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Shaghayegh Sharafi, In una stanza grande quanto la solitudine, visione dell'installazione presso il MLAC, dicembre 2001 - gennaio 2002





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Shaghayegh Sharafi "In una stanza grande quanto la solitudine"
comunicato stampa

Shaghayagh Sharafi "In una stanza grande quanto la solitudine"
di Maria Egizia Fiaschetti



Shaghayegh Sharafi
In una stanza grande quanto la solitudine

A cura di Domenico Scudero

Inaugurazione 13 dicembre 2001, 17 -20
13 dicembre 2001 - 11 gennaio 2002

Il 13 dicembre 2001 alle ore 17 presso il museo Laboratorio di Arte Contemporanea si inaugura la mostra di Shaghayegh Sharafi dal titolo "in una stanza grande quanto la solitudine". Shaghayegh Sharafi, artista iraniana residente in Italia da diversi anni, presenta una istallazione video in cui l'evidenza del ricordo culturale d'origine si coniuga con una sperimentazione tecnologica di grande impatto espositivo. Le immagini e le emozioni suscitate dall'istallazione visiva si coniugano con il paesaggio poetico di una recitazione in lingua originale.
Questa mostra aperta sino al giorno 11 gennaio 2002 inaugura un ulteriore segmento nella programmazione del Museo Laboratorio. Questo ciclo di mostre ed eventi dal titolo di "Laboratorio" si situa infatti nella nuova offerta formativa del MLAC dell'università proteso alla definizione di un suo ruolo determinante nell'ambito dei corsi sperimentali in Cura Critica ed Installazione Museale che pongono questa struttura all'avanguardia in Italia. I laboratori e gli stage di cura critica ed installazione museale voluti da Simonetta Lux, direttore del museo, ed ideati da Domenico Scudero, curatore del MLAC, aprono un filo diretto con l'arte emergente e offrono un possibile contatto fra la ricerca sperimentale e le istituzioni universitarie.

La mostra resterà aperta dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle ore 20.

 

Shaghayagh Sharafi
In una stanza grande quanto la solitudine…

testo di di Maria Egizia Fiaschetti

La mostra dell'artista iraniana Shaghayagh Sharafi, allestita nella sala inferiore del MLAC, è un'installazione video che propone l'immagine di una vasca di pesci rossi, accompagnata da un coro di voci infantili, che intonano una filastrocca popolare simile al nostro giro-giro-tondo. La cantilena dei bambini si richiama al ritmo palpitante dell'acqua che, pulsando sulle pareti dello spazio espositivo, suggerisce l'idea di un fluire circolare e ininterrotto, di una cronodinamica interna al soggetto, densa di ricordi e gravida di attese. A tenerne il conto sono quelle fasi della vita che veicolano la possibilità della metamorfosi: l'infanzia, l'età adulta, "l'autunno" delle foglie che, dai vasi posti sul bordo della vasca, si staccano e si depositano a pelo d'acqua, residui di un ciclo biologico destinato a essere risucchiato nella vorticosa spirale del tempo. Il canto dei bambini è disturbato dall'interferenza di una voce femminile, che recita alcuni versi della poesia: "Una stanza grande come la solitudine" della poetessa iraniana Forugh Farokhzad: da qui il titolo dell'opera. La donna adulta, che utilizza il registro aulico e sofisticato della poesia, non si contrappone ai bambini dal canto fresco, spontaneo, immediato. Al contrario, il potere evocativo della poesia consente di rivivere l'incanto e la suggestione dell'infanzia. La litania infantile è, successivamente, interpolata dall'inserimento di una voce maschile che recita un discorso dal tono ufficiale e retorico. L'effetto, questa volta, è di assoluta dissonanza: come conciliare, infatti, ragione e sentimento, lògos e poiesis? L'immagine della vasca è, per l'artista, densa di richiami affettivi e ricorre spesso nei suoi lavori, come nell'intervento realizzato al Museo Sperimentale di Arte Contemporanea dell'Aquila nel 1998. In quell'occasione, la Sharafi concepiva un'originale "variazione su tema", scandita nella sequenza di un trittico. All'interno del museo la vasca, non più semplicemente evocata, svelava la sua essenza materica: una forma quadrata piena d'acqua e pesci rossi. Nella stanza attigua, un'altra ipotesi d'esistenza: la stessa vasca, vuota, circondata da una teoria di alberi dalle foglie accartocciate e dai frutti avvizziti, testimoni lapidari dell'aspra sentenza: "Memento mori"…! All'esterno, nel parco antistante il museo, si apriva una fossa quadrata scavata nel ventre della terra, al tempo stesso utero e bara, principio e fine di tutto. I tre appuntamenti, dislocati in luoghi diversi dello spazio e del tempo, visualizzavano l'avvicendarsi delle età, il sormontarsi degli evi, reversibili nell'orizzonte dinamico dell'esistenza. Analogamente, l'installazione ideata per il Museo Laboratorio svela un uso peculiare del video, quale supporto della memoria e veicolo di emozioni. Del mezzo non s'intende, infatti, esibire l'accattivante abito tecnologico; al contrario, l'artista utilizza il video per ricreare l'immagine, a lei cara, della vasca di pesci rossi: un'immagine che, scorrendo sulle pareti della sala, avvolge il visitatore e lo invita a "entrare" nell'opera.