Note:

1 – F. Purini, I musei dell’iperconsumo , in Ciorra – Tchou 2006, pag. 51.
2 – F. Purini, I musei dell’iperconsumo , in Ciorra – Tchou 2006, pag. 51.
3 – Ibid.
4 – P. Nicolin, Palais de Tokyo. Site de création contemporaine , in Ciorra – Tchou 2006, pag. 37.
5 – S. Settis, Ma il museo ha un futuro? , 2006, citato in Ciorra – Tchou 2006, pag. 10.

Bibliografia / webgrafia.

P. Ciorra, D. Tchou (a cura di), Museums Next Generation. Il futuro dei musei, Electa, Milano 2006.

P. Ciorra, S. Suma (a cura di), I musei dell’Iperconsumo, Atti del convegno internazionale, Accademia Nazionale di San Luca, Roma 2003

P. Ciorra, S. Suma (a cura di), I musei dell’Iperconsumo, Materiali di studio, Accademia Nazionale di San Luca, Roma 2002

S. Settis, Ma il museo ha un futuro?, estratto dall’intervento al convegno “Il futuro dei musei” di San Pietroburgo del 30 giugno 2006), pubblicato in “La Repubblica”, 30 giugno 2006, pag. 53.
Museums XXI. Musei nel XXI secolo. Sito ufficiale <www.darc.beniculturali.it/
museums/index.htm>

Dati mostra e musei presentati:

Sedi. Roma,
MAXXI, 21/9 – 29/10/2006
Curatore. MAXXI Architettura e Pippo Ciorra
Catalogo.
Museums Next Generation. Il futuro dei musei, a cura di Pippo Ciorra e Donata Tchou, Electa, Milano 2006.

Dashanzi 798, Pechino. Nel 1995 l’Accademia di belle Arti di Pechino chiede di poter utilizzare uno spazio nel complesso industriale dismesso appena fuori città per trasferirvi il suo laboratorio di scultura. Da allora molti artisti cinesi hanno scelto la Fabbrica 798 per aprirvi il loro atelier, creando quella che è la più ampia zona adibita a spazi espositivi in Asia, con gallerie, bookshop, bar e ristoranti.

Il metrò dell’Arte, Napoli. Aperte tra l’aprile 2001 e il dicembre 2002, le nuove stazioni della linea 1 della metropolitana di Napoli sono state progettate da architetti come Alessandro Mendini e Gae Aulenti e contengono, sia al loro interno che all’esterno, opere di Chia, Spalletti, Paladino, Ontani, Cucchi, Rotella e molti altri artisti di diverse generazioni.

Palais de Tokyo, Parigi. Inaugurato nel 2002 all’interno di un palazzo del 1937 costruito per la VII Esposizione Universale, il Palais de Tokyo è stato ristrutturato con un budget assai ridotto dagli architetti Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal. Definito “site de création contemporaine”, oggi ospita mostre temporanee dal forte carattere innovativo e sperimentale.

Fiumara d’arte – L’atelier sul mare, Messina. Prima associazione etica, culturale ed estetica d’Italia, la
Fiumara d’arte nasce nel 1984 per iniziativa di Antonio Presti. E’ oggi un museo all’aperto, con opere di land art disseminate sul territorio tra la costa e i monti Nebrodi, tra cui la Finestra sul mare di Tano Festa. L’atelier sul mare è invece un albergo/museo in cui quattordici delle quaranta camere sono veri e propri ambienti o sculture spaziali realizzate da artsiti fra cui Luigi Mainolfi, Dario Bellezza, Hidetoshi Nagasawa.

Guggenheim Las Vegas, Las Vegas. Inaugurate nel 2001, le due sedi del Guggenheim Las Vegas sono state realizzate da Rem Koolhaas e hanno ospitato mostre di richiamo come “The art of Motorcycle”, con allestimenti di F. O. Gehry. Tra istituzione museale e padiglione da fiera, il Guggenheim Las Vegas ha dovuto però chiudere dopo soli quindici mesi a causa di un taglio sui costi, per permettere l’ampliamento del Guggenheim di New York.

Arte all’arte, San Gimignano. Dal 1996 i comuni di San Gimignano e delle cittadine circostanti hanno invitato sei artisti di provenienza diversa ogni anno per realizzare progetti site specific pensati per gli spazi pubblici dei borghi medievali toscani ed ispirati all’atmosfera del luogo. A discrezione delle amministrazioni locali, certe opere rimangono poi in via permanente, diventando parti integranti del carattere della città.

La Piel, IVAM, Valencia. Per l’espansione dell’Institut Valencia d’Art Modern, lo studio SANAA ha progettato La Piel come una copertura permeabile di leggero metallo forato, che contiene la struttura preesistente dell’Istituto e la zona urbana immediatamente intorno ad esso. La Piel lascia quest’ultima esposta ai fenomeni atmosferici ma dà la possibilità di chiudere determinate aree per utilizzarle come sale espositive, creando una zona ibrida tra museo e spazio urbano all’aperto.

