Prague Biennale 2. Expanded Painting / Acciòn Directala seconda edizione della Biennale di Praga, curata da Giancarlo Politi e da Helena Kontov á, è stata inaugurata presso l’ex fabbrica del Karl í n Hall (26.05.– 15.09.2005). La sezione Expanded painting curata da H. Kontov á e quella di M. Scottini, Acciòn Directa dedicata agli artisti del Sud America, costituiscono il nucleo principale della Biennale. Meditazione e azione hanno trovato una sintesi efficace nella sezione Defintion of Everyday di V. Havránek, K. Cisar e J. Mancuška, nel padiglione ceco di J. David e in quello slovacco di J. Carný. Nella sezione Poland Overviewcurata da A. Jagiello, il tema del corpo e dell’identità è stato affrontato attraverso brani pittorici, video e installazioni. Le sezioni New German Painting. The Leipzig and Dresden ´´Schools´´ di J. Schmidt , quella dedicata alla Cina di P. Marella e di F. Jordan, Kinetik Art di G. Alviani, Outsider Art diJ. Colman, Normal Group di L. Beatrice, il tributo a G.M. Montesano e gli eventi legati alla sezione Site Eventsrappresentano invece l’alter ego di Expanded painting, differenti modi di concepire, di sperimentare e di “fare” pittura.

Kinetik Art è la sezione della Prague Biennale 2 curata da Getulio Alviani e dedicata all’arte cinetica. Nel padiglione compaiono i maggiori rappresentanti del gruppo N di Padova (Massironi, Costa..), del gruppo T di Milano (Colombo, De Vecchi..) e del gruppo francese Grav (Morellet, Le Parc..) e singole personalità attive a partire dagli anni ’50 come Alviani, Scheggi, Soto, Agam, Riley, Le Parc e Cruz-Diaz. Nonostante la differente appartenenza geografica degli autori cinetisti e l’eterogenea datazione dei lavori, la sezione si contraddistinge per un forte rigore scentifico nella costruzione della struttura compositiva e una precisa comunione di intenti rivolta soprattutto alla sperimentazione dei fenomeni ottici e percettivi.

Getulio Alviani è nato a Udine nel 1939. Vive e lavora a Milano. Negli anni ’50 ha iniziato a lavorare sui fenomeni ottici e percettivi. Negli anni ’60 si è avvicinato all’arte programmata e all’op-art realizzando il primo environment con criteri cinetico-visuali. Dal 1961 ha aderito al movimento di Zagabria, “Nuove tendenze”. Nel 1964 ha partecipato alla 32. Biennale di Venezia; nel 1965 alla mostra The responsive eyes presso il Moma di New York; nel 1965 alla collettiva Lo spazio dell’immagine a Foligno e nel 1968 a Documenta 4 di Kassel. Negli anni ‘80 ha lavorato come direttore del Museo di arte moderno a Ciudad. Nel 2003 ha partecipato alla collettiva Arte Esatta nel Museo Chelmskie a Chelm in Polonia, Chelm; nel 2005 ha curato la sezione Kinetik Art della Prague Biennale 2.

Susann Horvatovicova: critica e storica d’arte, curatrice di eventi culturali. A Roma, ha collaborato con la galleria Soligo International (2002), con la galleria Soldano (2003-2004) e la galleria Bettivò Horti Lamiani(2005). Ha organizzato incontri letterari a Palermo e presso l’Ambasciata Ceca a Roma e si è occupata di diverse rassegne di cinema e di film d’animazione. Ha curato la sezione di arti visive delFestival Mediterranea e ha lavorato nella Prague Biennale 2(2005)

Susanna Horvatovicova: Come artista e curatore, in particolare della sezione cinetica della Prague Biennale 2, come definiresti l’arte cinetica al giorno d’oggi?
Getulio Alviani: La realizzazione di idee plastiche innovative per quanto riguarda sia la struttura sia il livello percettivo. Noi ci poniamo un problema e cerchiamo di risolverlo nel modo migliore. Ideare un’opera intelligente vuol dire avere un progetto e svilupparlo come sintesi, al meglio, in tutte le sue tappe e nella maniera più avanzata e inedita. Partendo dall’intuizione e pensando soprattutto all’opera in sé, è necessario dare al progetto una ragione e una dignità di esistere, seguendo con chiarezza premesse e postulati. Bisogna poi verificare con oggettività che quanto voluto è stato realizzato. Più problemi sono posti e più sono ben risolti, tanto più l’opera è valida.

