Architettura mobile, installazione di Fabrizio Crisafulli, è una riflessione sullo spazio, sulla stasi e il movimento, sui rapporti tra reale e virtuale, immagine e corpo, volume e bidimensionalità, nonché sulla ricchezza di potenzialità nelle associazioni immagine/suono (fa parte del lavoro un sonoro concreto e incalzante di Marco Schiavoni, fatto di tonfi, echi, trascinamenti).
L’arte di Crisafulli – che unisce in una stessa ispirazione ricerca visiva e teatro – è costantemente arte dello spazio e del movimento. Si tratti della scatola nera teatrale o dello spazio “reale” di quello che l’artista definisce “teatro dei luoghi”, dal sito archeologico ad un qualsiasi “non luogo” della contemporaneità: spazi “individuati”, con la loro storia e la loro funzione, la loro memoria e il loro vissuto, assunti come condizione di partenza dell’ideazione e del lavoro dei performer. O, come in questo caso, di uno spazio museale, deputato all’arte, anche qui trattato secondo il criterio del “teatro dei luoghi”. La luce, altro elemento centrale della ricerca di Crisafulli, è essa stessa performer, protagonista, anzi, elemento generatore dell’azione, del movimento, del pensiero; luce che non illumina i corpi, ma che con i corpi si identifica, rendendoli luminescenti.
Per Architettura mobile Crisafulli ha proiettato geometrie colorate in movimento, create al computer, sui volumi delle travi e dei pilastri di una sala del Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”, facendole coincidere esattamente con essi. Il medesimo video è proiettato contemporaneamente sullo “schermo piatto” della parete di fondo della sala. Con esiti totalmente differenti dell’immagine nelle tre e nelle due dimensioni, che però si richiamano continuamente attraverso la simultaneità delle forme, dei colori e dei movimenti.
Con procedimento simile Crisafulli era già intervenuto alla Torre Valadier di Ponte Milvio (nella prima “Notte bianca” romana, 2003), facendo rivivere il monumento con una straordinaria “animazione” ritmata e astratta, per certi versi vicina – con forme nuove – al cinema sperimentale di Fernand Léger.
In Architettura mobile, le forme in fuga create a partire dalla visione laterale dell’architettura – su di essa riproiettate – si compongono alla vista frontale in calligrafie mobili, come in un procedimento anamorfico. La luce anima l’architettura e la rende capace di traslare dalla tridimensionalità alla bidimensionalità e ritorno.
Dal punto di vista sensibile come da quello concettuale c’è qualcosa che ricorda James Turrell e le sue ricerche sullo spazio, la percezione e la luce, considerata anche dall’artista americano non funzione del vedere-altro ma elemento in sé, materiale che con l’architettura intesse un rapporto privilegiato. Ma se Turrell ama l’incanto calmo dello spazio e della luce, Crisafulli gioca di più sul ritmo, la dinamicità, la teatralità del lavoro. E cerca, nelle altre relazioni con l’ambiente reale, un supplemento di poesia. Se le linee dell’architettura fuggono, altra luce si incanala in questo movimento: una “fessura” luminosa bianca segue gli angoli che il pavimento forma con due pareti e quello che le pareti formano tra loro, disegnando gli assi cartesiani dello spazio espositivo. Questa luce, di cui non si individua la provenienza, ha una qualità “energetica”, misteriosa ed emozionante.