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ArtconFusion
A cura di Maria Egizia Fiaschetti e Agnese Malatesti
Inaugurazione 11 luglio 2002, 18.
22 11 luglio 2002 - 31 luglio 2002, 2 settembre 2002 - 21 settembre
2002
testo di Maria Egizia Fiaschetti
Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea ha concluso la sua attività
espositiva per l'anno 2001-02 con l'organizzazione di un fuori programma,
in cui l'estemporaneità s'intona perfettamente alla freschezza
e all'ardito sperimentalismo che, da sempre, costituiscono la cifra
distintiva e inconfondibile di questo spazio. Uno spazio che funge,
non tanto da contenitore, quanto da propulsore d'idee e progetti, suscitati
dall'atmosfera stimolante che vi si respira. L'apertura e la proiezione
verso l'esterno, alla ricerca di una condivisione intersoggettiva, ispirata
al dialogo e allo scambio dialettico, gli conferiscono un'impronta di
marcata originalità, rendendolo un unicum nel panorama nazionale.
Il Museo inteso, dunque, non come vetrina (sepolcro) delle opere d'arte,
ma come luogo di formazione e crescita intellettuale, che emergono tra
gli obiettivi prioritari della mission universitaria. In sintonia con
tale tendenza, l'11 Luglio 2002 il MLAC ha presentato un evento dal
titolo ArtconFusion, a sottolineare l'urgenza di sconfinare da griglie
e schemi prestabiliti: la confusione allude, infatti, al radicale sovvertimento
di quei parametri che, paralizzati nel tessuto atrofico della dottrina,
sono soliti orientare la fruizione estetica e la prassi storico-critica.
La confusione non coincide, tuttavia, con la semplice ribellione a stilemi
passatisti, espressa tramite un lessico impetuoso e vagamente romantico,
memore del Futurismo; essa svela, al contrario, la sua natura proteiforme,
evocando, oltre alla sensazione immediata di un caos primordiale, quella,
più profonda, di una coincidentia oppositorum. Filo conduttore
della mostra-evento è, appunto, l'armonico contemperamento dei
contrari che, aggregati secondo una logica non meramente additiva, ma
sinergica e relazionale, tessono una fitta rete di rapporti: echi che
si rispondono a distanza, stabilendo un colloquio libero dai convenzionali
codici linguistici e comunicativi. Le informazioni si coordinano e intrecciano
spontaneamente, senza obbedire a un percorso narrativo già segnato
in partenza; i vari elementi, apparentemente privi di un nesso, mostrano,
al contrario, inedite e misteriose analogie. Tale modus operandi affonda
le sue radici in un sostrato teorico, che intende promuovere un approccio
trasversale e multidisciplinare alla contemporaneità, mediante
l'attraversamento di generi, forme, linguaggi. A questo proposito, MLAC
Digital History, una sorta di collage video proiettato nella sala inferiore,
raccoglie, in formato digitale, le memorie fotografiche del Museo Laboratorio
datate 2001-02. Uno sguardo retrospettivo che, privo di fini documentari,
mette a fuoco il perseguimento d'iniziative e interessi molteplici,
che spaziano dalle mostre alle letture attive, dalla ricerca alla didattica.
