Bibliografia

Stéphane Hessel, Indignez-vous! (2010), trad. it. Indignatevi, ADD editore (ed), Torino, 2011

Jean Paul Satre, L’être et le néant (1943), trad. it. L’essere e il nulla, ed. cons. Net editore (ed), Milano, 2002.

Nell’intera produzione artistica di Natacha Nisic, caratterizzata da un’interdisciplinarietà tra arte e cinema, appare evidente un aspetto che, mai come in questo periodo storico, acquista una strana urgenza: la densità del contenuto e l’intensità del valore emotivo. L’opera della Nisic va al di là del mezzo stesso e della semplice fascinazione artistica. L’utilizzo poetico, intelligente, raffinato e complesso del suo linguaggio espressivo si manifesta attraverso l’opera per approdare in un territorio sostanziale, non solo fenomenico, apparente, ma soprattutto esistenziale, fatto di senso, ragione e sentimento. Un contenuto emotivo che, probabilmente, nasce da una disperazione sociale, una perdizione della politica degli ideali, dove la ragione dell’essere contemporaneo risiede nella crisi emotiva, nell’implosione sentimentale, nell’automatica e autodistruttiva creazione di strutture mentali masturbatorie, nella continua gestazione di meccanismi e meccanicismi sterili come le macchine: celibi, improduttive, disorganizzate, perverse ed inutili. Nell’opera della Nisic troviamo una riformulazione dell’essere in quanto essere umano, persona, cittadino ed artista. Attraverso l’utilizzo del mezzo filmico e fotografico, con riprese fatte talvolta in primissimo piano e talvolta in campo lungo, e installazioni via via sempre più complesse e sofisticate, vediamo manifestarsi una certa critica e allo stesso tempo una vera e propria esigenza sociale.

In alcune opere la Nisic si focalizza sull’azione quotidiana, sul gesto, perché? Cosa vuole comunicare? Cosa vuole dirci? Dove ci vuole portare? Perché dovrei guardare l’immagine in primissimo piano di una mano come in Catalogue de gestes (1994/95)? Oppure vedere delle persone in una sala d’attesa, come in Attitudes, salled’attente (1997) e Attitudes-salle de projection (1999)? O ancora, come in Les Dormies (2004), contemplare i volti di persone che dormono in una metropolitana giapponese? Cosa ci vuole dire l’artista francese che esercita la sua professione oggi, in questo preciso periodo storico, dove l’unico segnale di rivolta, in un momento di disgregazione Europea, ci viene dato da un novantenne come Stéphane Hessel nel suo ultimo libro Indignatevi?

Ci invita semplicemente a focalizzarci sulle piccole cose? No, sarebbe troppo banale. Ritengo che la Nisic vada oltre la semplice descrizione di un’azione, il suo potrebbe essere un invito ad una certa rieducazione al sentimento della vita, contemplare le mani rugose che accarezzano le cose, osservare i visi sognanti, azioni che non hanno più spazio e tempo nell’economia della nostra quotidianità. L’artista utilizza inquadrature in primissimo piano per focalizzare l’immagine in piccoli spazi cosi il tempo sembra lunghissimo, e si ha la possibilità di dilatare l’emozione. Queste opere potrebbero essere una forma di denuncia dell’analfabetismo emotivo che incombe, l’idea che noi oggi abbiamo dell’essere al mondo, un mondo in cui è stato ribaltato lo spirito e il profondo sentimento anticonformista, d’impegno sociale, di condivisione, di liberazione emotiva del Sessantotto. Viviamo in un’epoca di disgregazione politica ma soprattutto sociale, l’uomo si è isolato dagli altri uomini, è diventato diffidente verso l’altro, nutre profonde idiosincrasie verso tutto ciò che è nuovo ma soprattutto significativo. Vige una profonda insicurezza emotiva, abbiamo trasformato i rapporti umani in rapporti fast-food veloci da consumare ma soprattutto economici, che non richiedono grandi dispendi di energie, non siamo più in grado di sostenere il valore reale di un’emozione. L’unico sentimento che si è radicato in noi è quello del possesso e non più della condivisione. Vaghiamo come manichini dechirichiani in spazi vuoti e profondi. Il mondo si è trasformato in un grande cast felliniano, in cui noi, deformi ed allucinati, intraprendiamo strani e fallimentari scambi verbali con l’altro perché non più abituati ad avere un contatto reale.