MAN, Nuoro. Nato come istituzione locale per la promozione di artisti contemporanei sardi, il Museo d’Arte di Nuoro è ospitato dal 1999 in una palazzina ottocentesca sobriamente ristrutturata. Nonostante il budget limitato, il MAN si è affermato come una delle realtà museali più interessanti del panorama italiano, senza mai dimenticare la sua funzione sociale di promozione e didattica. Nel 2007 verranno aperti nuovi spazi, grazie all’estensione del MAN ai due edifici limitrofi.

Next Generation. Il futuro dei musei, progetto espositivo curato da Pippo Ciorra, è stato presentato nell’ambito di una mostra più ampia, dal titolo Museums XXI. Musei nel XXI secolo, ospitata questo autunno dal MAXXI (Museo delle Arti del XXI Secolo) di Roma. La sezione Next Generation è in realtà la presentazione un’indagine condotta fra i musei di arte contemporanea nel mondo, alla ricerca di casi particolari di progetti museali che rappresentassero una tendenza diversa da quella dei musei/monumento post-Beaubourg, in cui l’idea del museo si identifica con l’involucro architettonico, sempre più spesso di una tale invasività o appariscenza da mettere in secondo piano il suo contenuto e da segnare una forte discontinuità nel tessuto urbano in cui si inseriscono.