Una breve, quanto icastica presentazione, che introduce all'originale
allestimento della sala superiore. Due videoinstallazioni si snodano
sui lati brevi dello spazio espositivo, poste in modo speculare l'una
rispetto all'altra; ad accomunarle è la riflessione sul concetto
d'identità che, nel video di Nathalie Grenzhaeuser (Solo Tango,
2000-02) sembra scaturire, inevitabilmente, dal confronto con l'altro,
dentro e fuori di sé. Protagonista è, infatti, l'artista
che veste, contemporaneamente, i panni dell'uomo e della donna, in un'atmosfera
immobile e sospesa, dominata da un grigiore che imprime alle immagini
una patina d'antico. E' come se le silhouette impalpabili dei personaggi
levitassero nel flusso dei pixel luminosi, sospinte dalla corrente del
ricordo o, forse, del sogno. La presenza di uno stipite murario taglia
in due la scena, costringendoli ad agire, ciascuno nel proprio spazio,
senza alcuna possibilità d'incontro. Essi, inoltre, sono sempre
distanti e posti, alternativamente, l'uno in primo piano, l'altra sullo
sfondo. Il mancato sincronismo suggerisce l'idea di una separazione
tra i sessi, dalla quale sembra dipendere la conseguente assenza di
dialogo. Al contempo l'artista, giocando sul filo di un'ambiguità
attenuata dal sapore retrò della scena, stile film anni '50,
esibisce un'identità bifronte e frammentata. Diversamente Shaghayegh
Sharafi, In una stanza grande quanto la solitudine (2001), pone l'accento
sul ricordo, individuale e collettivo, inteso come riserva aurea del
proprio assetto identitario. La fotografia è rappresentata dai
lavori dei giovani Andrea Malizia e Eugenio Percossi. Il primo propone
tre stampe su alluminio di ampio formato (Occhio; Cerchio; Spalla, 2002):
immagini astratte di oggetti; presenze, apparentemente insignificanti
e inanimate, che popolano il suo studio, ora ingrandite oltre misura,
ora deformate a tal punto da risultare irriconoscibili. Lo sguardo trapassa
dall'impatto percettivo con le cose, spesso viziato da inveterate abitudini
retiniche, nell'intelletto, che svela un mondo invisibile, ancora inesplorato,
oltre l'apparenza. Estraneo a qualsiasi poetica del quotidiano, Malizia
non conferisce, perciò, alcun valore simbolico ai propri scatti
che, non tanto sembrano fotografare gli oggetti, quanto le immagini
mentali, sfuggenti e visionarie, da essi suggerite. Eugenio Percossi
presenta due lavori tratti dalla recente serie Escape (2002), realizzata
durante un viaggio a New York dopo la tragedia di Ground Zero. L'obiettivo
isola, dal formicolio variopinto dei passanti, alcuni individui in bianco
e nero, a sottolineare l'incessante insinuarsi della morte nella vita.
L'uso del mezzo fotografico sembra confermare questo dato ineluttabile,
potendo vantare, al riguardo, un ricco bottino di cadaveri! Ines Fontenla
è presente con tre installazioni: Orbis Terrarum (1996), Impero
(1997) e Cosmographia Terrestre (1997-2002). L'ultima, site-specific,
è stata progettata, traendo spunto da un precedente lavoro, appositamente
per il Museo Laboratorio. Alcune calotte emisferiche, sulle quali si
dispiegano le rappresentazioni cartografiche dei continenti, sono immerse
in una distesa di pigmento blu oltremare. L'artista, che da sempre riflette
sulle diverse modalità di concepire e raffigurare il nostro pianeta
nel corso dei secoli, sembra proiettare la sua immagine mentale nello
spazio infinito del cosmo. La Terra, dunque, come prodotto di una speculazione
che cerca, costantemente, di oltrepassare i suoi limiti per conquistare
nuovi traguardi conoscitivi. L'evento totale e in progress di ArtconFusion
è culminato nell'azione poetico-teatrale di Ghislain Mayaud/
Marco Olimpio/ Gabriella Fedele. La terrazza del Museo Laboratorio ha
ospitato, per l'occasione, un suggestivo intervento basato sull'interazione
tra corpo, suono, parola. Successivamente, Sukran Moral ha allestito
alcuni materiali (tavolo, telo rosso, immagini del colpo di stato in
Turchia), a comporre lo scenario di una performance, piuttosto allusa
che, effettivamente, realizzata. Un'azione mancata, giocata sugli opposti
crinali della presenza-assenza, nonché sulla smaterializzazione
della stessa figura dell'artista. Come dire:
Fiat aura!
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