Yacouba Konaté è professore di filosofia e critica d’arte nell’Università di Abidjan, Costa D’Avorio, ed è noto anche per il suo saggio importante sullo scultore ivoriano Christian Lattier: Le sculpteur aux mains nues (Lo scultore a mani nude), 1998.

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Lo storico e critico ivoriano Yacouba Konaté ha proposto la sua lettura della scultura africana contemporanea in una mostra alla Galerie National di Dakar, intitolata semplicemente “Afrique/Africa”, in cui, insieme al lavoro dello storico scultore ivoriano Christian Lattier, sono presenti Tapfuma Gutsa (Zimbabwe 1959) ed il camerunense Joseph Francis Sumégné (1951).

“Afrique/Africa” si presenta subito come una vera e propria rivendicazione di appartenenza: è il continente africano, secondo Konaté, che deve valorizzare e riconoscere la propria storia ed i propri talenti, senza attendere la legittimazione proveniente dall’Occidente.
Una presa di posizione che emerge a colpo d’occhio: nessuna ricerca di tecnologismi, innovazioni, mode espressive, novità assolute. Alla contemporaneità elettronica sfoderata al CICES, scelta non condivisa o poco apprezzata proprio per l’evidente intento programmatico (si veda a questo proposito l’intervento di Sara Diamond, curatrice del canadese Banff Centre for the Arts e direttrice del comitato internazionale di selezione, che dice: “L’exposition internationale d’Art Africain Contemporain de la Biennale de Dakar 2004 sera une exposition panafricaine, dynamique et résolument contemporaine”), la mostra di Konaté si sforza di esprimere un’africanità attraverso la scultura e la materia (o i materiali) che questa coinvolge.
La pietra, la sabbia, i papiri essiccati e dipinti, i copertoni riciclati e le strutture antropomorfiche di metallo e corde arrotolate dei tre scultori, parlano sì a noi spettatori occidentali, che facilmente ci lasciamo convincere da ciò che rappresenta la nostra vaga idea etnica dell’altro, ma soprattutto sembrano parlare agli artisti e critici provenienti da diversi Stati africani. 
Per la prima volta da che siamo a Dakar, vediamo sorridere molti osservatori e sentiamo i consensi felici e liberatori di chi si è aggirato per la Biennale alla ricerca di qualcosa in cui riconoscersi ed ha invece visto frustrate le aspettative.
“Questa mostra è nata con il proposito di interrogarsi sullo stato dell’arte africana contemporanea, prendendo però una posizione. Credo che con il termine “contemporaneo” sbagliamo a considerare solo ciò che è stato prodotto dopo il 2000. Il contemporaneo è una forma o un pensiero che ogni artista estrapola dalla sua Storia.
Per questo ho voluto portare in questa mostra collettiva tre artisti che hanno lavorato nel Novecento, con l’intento di illuminare, con tre brevi “flash”, la scultura africana contemporanea” spiega Konaté.
Christian Lattier è uno scultore che dagli Anni Cinquanta ha tentato di rompere con la tradizione, occidentale, di “Arte Negra” o “Arte Tribale” africana.
Lattier ha scardinato questi linguaggi tradizionali della scultura africana, arricchendo il suo retroterra storico con la formazione ricevuta a Parigi, dove studia l’arte occidentale ed in particolare la scultura classica (greca e romana) e la scultura romanica. Nella mostra della Galerie Nationale abbiamo ammirato i suoi complicati lavori di fil di ferro ricoperto di spago: riletture delle maschere tradizionali africane e riletture delle sculture della tradizione occidentale (dai Cristi crocifissi ai Moderni).
Joseph Francis Sumégné lavora con i materiali riciclati, e sposta l’attenzione su una problematica contemporanea e per nulla riguardante il solo continente africano: cosa fare, nelle società definite “progredite”, di resti, rifiuti e materiali di scarto?
In piedi, in mezzo alla sua installazione composta di oggetti trovati, copertoni, vesti, fil di ferro, l’artista sembra essere a suo agio: anzi ne è parte integrante, un’estensione delle sue figure umane, disposte in circolo quasi a ricordare un incontro ufficiale in un villaggio.
Tapfuma Gutsa è invece un artista della pietra, secondo la tradizione del suo paese di origine. L’uso della pietra- spiega Konaté – ha una lunga tradizione nella storia artistica dello Zimbabwe.
Gutsa la utilizza in maniera innovativa: una volta tagliata, è assemblata in un inedito equilibrio precario, per rendere l’idea di una – quasi impossibile – fragilità della materia”-

 

Christian Lattier
di Lucrezia Cippitelli

Nato nel 1925 e morto nel 1978 in Costa d’Avorio, Christian Lattier è uno dei più noti artisti ivoriani del Novecento. 
Trasferitosi in Francia da giovane, dopo gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Saint-Etienne per poi trasferirsi a Parigi e completare la sua formazione nella capitale francese. Dopo gli studi si è dedicato all’architettura, alla scultura ed al restauro delle cattedrali romaniche francesi. 
Ha poi iniziato a realizzare le sue prime sculture, esponendo, a Parigi, con artisti come Picasso e Dalì. Negli Anni Cinquanta ha per la prima volta realizzato i suoi lavori in corda e filo di ferro: ironiche riletture dei classici dell’arte occidentale (prendendo di mira, con spirito irriverente e giocoso ad esempio la Vittoria di Samotracia: Il ladro di polli o La Venere di Samotracia, 1962) e della tradizione scultorea del continente africano.
Dopo essere tornato ad Abidjan nel 1962 per insegnare alla Scuola Nazionale di Belle Arti, nel 1966 è stato premiato al Festival delle Arti Negre di Dakar . 

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Dall’alto:
La Galerie National di Dakar
L’Installazione di Tapfuma Gutsa
L’installazione di Joseph Francis Sumegné
Due sculture di Christian Lattier