Così, la Nisic nutre la nostra coscienza di osservazioni, mostrandoci spazi vuoti, da prima con Zu Vermieten (1998/2003), un’installazione fotografica e video, mettendo in risalto le scatole bianche nelle quali abbiamo scelto di abitare, lavorare, ecc., prive di qualsiasi presenza umana, poi con Haus (2003), un’installazione più complessa dove ci viene mostrata l’immagine ripresa dall’alto di una casa impiantata in una griglia di legno a forma triangolare quasi a sembrare un tetto e predisposta nella sala espositiva al contrario, come un tetto capovolto, cosi da farci vedere il video solo utilizzando una diversa prospettiva, sdraiandoci anche a terra. È un invito a pensare in modo diverso o è la conferma del ribaltamento dei valori umani? L’oggettivazione di uno spazio interiore dove nemmeno l’uomo esiste più, dove l’unica connessione possibile è con il non essere, vivere per non esistere?

Il concetto di queste due opere si completa con Effroi (2005) un’opera che mette in relazione l’essere attuale con la memoria storica, e più precisamente con il destino di milioni di ebrei. L’opera è formata da un video ed una serie di fotografie sul campo di concentramento di Birkenau, realizzato dopo altre due opere che fanno parte della mostra permanente del Memoriale della Shoah di Parigi, La porte de Birkenau (2005) e Le Mémorial des enfants (2005). L’artista torna a Birkenau come un viaggiatore che non ha ancora compiuto la sua ultima destinazione, come se avesse lasciato qualcosa in sospeso in quel luogo di atrocità e violenza, come se non avesse raccontato ancora abbastanza con le altre due opere. E questa volta perlustra il sito come Diogene con la lanterna va alla ricerca dell’uomo. Probabilmente siamo in un’era in cui parlare o stare zitti è la stessa cosa, le parole non hanno significato, la comunicazione non è significazione, le parole non hanno un soggetto allora la Nisic ci cancella nello spazio attuale per cercarci in uno spazio storico, fatto di un immaginario collettivo, di false presenze, dove niente è palpabile se non il ricordo.

Anche nell’opera del 2009 “e”, (immagine in giapponese), la Nisic attraverso tre schermi giganti crea un sofisticato gioco di immagini che si alternano mostrandoci un paesaggio giapponese dopo il sisma del 2008 (di grande attualità tra l’altro). Le immagini sono veramente impressionanti: strade spaccate, ponti divisi a metà, montagne crollate, riprese prima dall’alto e poi in primo piano con telecamera a mano. Il video è accompagnato dai racconti delle persone che hanno vissuto questa traumatica esperienza e lo fanno non solo attraverso un discorso verbale ma anche mimico, gestuale. La Nisic esplora il genere umano nelle sue debolezze e disavventure e lo fa talvolta come una giornalista d’assalto mettendo in primo piano la crudeltà delle immagini, talvolta come una poetessa celando, dietro un raffinato ed articolato gioco tecnico, improbabili e profonde emozioni, ma soprattutto come una grande artista, critica, visionaria, e geniale nei confronti di tutte quelle tematiche che si presentano nel tempo.

In un’altra opera, Transport-depuis qu’elle est partie (1998), la Nisic si traveste metaforicamente da infermiera trasportando parte del nostro corpo, un’immagine di un ombelico, su di un carrello ospedaliero costruito da lei. La frammentazione del soggetto contemporaneo è palesato. L’installazione è molto complessa, il proiettore è montato sul soffitto e l’immagine video viene proiettata su un carrello, tipo quello dell’ospedale, colmo di acqua. Il fondo del carrello è di plexiglas in maniera tale che l’immagine possa attraversare l’acqua e prendere forma nella parte sottostante fatta di alluminio. Il riflesso dell’acqua proietta i colori dell’immagine sul soffitto. L’intenzione dell’artista era quella di creare una sorta di supporto che desse l’idea di trasportare un’immagine, in questo caso un ombelico, che rappresenta una parte di corpo, un frammento di umanità.