S.H.: Esiste una particolare relazione tra la sezione Kinetik Art e quella dedicata all’Expanded Painting?
G.A.: Non esiste alcun tipo di relazione. La sezione che tu nomini – preferisco non ripetere queste definizioni modaiole – si basa sulla semplice e spesso banale constatazione statica della quotidianità, mentre l’arte cinetica si basa sulla proiezione e sul progetto. Nel mare magnum delle altre sezioni regna un arbitrio totale ed anche molta stupidità, con punte eccelse nei casi in cui si giunge alle provocazioni scandalistiche. Ai nostri giorni anche l’arte, come tutti i mezzi di informazione, cerca lo scandalo per impressionare una società non certo intelligente ma soltanto curiosa e soprattutto morbosa. L’arte cinetica, o meglio l’arte di ricerca in questa direzione, è invece totalmente estranea a tutto questo. 

S.H.: Hai scelto rappresentanti di diversi gruppi cinetici, nonostante ciò nel complesso la sezione appare omogenea. L’oggettualità e l’impersonalità continuano ad essere una forte discriminante nel vostro processo creativo?      G.A.: Certamente non curiamo il culto della personalità, perché quello che conta è soltanto l’opera e ogni fatto personale deve rimanere estraneo ai problemi ad esso inerenti. Le nostre ricerche sono condotte senza alcun coinvolgimento emotivo che potrebbe contaminarle. Tutti i migliori artefici dell’arte cinetica, costruttiva, programmata, concreta e di ricerca in tal senso, tendono a svolgere un lavoro scientifico e ad ottenere risultati verificabili. Si tratta di un’arte che ha meno di un secolo di storia; e dai grandi pionieri come Henryk Berlewi e Josef Alberts ai grandi divulgatori come Victor Vasarely e Yaacov Agam , ai protagonisti delle nuove tendenze come Andreas Christen e Manfredo Massironi, presenti nella Prague Biennale 2, c’è tutta una traiettoria di uguali intenti, pur nella anche grande diversità delle soluzioni. 

S.H.: Quali criteri selettivi hai usato per la scelta degli artisti? 
G.A.: Tu ci chiami “artisti”, ma a noi questo termine non piace. Ci definiamo piuttosto “ideatori plastici”, progettisti, dal momento che siamo quasi tutti designer e architetti. Per quanto riguarda la Biennale, non potevo portare un numero superiore di trenta lavori. Nella sezione sono comunque esposte le opere dei rappresentanti più significativi dell’arte percettiva, dal movimento ottico a quello meccanico. Ci sono sia coloro che hanno lavorato singolarmente sia gli appartenenti ai gruppi europei, sia i rari autori degli Stati Uniti e del Sud America come il gruppo N, il gruppo T e Grav. Credo che i migliori ci siano tutti ed ho voluto dare anche un’idea della vasta appartenenza geografica.

S.H.: Per quale motivo non sono presenti i rappresentanti del gruppo 63 o del gruppo Uno? 
G.A.: Sono gruppi che non ho mai preso in considerazione perché non hanno nelle loro opere e nel loro pensiero quella chiarezza e quella innovazione che invece distinguono tutti coloro che sono qui presenti. 

S.H.: Quali sono i gruppi che reputi particolarmente distanti dagli autori presenti nella tua sezione? 
G.A.: I gruppi che hai nominato prima non hanno nulla a che fare con questa sezione della Prague Biennale 2. Neanche il gruppo Zero ne fa parte, nonostante abbia partecipato alla prima mostra storica delle “Nuove tendenze” a Zagabria nel 1961 e a molte altre esposizioni analoghe. Esso era composto da Mack, Piene e Uecker che hanno sempre avuta una spiritualità incerta. Questi autori hanno fatto, alle volte, delle ricerche similari, ma il loro è stato un atteggiamento esibizionistico sviluppato attraverso un forte culto della personalità. Invece, le opere esposte alla Biennale sono ricerche sulla percezione e, come ho già detto, sulla struttura. I risultati di tali ricerche devono giungere al cervello dello spettatore scevri da ogni coinvolgimento fuorviante per sviluppare, attraverso l’occhio, le facoltà intellettive. 

S.H.: Dunque consideri estranei alle vostre ricerche anche artisti come anni Pizzo, Francesco Guerrieri, Nicola Carrino o Giuseppe Uncini?
G.A.: Questi li si può chiamare “artisti”. Essi hanno un diverso modo di pensare, di credere, di esistere rispetto a noi che invece cerchiamo di formulare un nuovo linguaggio con nuovi codici. Noi facciamo parte di un gruppo ristretto, assai intransigente che realizza lavori con una comune volontà di ricerca, ma con risultati diversissimi. Questo modo di essere non è avulso dalla realtà contemporanea e non significa che non siamo consapevoli di quanto succede nel mondo, e proprio per questa ragione, ad esempio, che siamo oggi tutti criticamente spietati verso chi ha aggredito in modo infame Afganistan e Irak. Il nostro è un modo di essere.

