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Avanguardia
nel presente
la mostra Domenico
Scudero La mostra è stata concepita su due livelli linguistici determinati:
il primo è quello della cernita di un nucleo di opere che stimo particolarmente
interessanti nell'ambito della contemporaneità. Sono lavori che hanno
stilisticamente poco in comune, a parte un accessorio corredo tecnico,
e che investono campi e settori differenti della ricerca ma che corrispondono
alle tematiche espresse nel testo di Avanguardia nel Presente. Opere
che vanno dal sabotaggio informatico - Zhou Tiehai ed i relativi problemi
aperti dal sistema telematico - all'esistenzialismo - quale quello
praticato da Baldinetti, esule "politico" nel suo monolocale -. Su
un secondo livello si situa la prassi futtuale dell'allestimento,
in cui quindi il percorso critico si dispone secondo tracce simboliche:
la simmetria quale rapporto vitale della cultura figurativa, il tempo
dell'azione fruitiva, la posa fondamentale dell'illuminazione, il
tempo proprio degli oggetti in mostra che narrano concisamente dieci
anni di lavoro critico ed espositivo. Nella visuale di questi parametri,
quindi, la mostra non può essere ricondotta allo stereotipo complementare
di una esperienza testuale quale quella del libro, né tantomeno illustrano
le complessità espresse dalla scrittura. Tuttavia esiste un rapporto
molto stretto, sincronico, fra quanto esiste nella "forma" e quanto
si attiva "esteticamente" attraverso la scrittura. In primo luogo
perché questi oggetti, che sono poi spesso oggetti quasi del tutto
immateriali, dimostrano la volontà di un'arte che si faccia portatrice
di una densità comunicativa; se dovessimo unificare queste differenti
esperienze estetiche espresse in mostra si potrebbe senz'altro sostenere
che esse ci pongono nei confronti di oggetti testimoniali di un itinerario
significante più vasto. I lavori presenti consistono, infatti, nella
maggior parte dei casi di frammenti "significativi" di un ordine discorsivo
molto ampio, a cui spesso questi lavori rimandano. E' quanto dimostrato
dal lavoro meno recente in mostra, datato 1991/92; si tratta di ODOS
di Alberto Zanazzo. Questo lavoro consistente in diciotto elementi
di perspex bianco era, infatti, il modulo simbolico di un'opera virtuale
della durata di un anno, realizzata in dodici mostre presenti in un
catalogo/libro d'artista e mai realizzate concretamente. Alfredo Baldinetti
presente con "Work in progress", 2001, è del tutto estraneo a questo
genere di rappresentazioni, ma l'opera proposta in questa mostra costituisce
un momento reale, vitale, esistenziale di una simile circostanza comunicativa:
l'artista, infatti, che ha scelto di esiliarsi nel suo monolocale
espone "evocativamente" se stesso chiuso nella sua stanza raggiungibile
attraverso la linea telefonica; un'opera esistenziale che si propone
di sostituire al rapporto impersonale fra "oggetto" e fruitore quello
più reale della partecipazione vitale. Il lavoro di Urs Breitenstein,
"Weltzeit", 1996, apre altri interrogativi: l'opera in sé è concretamente
un "file" elettronico di piccole dimensioni. Nelle istruzioni dell'artista,
tuttavia, l'opera si può realizzare solo con la sua messa in mostra
all'interno di un vecchio computer Mac. In questo caso quindi la delega
curatoriale investe anche un sostanziale principio estetico, attraverso
il quale il critico da fruitore passivo diviene parte esecutiva e
creativa dell'oggetto esposto. Opera del tutto testimoniale è quella
di Amanda R. Currie, "Heliport", 1996 - 2000, la quale usa un fotogramma
da diaproiezione per documentare un suo lavoro sociale venato di forte
riferimento all'environment ed alla land-art. Josef Dabernig con "Jogging",
2000, espone un lavoro video facente parte della sua ultima produzione,
fondata su una deterritorialità surreale dell'azione umana, della
frammentazione, dell'azione e dell'inspiegabilità complessa dell'esperienza.
Estremamente concettuale e tecnologica l'opera proposta da Dellbrügge
& de Moll, anche questa documentale di un ciclo vastissimo di lavori
assemblati in un CD interattivo "Hamburg-ersatz", 2000, esposto insieme
al catalogo cartaceo. Fa parte del ciclo "Diffidate della storia dell'arte"
l'opera "Speculum", 1996, di Sukran Moral: questo ciclo di lavori
si basava sulla incomunicabilità della storia dell'arte ad un pubblico
non esperto e sulla impossibilità di trovare un metodo rigoroso di
ricerca. Terminato in occasione della mostra il video di Christiana
Protto "Heads and tails uncut", 2000, rappresenta l'identità del contemporaneo
proiettata in una dimensione critica dell'arte, come sistema di indagine
sintattica sulle ragioni etiche e sull'entità educativa dell'immagine.
Simbolico dell'apertura verso l'alterità ed anche delle rivendicazioni
di un'arte non-occidentale, aderente alle dinamiche tecnologiche,
l'azione sabotatrice di Zhou Tiehai; "Fake cover", 1995-1998, rappresenta
una sorta di elemento paradigmatico delle emergenze e delle sincronie
attualmente attive nell'ambito dell'arte contemporanea. Il lavoro
di Annecchini, "Abitare la Distanza", 1998, infine, dimostra la possibilità
di un'arte critica in cui l'elemento testuale ne risulti inglobato;
in questo caso l'opera che nella prima ideazione risale al 1988, risulta
rimaneggiata nelle proporzioni. Il testo critico, simbolicamente "il
piedistallo teorico" su cui viene proiettata l'immagine, propone una
fattiva visuale delle possibili collaborazioni fra artista e critico.
Nella sua proposta complessiva la mostra agisce su un ulteriore differente
livelli narrativo; a corollario di una forma individuale l'intervento
non indifferente di un agire critico operativo decide l'uso di una
simmetria espositiva e di una "forma conclusa e complessa" della mostra
a rilevare l'emergere di relazioni successive che mettono in scena
l'identità curatoriale come elemento non marginale dell'esecuzione
espositiva.