In altre due opere, Le suicide des objets (1999/2003) e Ikiru/vivre (1999/2003), credo che la Nisic arrivi al compimento di questa esigenza emotiva. Nella prima opera ci mostra il filmato di oggetti che cadono dal quinto piano di un palazzo, l’immagine è formata da una ripresa totale del cielo dove l’unica cosa visibile è l’oggetto che cade, nella seconda opera invece installa due cartelloni enormi sul tetto di un centro commerciale in Giappone ed in Francia mentre nell’atrio del centro fa circolare cartoline con su scritto: cosa vuol dire “vivere”? In Giappone scrive la parola “Vivre” e in Francia “Ikiru”, pertanto la domanda rimane incomprensibile, (forse come la vita?). In queste due opere è visibile tutta la disperazione, la perdizione, la crisi emotiva che l’artista, nel mondo contemporaneo, vive e che ci vuole far vivere. Diamo dignità agli oggetti e non rendiamo enigmatica la nostra vita.

Ma credo che la conclusione definitiva al discorso sia dettata da un’altra opera, Dérives (2008), un’installazione fatta di ghiaccio. Ghiaccio a forma di mani poggiate su di una superficie riflettente, su uno specchio, per rafforzare il riflesso dell’immagine che si scioglie a contatto con una temperatura più alta. Il gesto delle mani, elemento cruciale e fondante di tutta l’opera della Nisic, acquista una dimensione reale e non più immaginifica come nelle opere precedenti, non si serve di un supporto video, la mano diventa agente di un tempo che cambia le cose trasformandole in memoria, oppure, volendo dare un’accezione più critica verso la società, la mano di ghiaccio, che trova la sua ragion d’essere nella sua stessa dissoluzione, potrebbe divenire, come dice Woody Allen in Manhattan (1979): “metafora della decadenza della cultura contemporanea, come è difficile esistere in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica ad alto volume, dalla televisione, dal crimine, dall’immondizia.”

Osservare l’intera produzione di un singolo artista non significa semplicemente cercare una cifra stilistica nella sua opera, soffermarsi solo sull’aspetto tecnico-formale, individuare il suo linguaggio espressivo o il suo eventuale apporto innovativo alla semiotica dell’arte. L’opera d’arte non sarà mai il frutto sterile, superficiale e formale, il semplice “oggetto” da lanciare sul mercato per aumentare un certo interesse economico e non il valore reale della sua produttività. L’opera d’arte è “oggetto-essenza”, per citare Sartre ne L’essere e il nulla, un connubio inscindibile, la manifestazione oggettuale di un’essenza, una presenza, un’esistenza. Avvicinarsi alla produzione artistica della Nisic ci pone a contatto con “L’oggetto-essenza”. La Nisic trova un punto di unione estremo e decisivo, in cui le qualità di un oggetto quali il colore, l’odore, ecc.. rivelano e svelano nella loro apparenza la reale essenza dell’essere. Il fenomeno dell’essere si rivela quindi attraverso l’essere del fenomeno che non è solo pura apparenza ma anche sostanza della coscienza.

Dall’alto:

La porte de Birkenau, 2005, installazione, 2’54’’ S8, schermi e proiettori.

Le suicide des objets, 1999/03, video installazione, 5’20’’.

Effroi, 2005, video 7’30” DV/S8, fotografie 110×80 cm, registrazioni sonore.

Transport-depuis qu’elle est partie, 1998, installazione, 1 proiettore video, 1 carrello di alluminio, plexiglas, acqua.

Catalogue de gestes, 1994/95, video installazione, 8 min, 6 super 8.

Attitudes, salle d’attente, 1997, video installazione, 5 video proiettori, 16 sedili.

Attitudes-salle de projection, 1999, video installazione, 3 video proiettori, sedili del cinema.

Les Dorimies, 2004, video, 12 min.

Les Dorimies, 2004, video, 12 min.

Zu Vermieten, 1998/03, installazione fotografica e video, 9 Fotografie in bianco e nero,81 slide video (Dittici) colorate, 4 Fotografie illuminate nel retro.

Haus, 2003, installazione, due proiettori, struttura in legno e video.

Le Mémorial des enfants, 2005, installazione permanente, 3500 fotografie di bambini ebrei, plexiglas, luce al neon.

Ikiru/Vivre, 1999/03, light boxes 80×120 cm.

Ikiru/Vivre, 1999/03, light boxes 80×120 cm.

Dérives, 2008, installazione, ghiaccio a forma di mani, specchio 200×160 cm.