Hangzhou è una grande città della Cina, una delle 10 più grandi, a sole 2 ore da Shanghai. Questa vicinanza rende inevitabile il confronto e una certa rivalità, ma come si fa a battere in velocità un colosso come Shanghai, il cui modello di riferimento non è più l’Europa, come succedeva negli anni ’30, o gli Stati Uniti, come succedeva negli anni ’80, bensì il supertecnologico Giappone?
Ad Hangzhou c’è un lago, ci sono foreste e colline tutto intorno, e per quanto ci si stia impegnando a renderla moderna non si può non ammettere che la città non avrà mai le caratteristiche di una metropoli. L’empasse viene brillantemente superato puntando sulla differenza, che rende Hangzhou baluardo dell’autentica tradizione cinese: padiglioni, teahouse, albe brumose. In più ci sono i cantieri, aperti 24 ore su 24: gru, tir, caterpillar e tutto l’occorrente per abbattere una piccola abitazione ad una piano in una giornata e costruire una palazzina a sei piani in un mese.
Un sicuro punto di vanto per la città è l’Accademia Cinese di Belle Arti, i cui dipartimenti più rinomati e prestigiosi sono quello di calligrafia (shufa) e di pittura tradizionale a inchiostro e di paesaggio (definita “guohua” o “pittura cinese”).
Come ho avuto modo di osservare personalmente, l’accademia è un ambiente fortemente conservatore: un tipo di istituzione che investe sulle cose “sicure”, ovvero sulla tradizione che mai delude perché “rodata”, e sul commerciale (grafica e design), che non delude perché richiesto dal mercato.
Voglio a questo punto evidenziare qualcosa che a qualcosa che destabilizzi questa coerenza tutta cinese di sviluppo pianificato e tradizione nella formalina: Hangzhou è la città in cui negli anni ’80, contemporaneamente a Pechino, è nata e si è sviluppata l’Arte cinese di avanguardia, la “nuova arte” come viene anche definita, o semplicemente l’arte cinese contemporanea, e dall’Accademia sono usciti molti dei più importanti artisti cinesi.
Nella prima metà degli anni ’90, alcuni di questi artisti, primo fra tutti Zhang Peili (considerato il primo artista video) hanno poi fondato all’interno dell’Accademia un dipartimento di arte multimediale, fino a poco tempo fa ancora centro sperimentale all’interno dell’istituzione, in cui, grazie soprattutto alla presenza di giovani artisti, è garantita la sopravvivenza a questa tradizione di anarchia ufficializzata.
Da questa città è dunque partito in due tempi un movimento allargatosi a tutta la Cina. Quello che ancora manca è il sistema che sta alla base della diffusione dell’arte, ovvero una rete di gallerie e luoghi per le mostre. O forse deve mancare? Nella visione comune a molti artisti che hanno o hanno avuto a che fare con l’Accademia, Hangzhou è il luogo dell’arte pura, non sporcata dal denaro, in cui l’arte viene insegnata, in qualche modo anche inculcata, e da cui si diffonde per diventare “mondana”.
Due happening che si sono svolti il giugno scorso proprio ad Hangzhou sono certamente un esemplificazione di questo paradigma.
Il primo si è svolto lo scorso 16 Giugno presso un caffè e ha avuto come promotori e protagonisti due artisti appartenenti a generazioni diverse ma entrambi interessati alla sperimentazione e al campo del multimediale: Geng Jianyi e Shen Ligong. Jianyi è nato nei primi anni ’60, ed è stato insieme a Zhang Peili uno dei membri fondatori della società artistica “Pool”, scioltasi all’inizio degli anni ’90. La sua produzione è caratterizzata da un forte elemento concettuale, molte volte (come in questo caso) incentrata sull’investigazione circa l’identità e soprattutto su come “immagine pubblica” dell’individuo, ovvero l’insieme di dati relativi alla sua presenza all’interno della società, fallisca miseramente l’equazione con la sua reale condizione esistenziale. Shen Ligong, appartenete alla una generazione successiva, è un giovane artista che si è quasi completamente dedicato all’esplorazione di tutte le potenzialità dell’arte realizzata con l’ausilio dei software; ma la sua non è semplicemente arte che utilizza il computer, alla base di essa c’è una specie di “filosofia informatica”, dice infatti di essere particolarmente affascinato dal concetto di interfaccia, come sistema di reazione ad un input elementare che determina l’emissione di dati. Nel progetto che ha per nome 6 1 6, la data stessa dell’happening, è stata inoltre coinvolta una giovane artista di nome Gu Gu -anche lei ex-studente dell’accademia- che ha prestato all’evento il suo volto e la sua esperienza personale.
Questa introduzione è indispensabile per capire il significato della collaborazione.