La tradizione dei musei spettacolari, degli “edifici-logo” (1), è una realtà affermata ormai da decenni a livello globale, culminata con la costruzione del Guggenheim di Bilbao di Frank O. Gehry, e che sembra ancora lontana dall’esaurirsi. Nucleo principale della mostra è infatti il progetto espositivo Musei nel XXI secolo: Idee, Progetti, Edifici , una mostra itinerante partita dall’Art Centre di Basilea che presenta una selezione di progetti di architettura museale realizzati o proposti negli ultimi 10 anni, incluso quello per lo stesso MAXXI firmato da Zaha Hadid. La costante che emerge dai progetti di questa mostra è quella di creare edifici con una precisa valenza iconica, che segnalino a prima vista nel paesaggio la presenza dell’arte come un’isola separata dalla realtà cittadina: basti pensare ai celeberrimi musei di Libeskind e Gehry. Con la loro presenza ingombrante questi sono chiamati a riqualificare aree urbane, promuovendo cultura e socialità ma soprattutto l’industria del turismo, attirando grandi masse di visitatori anche grazie alle loro forme eccentriche. I progetti museografici contemporanei di solito si profondono in complessi discorsi sulla funzione del museo come propulsore di spinta culturale, non più mero contenitore ma laboratorio di idee, oppure sul dialogo con le realtà locali che sono chiamati a rappresentare od animare, ma spesso questo dialogo si traduce tuttalpiù nell’impatto economico che il nuovo monumento/meta turistica ha sulla città (vedi il caso Bilbao), mentre il museo diventa un microcosmo cittadino a sé stante, fuori dal tempo, anzi, con i suoi tempi autonomi (da non-luogo, come i centri commerciali, con cui grazie a bookshop e gadget vari ad ogni modo è accomunabile), che isola l’arte e le idee che contiene dalla realtà esterna come un mausoleo dell’alterità, ed entra in competizione con le opere che dovrebbe promuovere diventando opera d’arte esso stesso (2). In che modo, dunque, i musei della prossima generazione dovrebbero distinguersi dai “musei dell’iperconsumo” (secondo una definizione di Giancarlo de Carlo (3))? Ciorra ha selezionato per la mostra esempi museali che rispondessero a due criteri fondamentali: i musei dovevano allontanarsi dall’idea tradizionale di architettura museale e di progetto edilizio chiuso e ben definito per diventare invece contenitori aperti, flessibili e dinamici, e dovevano mostrare un interesse reale per la valorizzazione del contesto sociale e territoriale in cui si inseriscono. Ciò ha condotto a selezionare strutture museali molto eterogenee, site soprattutto in stabili dimessi (la Fabbrica 798 di Pechino), aree da recuperare (Fiumara d’Arte) o infrastrutture cittadine (la metropolitana di Napoli). Si tratta perlopiù di progetti sperimentali (il Palais de Tokyo), a budget ridotto (il MAN di Nuoro) o addirittura a rischio di sgombero (di nuovo la Fabbrica 798), e di interventi architettonici contenuti, evanescenti ( La Piel di Valencia) o del tutto inesistenti, come nel caso dei musei virtuali. Ma lo scenario tracciato non è privo di interrogativi e lati oscuri. Un caso paradigmatico e controverso è infatti quello degli ultimi musei aperti dalla Fondazione Guggenheim, che dopo Bilbao ha moltiplicato i progetti per nuovi spazi espositivi secondo una vera e propria strategia di branding. L’ultima manovra di marketing è stata l’apertura di due sedi a Las Vegas: entrambe le strutture sono state realizzate da Rem Koolhaas come generici contenitori architettonici, come padiglioni fieristici che puntano sulla spettacolarità e sulla tecnologia degli allestimenti interni e su eventi di richiamo; queste intendono infatti diventare mete turistiche né più e ne meno come i casinò e gli alberghi che caratterizzano la città e attrarre visitatori con simili criteri di vistosità. È verso questo tipo di fluidità che vanno i musei della prossima generazione, quella delle strategie aziendali e del mercato dell’intrattenimento? Molto diverso è il caso della Fiumara d’Arte, museo all’aperto in provincia di Messina. Qui le opere vengono pensate per entrare a far parte del paesaggio, per caratterizzarlo conferendogli un’atmosfera poetica e unica nel suo genere e sottrarlo alla speculazione edilizia che stava deturpando la costa. Grazie alla Fiumara d’Arte e all’Atelier sul Mare, caso particolarissimo di hotel d’artista in cui le camere sono veri e propri opere-ambiente, si è creato un flusso turistico in una zona morta, nobilitandola anziché mercificarla. Il progetto denominato “Arte all’Arte” (durato dieci anni ed appena conclusosi), del comune di San Gimignano in collaborazione con altri comuni della zona, prevede in maniera simile la commissione di opere site-specific che vadano ad inserirsi nel contesto urbano della città, introducendo l’arte contemporanea negli spazi pubblici, in un dialogo con le costruzioni medievali dei borghi toscani, e portando nei piccoli paesi esperienze ed aspetti delle culture di tutto il mondo (gli artisti selezionati di anno in anno hanno infatti sempre provenienza diversa). L’influenza dell’iniziativa sulla città è forte e intorno e a partire dalle opere si sviluppano nuovi spazi fruibili e si stimola la crescita di comunità culturali considerate minori e “periferiche”. A Napoli, invece, l’apertura della linea 1 della metropolitana è stata l’occasione per inserire l’arte davvero a stretto contatto con la vita quotidiana: le strutture architettoniche delle fermate contengono opere sia al loro interno che all’esterno, rendendo quelli che sarebbero altrimenti stati ambienti neutrali, destinati unicamente ad un transito distratto, dei veri e propri spazi espositivi, sale di un particolarissimo museo cittadino dislocato sul territorio. Un contesto assai differente caratterizza la fabbrica Dashanzi 798, vicino Pechino, un complesso industriale parzialmente dismesso, dal 1995 gradualmente occupato da atelier di artisti locali e poi espanso sino a diventare la più ampia zona adibita a spazi espositivi in Asia, con gallerie, bookshop, bar e ristoranti. La comunità artistica di Dashanzi 798 si è rapidamente affermata come la fucina creativa più interessante del paese, ma nonostante tale successo essa non riceve alcun supporto o riconoscimento dal governo cinese, che aveva