letture
attive-active lectures
Il ciclo di
letture attive prosegue con la presentazione del libro e di un'opera
di Giuseppe Pansino e con la partecipazione di Simonetta Lux, Sergio
Lombardo, Aldo Carotenuto.
di Emilia Jacobacci
Per il nono incontro
del ciclo "Letture Attive" il Mlac pone all'attenzione contestualmente
due opere di Giuseppe Pansini: il saggio "Il cavallo di Ulisse,
tra Freud e Jung un progetto per la psicologia dell'arte" e un
quadro, "Schizofrenia paranoide: occhio-quadro".
La riflessione della psicologia e della psicanalisi si fa qui arte-
arte, come ricorda Simonetta Lux, che è processo creativo,
conoscitivo e dunque formativo - in un'identità che ci chiama
in causa tutti (fruitori, artisti e psicanalisti, critici e storici
dell'arte), diremmo "eventualisticamente", nel tentativo
di mettere a fuoco, di interpretare, di comprendere.
Il discorso ruota intorno alla nostra capacità - come pazienti
sani- di vivere la condizione di uno stato mentale patologico attraverso
il vissuto artistico che diventa stimolo ad una risposta attiva, non
indotta, e dunque realmente creativa e conoscitiva.
Nel saggio, la
complessa relazione tra arte e psicologia, nelle molteplici applicazioni
particolari a cui ha dato vita dalla seconda metà del secolo
scorso, è affrontata da Pansini alla luce di un distinguo primario
tra psicologia dell'arte e arteterapia: essendo nel primo caso la
psicologia al servizio dell'arte e nel secondo l'arte al servizio
della cura del disagio psicologico.
Orientata alla luce di questa precisazione, l'opera di Pansini getta
un ponte tra arte e psicologia: artisticamente chiama in causa le
teorie eventualiste di Sergio Lombardo sulla capacità dell'arte
di farsi stimolo e strumento creativo di rivelazione del nostro psicologico
nell'ampiezza e nella varietà interpretativa del fruitore;
psicologicamente indaga la condizione denominata dalla psicanalista
inglese M.Klein "posizione schizoparanoide".
La finalità non è terapeutica e se psicologia e psicanalisi
sono insite nell'opera d'arte, il portato non è curare uno
stato patologico ma proporre un'esperienza culturale dal valore creativo
e conoscitivo.
"Schizofrenia paranoide: occhio-quadro" presenta una composizione
modulare di riquadri in otto gradazioni di grigio: solo ad una certa
distanza lo spettatore ricompone il pattern deframmentato dei quadrati
nell'unità visibile che si rivela come l'immagine in primo
piano di un occhio umano.
L'osservazione del quadro, come percezione frammentata e ambigua,
ci immette nella condizione mentale scissa dello schizoparanoide che,
nel suo stato patologico, non è in grado di assumere una visione
coerentemente unitaria del percepito. Lo stato mentale dello schizoparanoide
è originato dall'incapacità di accettare una realtà
dolorosa, incapacità che si traduce in una frattura con la
realtà stessa: ad una condizione di sofferenza si preferisce
la fuga dalla percezione del reale come unità. Lo spettatore
"troppo vicino" , non riuscendo a riassumere le parti in
un tutto, si trova così nella posizione del paziente affetto
da schizofrenia ma il suo stato "sano" lo conduce a compiere
un processo di distanziamento e messa a fuoco per poter integrare
i frammenti e "vedere": nient'altro che il processo terapeutico
che consiste nel distacco dalla situazione dolorosa e dalla ricomposizione
del proprio universo caotico in un vissuto dotato di senso.
Arte e psicologia allora si incontrano nella visione di quest'immagine
deframmentata e ricomposta, dove la psicologia diventa metodo dell'arte
e, come dispositivo visivo suscettibile di interpretazione differenziata,
l'arte rivela il suo valore psicologico: ad uno spettatore di stato
mentale "sano" Pansini offre uno sguardo che lo espone all'incapacità
di "vedere" e metaforicamente l'immagine si ricompone in
un occhio: ciò che si compone, si comprende, - nel senso letterale
del termine - è l'atto stesso del vedere e più in generale
le condizioni in cui si dà ogni atto percettivo completo e
dotato di senso.
Per leggere l'immagine e vederla come un tutto è necessaria
la distanza e un dosaggio di luce relativamente basso: troppa vicinanza
(fisica ma, perché no, anche emotiva e mentale) e un'esposizione
ad una luce troppo intensa in luogo della realtà nella sua
interezza e nel suo significato complessivo ci fanno percepire porzioni
di realtà , riquadri .
Ma allora se lo sguardo "reale" - e qualsiasi comprensione
- si danno a distanza e ad una luce discreta, non è forse uno
sguardo schizofrenico e un orizzonte caoticamente privo di senso quello
in cui ci immette la cultura sovraesposta, ridondante e pressante
della società contemporanea? Non siamo forse tutti noi esposti
all'incapacità dello schizoparanoide?
E qual' è la via terapeutica per il nostro contemporaneo stato
simbiotico con il caos di una realtà parcellizzata?
Distanza. Di quadrato in quadrato, lo sguardo si ricompone. E l'arte
rivela la possibilità di una visione autentica.