Gli artisti hanno creato delle postazioni dalle quali dirigere e organizzare l’evento, nonché guidare il pubblico alla sua comprensione; una postazione che potrebbe essere definita multimediale e interattiva, situata in una zona d’ombra, è quella occupata dai due artisti: tramite i loro computer essi determinano sul momento quali immagini verranno proiettate e quali suoni accompagneranno le immagini, la scelta avviene a partire da una serie già predisposta di file audio e video, ma la loro combinazione è del tutto imprevedibile, segue un’istintiva casualità. Gu Gu è al centro della scena, la sua postazione è una vecchia macchina da cucire (oggetto molto probabilmente a lei caro, provenedo dal dipartimento di fashion design) e ha dietro di sé una lavagna. Questa situazione prelude all’inizio di quello che Shen Ligong definisce “dialogo di immagini”, o meglio dialogo tramite le immagini. Comincia la proiezione di filmati divisi in due sezioni: quella di destra è riservata a Geng Jianyi, quella di sinistra a Shen Ligong; si succedono le immagini che danno vita al dialogo: prima i due ripresi durante il sonno mentre si rigirano nei rispettivi letti, nel momento in cui l’inconscio ha il sopravvento assoluto, poi una serie di spezzoni di filmati realizzati o raccolti dai due, frammenti che riflettono il momento “attivo” in contrasto con la passività iniziale, gli artisti passano così dallo stato di oggetto a quello di soggetto. L’occhio dello spettatore è costretto a passare velocemente da una parte all’altra per non perdere l’insieme, ma questo non rappresenta un ostacolo alla percezione delle immagini stesse, che risultano perfettamente integrate e in armonia tra di loro. Si affiancano contenuti diversi e affini: scene da un treno, panoramiche di edifici in costruzione, spezzoni di vecchi film di propaganda (che appartengono alla memoria di Geng Jianyi), quadranti di orologi per Shen Ligong…il dialogo, che per la sua frenesia può sembrare a tratti un duello, procede così attraverso lo scambio di ricordi e di impressioni. C’è poi l’intromissione improvvisa del volto di Gu Gu ripreso in varie angolazioni; in questo modo il dialogo si interrompe e viene presentata la situazione di un individuo che non interagisce con nessuno ma interroga se stesso, Gu Gu rappresenta così l’altro polo che per semplificazione potremmo definire monologo: l’apparizione del suo volto mette al centro tutta la problematicità dell’individuo privo di una controparte, di un parametro in base al quale valutare la propria situazione. La sua è una presenza che mette in questione e nega, non a caso dopo aver scritto sulla lavagna la data, titolo del progetto, la cancella con un gesto improvviso, e comincia la cantilena confusa di “io” e ancora “chi è, chi sono io”, dalla loro postazione i due artisti si uniscono alla voce della ragazza, sembrano sostenerla ma di fatto la contrastano. C’è alla base dell’esperimento un principio binario che apre molte più possibilità interpretative, e che questo abbia per nome la data in cui è stato realizzato non è casuale, ma risponde all’intenzione degli artisti di creare qualcosa di unico e irripetibile: come essi stessi mi dicono, non ci sono state prove, tutto è avvenuto sul momento, questo ha permesso all’evento di mantenersi “vivo”.
Il secondo happening si è svolto il 30 Giugno, in un altro locale della città, non ha un titolo ed ha un carattere molto più spensierato, si tratta in sostanza di una specie di gioco dadaista. I quattro artisti che vi hanno preso parte, gli stessi Geng Jianyi e Sheng Ligong, Zhang Peili e Jiao Jian (anch’egli membro dell’Accademia), hanno collocato all’interno del locale le rispettive opere, fotografie, installazioni e video-installazioni, integrandole nell’ambiente e nell’arredamento preesistente. Così ad esempio Zhang Peili ha disseminato dozzine di fotografie di che ritraggono diverse tipologie di servizi igienici (privati e pubblici), soggetto che contrasta comicamente con l’eleganza convenzionale e stereotipata delle fotografie affisse alle pareti del locale. L’operazione di Jiao Jian è di tipo più spiccatamente concettuale: dopo aver scattato fotografie di alcuni angoli del locale, la ha sovrapposte agli stessi mimetizzandole completamente o quasi. Geng Jianyi ha nascosto la sua video-installazione in un sottoscala, in modo da renderla del tutto simile ad un mucchio di roba abbandata e in disuso, mentre lo schermo di un televisore trasmetteva segnali indistinti e intermittenti. L’installazione di Shen Ligong è un piccolo gioco: tre libretti le cui pagine fatte scorrere rapidamente creano un effetto ottico di animazione. Il pubblico partecipante è stato invitato a rintracciare tutte le opere.
Quello che rende significativi questi eventi è la loro mancanza di ufficialità, il loro carattere di improvvisazione, il fatto che la loro “promozione” avvenga in maniera privata, attraverso una rete di telefonate; questo sistema ricorda vagamente quello che succedeva a Pechino nella metà degli anni ’90, quando venivano organizzate performance nelle zone periferiche e rurali sede del villaggio degli artisti, ma allora la segretezza era necessaria per non attirare l’attenzione del autorità, considerato il carattere provocatorio e “scandaloso” delle performance in questione.
Quello che succede oggi in Hangzhou è però qualcosa di molto diverso: c’è la scelta consapevole del low-profile, non si ricerca il sensazionalismo, alla base c’è la convinzione –che caratterizza il modo di fare arte di questi artisti- che l’arte debba essere onnicomprensiva, non escludere niente, infiltrarsi senza troppo clamore nella vita delle persone e cambiarla, o meglio arricchirla.

Per ulteriori approfondimenti sugli artisti citati e sull’arte multimediale cinese può essere molto utile una ricerca sul www.chinese-art.com (sezione contemporanea), è sufficiente inserire il nome dell’artista nello spazio riservato alla ricerca; per quanto riguarda l’argomento oggetto di interesse, il sito presenta diversi articoli suddivisi in “issues”.
Sul sito www.timezone8.com si possono trovare le ultime pubblicazioni di arte cinese contemporanea.
Per chi legge il cinese un sito molto interessante è www.tom.com (dovrebbe comunque essere disponibile una versione in inglese), che permette di gettare uno sguardo sul panorama artistico cinese “dall’interno”.
È stato infine creato dagli artisti il sito dell’happening 6 1 6, www.616.sleepybear.com .