Donna. Avanguardia femminista negli anni ’70 dalla Sammlung Verbund di Vienna.
A cura di Gabriele Schor e Angelandreina Rorro.
Roma, Galleria nazionale d’arte moderna.
Dal 19 febbraio al 16 maggio 2010.

Artiste in mostra: Helena Almeida, Eleanor Antin, Renate Bertlmann, Valie Export, Birgit Jürgenssen, Ketty La Rocca, Suzanne Lacy / Leslie Labowitz, Suzy Lake, Ana Mendieta, Martha Rosler, Cindy Sherman, Annegret Soltau, Hannah Wilke, Martha Wilson, Francesca Woodman, Nil Yalter.
www.gnam.beniculturali.it
www.sammlung.verbund.at

Note:
(1) Orietta Rossi Pinelli, Le arti nel settecento europeo, Einaudi, Torino 2009, pp.157-158.

(2 e 3) Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois, Benjamin H. D. Buchloh, Art since 1900. Modernism, Antimodernism, Postmodernism, London 2004, ed. it. a cura di Elio Grazioli, Arte dal 1900. Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo, Zanichelli, Milano 2006, pp. 26-27, 570-575, 580-583.

Le donne riuscite ad imporsi nel mondo dell’arte prima del XX secolo sono state un numero molto esiguo. La storia dell’arte é stata per secoli una disciplina praticata esclusivamente da uomini, sia per quanto concerne la produzione di opere che per la loro committenza, il loro studio e la loro tutela. Tale situazione ha portato la storica dell’arte Linda Nochlin a chiedersi, in un ormai celebre libro, Perché non sono esistite grandi artiste donne? (1971). Sino alle soglie del XX secolo la presenza delle donne nel sistema dell’arte è stato incredibilmente marginale. Non molte sono le eccezioni, si pensi alle pittrici Sofonisba Anguissola (1535 ca.-1625) e Artemisia Gentileschi (1593-1653) oppure al caso davvero eccezionale di Angelica Kauffmann (1741-1807), la quale si affermò in Europa come ritrattista e pittrice di storia, riuscendo ad ottenere non solo una grande fama tra i contemporanei, ma anche una notevole fortuna critica presso le generazioni successive (1). La presenza delle donne nel mondo dell’arte è divenuta sempre più comune nel XIX e nella prima metà del XX Secolo; possiamo ricordare Sonia Delaunay (1885-1979), Sophie Taeuber-Arp (1889-1943), Barbara Hepwhort (1903-1975).
Tuttavia, bisognerà aspettare gli anni Sessanta del Novecento per assistere ad una reale lotta da parte delle donne per l’accesso paritario alle forme d’arte. In questi anni inizia a concretizzarsi una vera e propria arte femminista, ovvero un’arte realizzata da donne con tematiche, in prima istanza, riguardanti la condizione e l’essere della donna nel tempo. In tale prospettiva, l’arte femminista nelle sue espressioni e personalità diverse può essere maggiormente intesa in relazione al movimento delle donne manifestatosi negli anni Sessanta e alle lotte per i diritti civili che si svilupparono in quegli stessi anni. Detto ciò si comprende come l’aspetto politico-sociale dell’arte femminista è stato assolutamente preminente contro un’autonomia dell’arte ed a favore di un’arte impegnata nel sociale e nella costruzione dell’identità femminile.
La mostra promossa dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nata dalla collaborazione con la Sammlung Verbund di Vienna, si propone di approfondire, come afferma l’opuscolo informativo, “un tema complesso come quello del rapporto tra arte delle donne e femminismo” negli anni Settanta. Le più di duecento opere presenti in mostra dimostrano che la cosiddetta arte femminista è in prima istanza un’arte impegnata. Non è un caso che la prima artista presente nel percorso espositivo sia Martha Rosler (1943) con il suo celebre video Semiotics of the Kitchen (1975) dove compare alle prese con una rilettura critica dell’ambiente domestico come luogo di violenza fisica e psicologica. Figura eroica di artista impegnata, il suo lavoro non si può comprendere se non in stretta relazione con una decisiva funzione politica dell’arte. Erede del fotomontaggio di John Heartfield, ha contrastato esplicitamente l’ideologia imperialista americana durante gli anni della guerra del Vietnam, ad esempio attraverso la serie Portare in casa la guerra: Il bello della casa, dove immagini di devastazioni della guerra vengono inserite nell’immaginario illustrativo della high e middle class americana (2). A tutti gli effetti di una vera e propria “politicizzazione estetica” si può parlare riferendosi anche alle performance di Lesile Labowitz (1946) e di Suzanne Lacy (1945), dove è l’intervento politico nel reale a farsi opera d’arte. Una medesima politicizzazione dell’arte è riscontrabile nelle artiste che si sono opposte all’oggettivazione delle donne. Esemplare è l’opera di Birgit Jurgenssen (1949-2003) Hausfrauen-Kuchenschurze (1975) dove l’immagine di una cucina a gas intrisa di allusioni sessuali, nella presenza di un pane/fallico, è appesa al collo dell’artista.
È necessario ricordare come negli stessi anni la regista Laura Mulvey pubblicava Piacere visivo e cinema narrativo (1975). In tale saggio Mulvey delineava uno dei temi che sarà centrale nelle pratiche femministe, ovvero l’immagine della donna nella società dei consumi e di massa progettata in funzione della struttura psichica del maschio eterosessuale. Pertanto, forse troppo rigidamente, Mulvey in questo saggio distingueva nettamente “la donna immagine”, intesa come “oggetto erotico” e “silenzioso”, da “l’uomo padrone dello sguardo”. La finalità politica del saggio è rivolta alla distruzione del desiderio maschile, a favore di un “nuovo linguaggio del desiderio” (3). Il tema dello sguardo maschile, da intendere come occhio che uccide e non come un paritario incrociarsi di sguardi, fu centrale per tutta l’arte femminista. In tale prospettiva si collocano le pratiche artistiche che vedono il corpo come vero e proprio “campo di battaglia”, come ad esempio le opere di Valie Export (1940), di Nil Yalter (1938) o di Annagret Soltau (1946).
