

M.D.L.: La metodologia è importante nella tua modalità di lavoro, qualunque sia la tecnica che vai a sperimentare. C’è posto anche per l’imprevisto?                        L.P.: Assolutamente sì, altrimenti non mi divertirebbe per niente. Non solo imprevisto, anche fallimento, che poi è una mediazione tra le proprie aspettazione e realtà. L’imprevisto è quella cosa fantastica che crea il dialogo con la realtà. Quando inizio un progetto ho le idee molto chiare sulla direzione per ottenere il risultato, ma di tutti i progetti che ho fatto i risultati sono sempre stati qualcosa che andavano leggermente oltre rispetto alle mie aspettative. Questo mi fa capire che, all’interno di quel lavoro, c’è stata una possibilità di crescita per me.

M.D.L.: Dall’idea alla realizzazione dell’opera…                                                         L.P.: All’inizio c’è una prima fase di studio, leggo tantissimi libri, passo da un link all’altro su YouTube, cerco i siti di documentazione. Comincio, insomma, collezionando tutta una serie di materiali – un momento abbastanza confusionario – finché ad un certo punto quando arrivo a conoscere un po’ di più l’argomento, inizio a strutturare il progetto e a disegnare; poi comincio a relazionarmi con i materiali.

M.D.L.: Il video è uno dei tuoi linguaggi ricorrenti.                                                          L.P.: Il video mi ha sempre interessato, anche quando ho scelto di frequentare l’accademia. Al liceo vedevo molti videoclip e tutta una deriva anche un po’ commerciale del video. Mi affascinava la possibilità dell’immagine in movimento, della musica, del cortometraggio, di un tipo di comunicazione multimediale che mi sembrava molto più avvolgente di quella verbale. Una narrazione non per forza consequenziale. Credo che questo interesse per il video dipenda da una questione generazionale. Forse la mia è stata la prima generazione a crescere con la televisione. C’erano programmi tipo ‘Bim Bum Bam’ realizzati apposta per i bambini, il cartone animato e il videogioco che dava la possibilità dell’interazione.

M.D.L.: Parliamo del nuovo progetto delle formiche…                                              L.P.: Era un po’ che mi interessavo di entomologia, e piano piano da un interesse generico, forse anche estetico, sugli insetti ho iniziato ad osservarli a livello di comportamento. I più interessanti sono le formiche e le api, ma queste ultime è un po’ più complicato tenerle in casa. Sono insetti sociali che hanno la grande qualità dell’intelligenza collettiva, che riguarda anche il genere umano ad un livello molto meno cosciente e con molto più ego. Studiando le formiche – ho letto anche Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson – mi sono stupita nel trovare così tante cose che le accomunano all’uomo. Intanto, le formiche sono gli unici animali che allevano altri animali, alcune specie praticano l’agricoltura, giocano, utilizzano gli antibiotici… Questi insetti li ritroviamo a tutte le latitudini e in ogni civiltà, dentro casa, ovunque. Hanno tutta una complessità dal linguaggio al comportamento, a seconda delle specifiche razze. Un’altra cosa che mi ha molto impressionato è che hanno due stomaci, uno individuale e l’altro sociale, con cui raccolgono il cibo per la colonia. Insomma le formiche sono animali collettivi che da sole non hanno senso. Ho scoperto, poi, che sempre di più nel mondo ci sono persone che allevano formiche per passione o curiosità. Così ho cominciato ad osservare come sono fatti i loro nidi artificiali e a pensare a delle installazioni che fossero dei grandi formicai, a seconda delle caratteristiche specifiche della specie. Formiche che cancellano, scavano, allevano afidi, raccolgono semini che masticano e con cui fanno il pane… Dato che le formiche vengono notate prevalentemente quando entrano in casa e disturbano, l’idea – per questa nuova personale da The Gallery Apart in programma per il 2012 – è di fare delle teche. Un microevento estetico in cui inizialmente si vede l’oggetto quotidiano o un angolo di casa, e solo in un secondo momento ci si accorge del movimento delle formiche. L’habitat che gli creo è, comunque, pensato proprio per loro. Per il momento sono molto soddisfatta, anche perché il margine di errore è molto alto.

M.D.L.: Quindi il collezionista acquisterà un’installazione con dentro le formiche? L.P.: Sì, l’idea è proprio quella di far osservare le formiche. Senza la colonia di formiche, infatti, il lavoro non esiste. Anche se dovesse succedergli qualcosa, si possono sempre sostituire. Quello che mi interessa è anche l’idea di possedere non l’animale in sé, ma una società di cui prendersi cura. Tra tutti i miei lavori questo è quello che ha più a che fare con la politica. Lo scopo è osservare una società animale che ha dei punti di contatto con l’uomo, ma anche così strutturalmente diversa: collettiva e di grande generosità all’interno, quanto aggressiva all’esterno. È la specie più presente sul pianeta terra, tanto che qualcuno ipotizza che, forse, potrebbe essere l’unica a sopravvivere ad una catastrofe. Poi, le formiche sono tutte femmine, i maschi servono solo per l’accoppiamento. La regina dopo l’accoppiamento vola a cercare un posto e ha una specie di tasca in cui conserva, fino a quindici anni, gli spermatozoi. Un animale, insomma, che ci fa riflettere su molte cose.

Dall’alto:

Luana Perilli (foto Manuela De Leonardis)

Luana Perilli, Orfano di undici anni, 2009, installazione, sistema di motori. Courtesy Nomas Foundation

Luana Perilli, Superorganism China cabinet, 2011, installazione, tre colonie di formiche Messor. Courtesy The Gallery Apart

Luana Perilli, Sì dolce è il tormento, 2009, video stop motion. Courtesy The Gallery Apart

5 e 6 Luana Perilli, Superorganism project #1, 2011-2012, collage. Courtesy The Gallery Apart

Luana Perilli, The man of the season (in loving memory of loving memories), 2007-2010, video stop motion. Courtesy The Gallery Apart in cooproduction with Incontri Internazionali d’arte and MACRO

Luana Perilli,  Pastiera per sei persone, 2005, videoinstallazione mixed media. Courtesy The Gallery Apart

Luana Perilli, Vedova da troppo tempo, 2009, installazione mixed media. Courtesy The Gallery Apart

Luana Perilli, Superorganism China cabinet, 2011, installazione, tre colonie di formiche Messor. Courtesy The Gallery Apart