S.H.: Cosa intendi per gruppo “intransigente”?
G.A.: Abbiamo un’etica normativa che ci conduce ad analizzare e a cercare di risolvere la complessità della vita. Una delle regole è di ottenere il massimo risultato con la maggiore economia. La rappresentazione di qualcosa che già esiste, ad esempio, non ci interessa. Sono secoli che si rappresentano faccine e culetti, paesaggi e paesaggini: ciò non ci riguarda. Immagino spesso quale strada avrebbe preso l’arte se si fosse data maggiore importanza ad un colore puro o ad una linea, ad una forma non affettiva. Credo che i cinetici e le loro ricerche abbiamo rinnovato l’arte in modo intelligente, diretto, senza alcun tipo di letteratura. 

S.H.: Come definiresti nel suo complesso la Prague Biennale 2
G.A.: La Biennale di Praga è costituita da un’enorme massa di superfici e materiale figurativo che riceve l’applauso e l’interesse di tutti, dal momento che è facilmente accessibile, come avviene per ogni banalità. Tutti credono di capire di cosa si tratta, ma c’è molta ignoranza e in più non c’è nulla da capire. Pochi sanno, per esempio, che il cerchio dipinto da Rondinone non è altro che la copia di opere di Fangor, un artista polacco che ha esposto a The responsive eyes al Moma di New York nel 1965 e contemporaneamente in una mostra personale al Guggenheim Museum della stessa città. Credo che il non sapere, soprattutto in arte, possa essere molto gratificante, perché l’ignoranza è lusinghevole e la stupidità appagante. Nella Biennale mi è sembrato che regnasse il terrore per l’intelligenza. Giancarlo Politi, che a volte ha la passione per le sfide, quando mi ha chiesto di realizzare questa sezione, lo ha fatto come una sfida. Inizialmente leale, ha poi emarginato l’esposizione, basti pensare al reportage sulla Biennale apparso su “Flash Art”. 

S.H.:Cosa ne pensi di Maurizio Cattelan che ha esposto nella sezione Expanded Painting?
G.A.: Non penso certo a lui! Agli ingenui può apparire audace, perché credono che sia un grande innovatore. A me sembra che faccia il contrario banale del pensiero comune. 

S.H.: Qual’è la tua opinione riguardo la sezione Action Directa?
G.A.: Penso che si tratti di una sezione attiva politicamente ma il risultato plastico non esiste, lo si vede ovunque: sospendono una bandiera o imbrattano una parete e credono che con ciò si possa esprimere qualcosa di complesso. 

S.H.: Cosa ne pensi invece della sezione ceca e slovacca?
G.H.: Non l’ho osservata con attenzione. 

S.H.: Negli anni ’80 si è tenuta a Ferrara una mostra antologica sull’arte cinetica in cui comparivano molti artisti presenti nella Prague Biennale 2. Vi sono punti in comune tra la sezione della Biennale e la mostra di Ferrara? Secondo te, la presentazione del catalogo curata da Angela Vettese riprende con fedeltà il vostro pensiero?
G.A.: Si, a Ferrara c’erano quasi tutti gli autori presenti alla Prague Biennale 2, ed anche molte opere sono le stesse. Era, più o meno, la stessa esposizione soltanto molto più ampia. Angela Vettese ha riportato fedelmente e correttamente nel suo testo le indicazioni che le avevo fornito. Lei in questo era molto brava. Chi invece ha veramente capito e scritto le cose migliori sul nostro operare ideologico e plastico è stato senz’altro Umbro Apollonio. Era uno di noi, era un uomo esemplare. La sua mancanza ci ha lasciato un grande vuoto.

S.H.: Cosa ne pensi del saggio dedicato all’arte cinetica nel catalogo Prague Biennale 2 curato da Loredana Parmesani? 
G.A.: Il testo è in inglese, una lingua che odio e che non capisco. Non l’ho letto in italiano, ma Parmesani è una critica attenta e scrupolosa.

S.H.: Cosa accomuna il tuo lavoro e quello degli altri autori della sezione cinetica? 
G.A.: Ciò che mi interessa in arte è: ideazione e promozione di inediti plastici e umanamente la correttezza. Non sopporto chi spaccia il proprio lavoro per quello che non è oppure che lo manipola, ma nessuno dei miei amici-colleghi è così. Ognuno di noi, usando la propria intelligenza, sa chiaramente cosa ha realizzato, sa da quale necessità è stata generata la sua ricerca e sa che posto occupa. Tutto questo fa parte della verifica e ciò ci accomuna.

Luglio 2005, Praga


Dall’alto:
Ingresso della Prague Biennale 2 

Le installazioni di Jan Serch, Markéth Othova, J ì Skala, Tomas Vank

Sopra, la performance di Radek Community, sotto, i progetti di Jota Castro