Denis Bowen nasce a Kimberly, Sud Africa, nel 1921 da genitori gallesi. Rimasto orfano, viene portato in Inghilterra nel 1925. La sua formazione artistica inizia nella “Huddersfield School of Art”, dove apprende varie tecniche di creazione artistica, senza rigide classificazioni. Dopo aver trascorso il periodo bellico nella marina militare, entra nel “Royal College of Art”, dove rimarrà dal 1946 al 1950. Nello stesso anno ottiene il primo incarico da docente, attività che porterà avanti con passione per oltre trent’anni, cambiando spesso istituti e diffondendo l’insegnamento di un’arte totale, senza divisioni tra i vari campi espressivi. Durante un suo corso all’ “Hammersmith School of Art” promuove la costituzione di un gruppo che si evolverà, nel 1956, nella fondazione della galleria “New Vision Centre Gallery”: luogo di dibattito culturale e di esposizione di giovani artisti astratti di varie nazionalità. Il progetto coprirà la decade 1956-1966.
La sua produzione artistica, caratterizzata da una grande eterogeneità, può essere suddivisa in varie fasi, improntate all’ evoluzione di una poetica astratta:

•  Il periodo tachista: iniziato nel 1952, presenta l’acquisizione del linguaggio informale francese. Si tratta di tele caratterizzate da una pittura gestuale: forti pennellate dai colori cupi si impongono sulla superficie, creando delle nette contrapposizioni tra le linee orizzontali e quelle verticali.

“Atomic Landscape”: questa serie ha origine nei primi anni sessanta, ma avrà sviluppi e rielaborazioni formali successive negli anni ottanta e novanta. Sono immagini che propongono una scansione comune dello spazio: in basso si delinea una superficie uniforme, in alto, dopo la linea dell’orizzonte, si profila la sagoma di una sfera. La tavolozza si schiarisce, fino a sembrare rarefatta in prossimità del disco. Soggetto di questa produzione artistica è lo spazio astronomico: la mostra del 1969, tenutasi nella John Whibley Gallery, è dedicata agli astronauti che compirono lo sbarco sulla luna.

“Psychedelich Painting”: la serie inizia alla fine degli anni sessanta e coincide con il trasferimento di Bowen in Canada per prendere l’insegnamento alla University of Greater Victoria. Segnando un interessamento per la nuova arte cinetica, queste opere presentano l’utilizzo di una pittura fluorescente, che si costituisce nello spazio della tela creando delle figure geometriche (riferimento a simboli archetipici e mistici). L’esposizione delle opere prevedeva una sinestesia di luce (ultravioletta per far risaltare effetti della pittura), di musica (composizioni di Jimi Hendrix o di musica psichedelica) e di danza.
Ha esposto in numerose gallerie internazionali, privilegiando, dagli anni settanta in poi, il rapporto con i paesi dell’Est europeo (Macedonia, Romania e Bulgaria). Le sue opere fanno parte delle collezioni dei più importanti musei del mondo, tra cui l’Istituto d’arte di Chicago, la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, il Museo di Arte Contemporanea di Skopje(Macedonia), la Galleria Nazionale di Tel Aviv, la Tate Gallery di Londra.
L’artista muore a Londra il 23 marzo 2006. 

Stella Santacatterina è critica e curatrice di arte contemporanea. Collabora con le più importanti riviste inglesi di arte: Third Text, Art Monthly, Portfolio e Flash Art. L’ultima mostra da lei curata è “From Life”, dedicata all’artista inglese Judith Cowan, tenutasi nel MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “ La Sapienza ” di Roma) dal 7 al 29 aprile 2005.
Vive e lavora a Londra.

Denis Bowen (1921, Kimberley, Sud Africa – 2006, Londra) è una delle personalità più importanti del panorama artistico inglese ed europeo dall’inizio degli anni Cinquanta fino ad oggi.

La sua ricerca artistica e la sua vita furono incentrate sulla dimensione del viaggio: un conoscere incessante, portato avanti con passione e profondo impegno intellettuale, che riusciva ad unire l’immaginario del singolo alla dimensione universale dell’essere umano, troppo spesso relegato nei ghetti di identità imposte e falsificate. Viaggi tesi alla scoperta e al possesso intimo di diverse culture, viaggi come relazioni sottese tra gli oggetti, viaggi verso un mondo altro, l’astrazione, in grado di cogliere l’unità nel molteplice per un unico, grande scopo: l’esaltazione della finitezza, del contingente, della realtà quotidiana. In occasione della sua morte, avvenuta il 23 marzo 2006, intervistiamo la critica e curatrice d’arte contemporanea Stella Santacatterina, che ha avuto il privilegio di intrattenere un lungo e sincero rapporto di amicizia con l’artista fin dagli anni ottanta: una testimonianza diretta del fascino della personalità, il racconto consapevole di una grande visione.