deciso di destinare l’area a nuovo polo dell’industria elettronica. L’identità della comunità artistica di Dashanzi è però ormai fortemente legata al luogo, al carattere di aggregazione spontanea che è venuto assumendo, quasi da insediamento abusivo; gli artisti locali faranno infatti di tutto per difendere questo fenomeno unico, reclamando il diritto a mantenere la gestione del complesso rivissuto grazie al loro entusiasmo e alla loro intraprendenza. Un simile effetto di provvisorietà si ha, a Parigi, in un contesto nettamente diverso. Il carattere sperimentale, di laboratorio della creatività contemporanea, del Palais de Tokyo è sottolineato dall’instabilità, dall’aspetto mobile dell’architettura degli interni, ridotta al minimo. Questo originale spazio espositivo è stato inaugurato nel 2002 all’interno di un palazzo del 1937, il cui aspetto esterno è stato lasciato intatto nel suo aspetto originale. Del resto l’edificio ha un alto valore come frutto dei dibattiti museografici dell’epoca, anche se l’impianto originario simmetrico, di tipo tradizionale, non riflette il pensiero già così innovativo di Louis Hautecoeur ed Henri Focillon del museo come “milieu vivant”, “organismo vivente e destinato a un processo di crescita permanente e di trasformazione della sua forma e delle sue funzioni” (4). Gli interventi negli interni hanno cercato quindi di recuperare questa definizione dello spazio museale: l’effetto è di portare il carattere aperto e mutevole degli spazi urbani all’interno del Palais, in cui l’allestimento interno definisce gli spazi espositivi e i servizi come cantieri non-finiti. Il Palais de Tokyo somma in sé i caratteri dell’atelier, dei laboratori collettivi, del centro sociale, delle strade di città, dello spazio espositivo temporaneo ed istituzionale, per una continua contaminazione di linguaggi espressivi e di modalità espositive e di fruizione. Un’architettura ambigua tra interno ed esterno è anche quella rappresentata da La Piel, progetto dello studio SANAA per l’espansione dell’Institut Valencia d’Art Modern. La Piel , una copertura permeabile di leggero metallo forato, è un’architettura-membrana che circonda l’Istituto e la zona urbana circostante, includendo lo spazio aperto nell’area del museo ma senza chiuderlo, senza isolarlo. L’area cittadina che circonda il museo vero e proprio, lasciata così com’è, diviene dunque uno spazio ibrido che vive per metà la sua natura urbana e per metà quella museale, con un effetto di compenetrazione ed influenza reciproca. Ma l’architettura si dissolve totalmente nel caso dei musei virtuali, che esistono solo in rete, in codice binario, in nessun luogo e potenzialmente in tutte le case di chi vorrà visitarli. Tali musei sono il canale privilegiato per le opere elettroniche e soprattutto di web art, che possono fare a meno di allestimenti tangibili e anzi assumono un significato particolare nei musei virtuali perché lì vivono del loro contesto mediale e culturale. I musei virtuali sono autosufficienti, trasversali (perché contemporaneamente contenitori di opere e di testi critici, di suoni e immagini ferme o fisse), ipertestuali e quindi collegati con tutto il sapere presente in rete che da essi può dipanarsi e ad essi può portare. Essi rivoluzionano ovviamente anche le modalità di fruizione da parte del visitatore: il museo diventa letteralmente un’interfaccia, che permette di fruire dei propri contenuti in maniera dislocata e domestica, potenzialmente presente ovunque arrivi Internet. Una sezione a parte all’interno della mostra, dal titolo Hyperlocal , era dedicata interamente al MAN, il Museo d’Arte di Nuoro, scelto come caso d’eccellenza nel panorama italiano per il modo in cui, dalla sua apertura nel 1999, ha saputo trasformarsi da piccola istituzione locale, destinata alla collezione di opere di artisti contemporanei sardi, a centro propulsore per la ricerca e la sperimentazione artistica. Mantenendo i costi contenuti e senza puntare su architetture firmate ed eclatanti, il MAN è riuscito a coniugare il lato migliore dell’istituzione museale come punto d’incontro tra l’artista e la società, tra i cittadini e la cultura non solo locale, con la tendenza a proporsi, man mano che ne aumentava il prestigio, anche come istituzione-immagine. L’assunto da cui parte la ricerca di Next Generation , quello appunto che la museografia si stia evolvendo verso forme diverse, prendendo le distanze dalla formula dei musei dell’iperconsumo, non sembra però tradursi ancora in una reale inversione di tendenza. Basti lanciare un’occhiata ai progetti esposti nella sala accanto, spettacolari, monumentali e costosissimi, tutti molto recenti o ancora da costruire. I casi presentati da Next Generation sembrano essere ancora isolati, voluti da pochi museografi lungimiranti, e a volte non frutto di progetti veri e propri ma di contingenze particolari, come nel caso di Dashanzi 798. Inoltre lo stesso Ciorra ha inserito nella ricerca l’esempio del Guggenheim di Las Vegas perché sia chiaro che le linee tendenza più recenti sembrano prendere direzioni molteplici e contraddittorie. È difficile prevedere cosa succederà, se tra queste un modello particolare si affermerà come emergente, o perfino se sentiremo ancora il bisogno di creare musei di qualunque tipo in un futuro. Del resto, come dice Salvatore Settis, “nulla garantisce che i musei debbano esistere ancora tra cento-duecento anni: essi sono una formazione storica che, come altre, può ad un certo punto perdere vitalità” (5). Ma già Ciorra non distingue nettamente tra museo e generico spazio espositivo, e questo è già di per sé significativo di ciò che egli vuole indicare nella sua ricerca come via di sviluppo futuro. Intanto noi attendiamo l’apertura del nuovo MAXXI, che non ci possiamo permettere ma per cui faremo dei sacrifici nel nome della promozione della buona architettura (quanti MAN e quanti Palais de Tokyo si sarebbero potuti aprire nel frattempo!), e staremo a vedere cosa si muoverà da qui alla prossima generazione.

]Dall’alto:

Dashanzi 798, Pechino (foto di Carl Shen)

Fiumara d’Arte, Scala Canzonieri, Messina

Palais de Tokyo, Parigi (foto di David Pradel)

Metrò dell’arte, Napoli: Fermata Dante. Joseph Kosuth, una frase tratta dal Convivio di Dante