Tuttavia, ridurre l’arte femminista all’attivismo ed all’impegno politico non renderebbe l’idea della complessità problematica che si è sviluppata in tale ambito. Infatti, come afferma Hal Foster in Art since 1900, “non esiste un’unica arte femminista (…) e gran parte dell’arte degli ultimi tre decenni è stata in qualche modo influenzata dalle problematiche femministe”. Infatti, una parte della critica d’arte ha sottolineato come il post-moderno abbia le sue radici all’interno dell’arte femminista.
La mostra presenta alcuni lavori celebri di Cindy Sherman (1954), di Martha Wilson (1947), di Suzy Lake (1947) dove le tematiche privilegiate sono quelle dell’identità della donna come cliché; dove più che di donne, si tratta di immagini che possono essere intese come “copia di un modello senza originale”. Le premesse a quella sensazione di perdita del reale, che poi troverà una definizione filosofica nel testo di Baudrillard, Simulacres et simulation (1981) sono riscontrabili in tali opere. Lo sterminio del reale è ben manifesto nei lavori della Sherman, dove i personaggi che appaiono sono mostrati solo come riproduzioni seriali progettati dall’industria culturale e dalla società dei consumi non sulla base di un modello reale, bensì di un modello virtuale. Si potrebbe parlare per le immagini della Sherman di idoli, ovvero di immagini che hanno la capacità di fagocitare in sé il reale, di opporsi al reale per sostituirsi ad esso. Cosa rappresentano? Non si tratta di immagini-copia della realtà, non rappresentano la donna del sud, l’ereditiera, l’amante del gangster, bensì sono la donna del sud, l’ereditiera e l’amante del gangster.
In definitiva, nel post-moderno si assiste alla progressiva sostituzione del reale con il virtuale. Le rappresentazioni invece di venire dopo la realtà, come una sua imitazione, ora la precedono e la costruiscono. Di conseguenza, non siamo più in un ambito problematico strettamente femminista, bensì relativo a quel che rimane della humana condicio all’interno del “deserto del reale”. Tali questioni ebbero una loro prima formulazione proprio in ambito femminista, pertanto è giusto parlare di “Avanguardia femminista”, laddove per avanguardia s’intendano i fenomeni artistici che si pongono in modo più innovativo e critico rispetto ad uno stato di fatto presente.
Caso particolare, all’interno della mostra, può probabilmente essere considerato quello di Francesca Woodman (1958-1981). Lo spazio emotivo e la cura formale delle sue immagini, a mio avviso, comunicano faticosamente sia con la simulazione della realtà presente nei lavori concettuali di Cindy Sherman sia con l’ambito dell’arte femminista negli aspetti che ho precedentemente individuato. Mi chiedo se parlare di femminismo nei confronti di Francesca Woodman possa risultare leggermente arbitrario. Si tratta di fotografie di un’artista donna, ma alle prese con tematiche non per forza riconducibili ad un universo di significati propriamente femministi o relativi al postmoderno. Ad esempio, la presenza di un tema come il proprio corpo quale oggetto/soggetto degli scatti non va confuso con la problematica sociale di oggettivazione della donna nel sistema patriarcale maschile. Probabilmente il corpo della Woodman nel suo confondersi con la parete, con gli oggetti, nel divenire intonaco, ombra, ovvero nel suo sentire l’Essere attraverso l’Altro da sé, prova ad intuire l’imperscrutabile totalità del reale nell’attimo dello scatto. Forse, esclusivamente in termini antifrastici possiamo leggere in parallelo le fotografie di Francesca Woodman e di Cindy Sherman, laddove se per la Woodman le immagini sono caratterizzate da una insondabile profondità, ovvero l’irrappresentabile eccedenza di ciò che sfugge ad ogni tentativo di rappresentazione, i personaggi che la Sherman interpreta non hanno nessun referente nella realtà, pertanto le sue immagini si compiono e si concludono tutte sulla superficie che, in tal senso, diviene il luogo della morte del reale e con esso della molteplicità del senso.

Dall’alto:

Helena Almeida, Work- 32 (Entreda 1), 1977
silver gelatin print
© Helena Almeida / Sammlung Verbund, Vienna

Cindy Sherman, Untitled Film Still # 17, 1978
b&w photograph
© Cindy Sherman / Sammlung Verbund, Vienna

Eleanor Antin, Portrait of the King, 1972
b&w photograph
© Eleanor Antin / Sammlung Verbund, Vienna

Martha Rosler, Semiotics of the Kitchen, 1975,
filmstill from the video, b&w, sound
© Martha Rosler / Sammlung Verbund, Vienna

Francesca Woodman,
Self Portrait Talking to Vince, 1975–78
b&w photograph
© Estate Francesca Woodman / Sammlung Verbund, Vienna

Free to use for purposes of news coverage of the exhibition “DONNA: Feminist Avant-garde of the 1970s from Sammlung Verbund, Vienna“, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 19/02/2010-16/05/2010