Veronica Gaia di Orio: Perché Denis Bowen può essere considerata una figura d’eccezione all’interno del contesto culturale inglese degli anni cinquanta? Quali sono gli elementi innovativi del suo esordio artistico ed intellettuale?
Stella Santaccatterina: È necessario considerare l’ambiente inglese degli anni Cinquanta… Denis Bowen è stata una figura unica soprattutto perché si mise in contatto con delle esperienze che in Inghilterra non avevano precedenti, quelle della Bauhaus da un lato, e quella dei movimenti europei delle avanguardie storiche. In Inghilterra le esperienze di astrattismo erano quelle che venivano da Gabo attraverso Ben Nicholson, Barbara Hepworth e Victor Pasmore. Era in auge la tradizione figurativa, il realismo sociale della School of London che stava emergendo. Bowen capisce che deve allontanarsi da questo retroterra e riallacciarsi alle contemporanee esperienze artistiche europee. Nel ’50, quando insegnava all’Hammersmith School, fonda con i suoi studenti un gruppo che darà vita alla galleria New Vision. Nello stesso periodo comincia ad elaborare i suoi quadri tachisti prima che il critico Michael Tapiè coniasse il termine tachisme nel 1954.

V.d.O.: Come mai la stampa inglese si trovò concorde, tranne poche eccezioni, nell’osteggiare la proposta di un’arte astratta all’inizio degli anni cinquanta?
S.S.: L’Inghilterra aveva sviluppato la tradizione del realismo sociale, ma non quella dell’astrattismo. La critica difendeva questa tendenza, mentre Bowen, sentendo l’isolamento della cultura inglese, promuoveva l’utilizzo dei linguaggi più progressisti, la diffusione della seconda avanguardia europea.

V.d.O.: Dal 1956 al 1966 la NVCG (New Vision Centre Gallery) si propose come una “galleria piattaforma” per i giovani artisti astratti di varie nazionalità. Quali furono gli elementi che permisero al centro di rimanere sempre un laboratorio di sperimentazioni formali eterogenee? Che tipo di organizzazione economica era alla base del progetto?
S.S.: La Galleria permette l’esposizione ad artisti provenienti da 29 paesi diversi. Si potrebbe definire un precedente dell’odierno multiculturalismo, basato sul dibattito estetico e non sulle politiche della globalizzazione . La condivisione si basava sull’elaborazione linguistica che sviluppavano. Era la promozione di artisti che avevano in comune un segno che esulava completamente da qualsiasi narrativa, dalla figurazione del realismo sociale: questo era il punto in comune, non tanto l’appartenenza ai cosiddetti paesi esotici. Mentre Manzoni in Italia superava l’informelle, Bowen accoglie anche Azimuth, Castellani, Manzoni, il gruppo 0… queste esperienze esulavano dalla pittura tachista. La NVCG diventa un crocevia… nel 1956 in Inghilterra c’è la prima mostra dell’espressionismo americano, ma Bowen avverte la differenza della sua ispirazione che infatti resta completamente europea. Intrattiene dei rapporti solo con Paul Jenkins, anche se poi ha conosciuto Rothko, Ad Reinhardt ed altri esponenti dell’avanguardia americana. La NVCG è soprattutto una piattaforma, un crocevia di scambi… prettamente estranea all’elaborazione americana. Per quanto riguarda l’organizzazione economica: da gruppo è diventata galleria per la necessità di promozione degli artisti,era no profit, era soprattutto un laboratorio di idee, un scambio continuo tra artisti interessati a promuovere una poetica distante dalle regole dell’establishment. La NVCG era l’unica piattaforma internazionale in Inghilterra che promuoveva la seconda avanguardia storica europea, riconosciuta in Inghilterra successivamente… Manzoni e Fontana sono stati comprati molto dopo… quando Bowen li offrì alla Tate Gallery la direzione li rifiutò.

VdO: Quali furono i rapporti di Bowen con il panorama artistico italiano?
S.S.: Tantissimi… sia perché pensava che l’elaborazione concettuale e linguistica delle esperienze della seconda avanguardia italiana era la più interessante, sia per l’importanza del futurismo, che considerava, insieme alla Bauhaus, un movimento di grande rilievo, a suo giudizio personale molto più importante del cubismo. Aveva conosciuto a Parigi gli esponenti del gruppo Forma 1, che infatti esposero nella New Vision. Ricordo poi Bonalumi ed altri artisti con cui ebbe particolari affinità. La sua formazione era di ispirazione francese-italiana, ma nelle sue pitture è possibile rintracciare anche atmosfere turneriane.

V.d.O.: La produzione artistica di Bowen viene divisa in tre fasi: pittura tachista, psichedelych painting, atomic landscape. Ritiene che possa esistere, al di là delle evidenti differenze, una linea guida nel suo percorso di ricerca?
S.S.: È il concetto di spazio che accomuna tutte e tre le fasi. Il concetto di spazio pittorico in movimento che si spande verso l’esterno e crea dei mondi paralleli.

V.d.O.: Gli psychedelic painting, eseguiti dall’artista tra la fine degli anni 60 e gli anni 70, prevedevano, nell’esposizione, una sinestesia di musica, luci e danza. Quanto ha inciso la cultura degli happening su questa produzione?
S.S.: La fonte d’ispirazione primaria è il futurismo, Balla soprattutto. Altre influenze derivano dagli ambienti spaziali di Fontana, anche se con grammatiche e risultati diversi, dalle esperienze di Klein, dalla contemporanea cultura degli happening. È importante sottolineare la distanza di queste esperienze dalla pop art inglese degli anni 60, nonostante sia comune l’uso della pittura fluorescente. Il rapporto tra il segno astratto e la musica non può che rimandare a Kandinskij… per quanto riguarda la scelta del genere, Bowen utilizzava la musica psichedelica contemporanea e alcuni pezzi di Jimmy Hendrix. Si creava un rapporto di magia con lo spettatore, che diveniva parte dell’opera stessa… un coinvolgimento totale, in cui le luci giocavano un ruolo fondamentale:gli stessi dipinti divenivano fonte di illuminazione. Agivano sulla mente, sulla psiche.

V.d.O.: L’interesse di Bowen per lo spazio si manifesta con evidenza nelle pitture degli anni 60. Crede che questo tema abbia avuto nel tempo delle rielaborazioni formali?
S.S.: I tre periodi hanno a che fare con lo spazio, inteso come spazio in movimento: un continuo divenire che ricorda la filosofia del dinamismo eracliteo. Il dinamismo rimanda alla poetica futurista, Boccioni in particolare. Bowen non è un metafisico: sia nelle pitture tachiste, che nelle altre produzioni rimanda ad altre realtà, ma sono sempre immagini per questo mondo, immagini astratte contaminate dalla vita quotidiana… sublimi e poetiche per il reale, non hanno riferimenti spiritualistici o mistici. Si tratta di un mondo laico, della storia, del mito…

V.d.O.: La casa-studio di Bowen sembra da lui pensata come un grande collage. Crede che quest’ambiente riesca a trasmettere il senso della ricerca dell’artista?
S.S.: La casa è un viaggio nel tempo, sono come degli appunti, un archivio mentale dove l’artista crea delle situazioni, dei collegamenti che svelano la concretezza di questo immaginario. La pittura di Bowen è colore e gesto di grande stile, qui’ l’oggetto, che passa dal cucchiaio di plastica, all’ architettura, dagli oggetti del quotidiano a immagini dell’arte stessa, fa vedere la complessità dell’immaginario, come un bricolaire, dove due cose accostate vicine intrattengono dei rapporti che ogni giorno possono modificarsi, creando nutrimento e inspirazione per l’artista. Si creano dei rapporti in grado di portare alla conoscenza del mondo, dall’Africa, alla Malesia, all’India, all’Europa, all’Inghilterra vittoriana, degli anni 60′ e contemporanea. Si definisce una temporalità circolare, una situazione di un non ancora e di un non più, dove ogni forma può evolversi in un altra. E’ un diario personale che contiene gli elementi necessari per la successiva elaborazione artistica.

V.d.O.: Considerando il suo lungo rapporto di amicizia con l’artista potrebbe delineare dei tratti della sua personalità?
S.S.: L’artista aveva uno sguardo magico, penetrante… ti leggeva nel pensiero. Era molto acuto, ti anticipava a volte, una persona di una grande apertura mentale. Io l’ho conosciuto già 65enne, nell’84… era un’enciclopedia, mi fece capire tutta la situazione dell’Inghilterra. Una persona molto severa per quanto riguardava l’idea dell’arte, non era chiusura, ma profondità di pensiero. L’interesse di tutta la sua vita fu sempre l’arte, vissuta con impegno e passione… la proposta continua di mondi paralleli. L’arte doveva lavorare per rendere la vita migliore.

V.d.O.: Potrebbe raccontare un aneddoto?
S.S.: Denis dipingeva spesso l’arroganza di alcuni artisti britannici di fronte ai giganti europei dell’epoca…mi raccontò questo aneddoto bellissimo su Victor Pasmore…quando arrivò Picasso a Londra negli anni sessanta, Denis, che l’aveva conosciuto a Parigi, andò a prenderlo all’aeroporto con Pasmore. L’artista inglese si presentò per primo, scandendo il suo nome con alterigia, Picasso rispose con ironia e senza enfasi, dichiarando semplicemente: “Pablo Picasso”. Bowen, da uomo molto acuto, si permetteva il lusso, come tutti i grandi artisti, di essere generosamente umano, ma nello stesso tempo di non accettare ipocrisie o compromessi intellettuali.

V.d.O.: Lei ha intitolato il suo articolo su Frigidaire “D.Bowen il generoso”…
S.S.: L’ ho scritto nell’87… Denis era un grande affabbulatore, sapeva affascinarti raccontando mondi lontani e per me ancora sconosciuti, tradizioni del Pakistan,della Malesia, dell’India… la storia, la scienza, l’arte… era interessantissimo. La cosa importante era l’arte e quello che rappresentava, quindi non aveva invidie o competizioni di sorta però era altrettanto severo con gli artisti che considerava mediocri. Non ha mai accettato di far parte dell’establishment, proprio perché non voleva essere costretto a quel livello…pensava continuamente allo scambio intellettuale, un anno prima che si ammalasse, aveva amici artisti di tutte le età, dai 17 anni ai suoi coetanei. Riusciva a costruire dei rapporti paritari con personalità diverse senza avere alcun limite e soprattutto senza mai risparmiarsi. Era in grado di cogliere molte sottigliezze psicologiche…spesso intuiva i pensieri altrui, dimostrando una particolare sensibilità.

V.d.O.: Lei ha conosciuto molti artisti nel corso della sua carriera: come avvenne il primo incontro con Bowen?
S.S.: Io ho conosciuto tante persone che fanno gli artisti, ma di artisti pochissimi…il primo incontro fondamentale della mia carriera fu con Alberto Burri nel 1983: conobbi Denis mentre cercavo di organizzare una mostra di Burri a Londra. Bowen conosceva bene l’artista e cercava di aiutarmi.

V.d.O.: In un momento di scontro di civiltà tra il mondo occidentale e quello arabo, potrebbe raccontare del suo viaggio insieme all’artista in Iraq? Che tipo di considerazione aveva Bowen della cultura mediorientale?
S.S.: A Baghdad si teneva un festival di arte contemporanea prima della guerra del Golfo, partimmo insieme per quest’occasione. Denis era andato altre volte, conosceva intellettuali, professori universitari, artisti: l’università di Baghdad era un centro avanzato, dove incontrare persone di un certo respiro. Denis difendeva il pensiero laico del mondo arabo, in quegli anni portato avanti da Saddam Hussein e dava responsabilità agli Stati Uniti e all’Inghilterra per l’isolamento di altri paesi del mondo arabo che portava al fondamentalismo… l’isolamento crea il fondamentalismo religioso. Bowen era un cosmopolita nato, il suo essere internazionale non era dovuto ad un fatto di esotismo: entrava nelle altre culture perché sapeva che esiste una base comune all’esistenza umana. Ha avuto rapporti con artisti del terzo mondo, dall’Africa al Medioriente, dall’Europa dell’est all’oriente… secondo la sua visione gli artisti potevano arricchire il dibattito estetico concretamente, portando elementi di altre culture. Non si tratta di un esotismo coloniale, di una semplice curiosità: Denis capiva profondamente le dinamiche storiche e politiche, non si affidava a pareri comuni, ma elaborava le proprie opinioni entrando in contatto diretto con i popoli ed i territori.

V.d.O.: Un suo ultìmo commento sulla esperienza artistica ed intellettuale di Bowen…
S.S.: L’uomo è uno, senza false identità. L’arte di Bowen è stata un omaggio alle potenzialità della mente umana, delle sue possibilità illimitate di espansione. L’arte rende la vita migliore: non perché apporti un cambiamento concreto, ma per la sua capacità di far viaggiare, guidando l’uomo verso una conoscenza intima di se stesso, verso un’identità vera che non si fondi sul genere sessuale o sulle mappe geopolitiche. L’arte di Denis aspirava ad una dimensione universale.

Dall’alto:

La critica Santaccaterina nella casa di Denis Bowen.

Stella Santaccatterina e Denis Bowen. 

Denis Bowen, Moonrising, 1989.