(1) Nel sito della 9° Biennale de La Habana, la citazione è esattamente questa: Patio de Nin (Video documentación) . René Francisco Barrio el Romerillo , 116 e/ 7ma y 9na, Playa; Edificio Santa Clara, Centro de Negocios Miramar Calle 3ra e/ 80 y 82, Playa
(2) Dal sito della Caribbean Contemporary Arts (CCA): Caribbean Contemporary Arts (CCA) was established to provide a space and structure in response to the social, political and cultural concerns of the many peoples who comprise the Caribbean Basin. The complex task of providing a medium for expression to a population that traces its influences to a number of continents, cultures, traditions and histories is important, both regionally and internationally. We believe that it is necessary for these new expressions of acculturation to first find recognition from the ‘inside’. CCA is an international arts organisation that works with contemporary visual artists, curators, writers, historians and art educators from the Caribbean and the Caribbean Diaspora to exhibit, publish and document our region’s art practice, influences and ideas. CCA maintains an active interest in work, which investigates and includes a diversity of subjects within contemporary art practice, art theory, art history and art criticism.
ART IN THEORY                                                                                                                         Nuovi protocolli dell’arte

 

In uno dei più poveri quartieri de La Habana a Cuba, nella notte di aprile del 2006, si è svolta una delle più interessanti “esposizioni collaterali”, ma anche più in generale uno dei più significativi eventi, della IX Biennale de l’Avana a Cuba: la proiezione su un grande schermo apprestato, dentro il quartiere, tra le case/baracche, in uno slargo della strada sterrata che lo attraversa, in una notte stellata, di due video, La casa di Rosa e Il Patio di Nin, che fanno parte di una trilogia che l’artista sta concludendo.
Nel programma della Biennale (1) è presentato – con una specie di understatement – come “ Video documentación ”, una definizione che non fa giustizia a un lavoro complesso e significativo, caratterizzato dallo svolgersi nel tempo (sono ormai quasi cinque anni che l’artista vi lavora, presentandone parti in giro per il mondo) e dal fatto che il procedimento stesso ed il tempo creativo sono l’opera.
L’opera d’arte di René Francisco è costituita dalle azioni fatte, dal coinvolgimento delle persone, dal luogo stesso nel quale la azione viene nel tempo videoregistrata ed, infine, dalla videoregistrazione stessa.
La trilogia con le sue parti è una opera/processo, nella quale il processo materiale (restaurare, comprare accessori, imbiancare, ricostruire), i prodotti (le case, il patio, i video) e i processi immateriali (il pensiero, le parole, le interviste, le interrelazioni ecc.) fanno un tutt’uno, ed ancora una volta istituiscono un protocollo dell’arte, non globalistica ma peculiare di un intero versante della ricerca artistica contemporanea non allineata .
Tutta la comunità del quartiere, che ama e conosce da anni René Francisco perché ha lavorato in mezzo a loro e con loro, si è riversata nel buio dello spiazzo, i bambini neri seminudi, le donne, i vecchi, i padri, con tante sedie tirate fuori dalle case spesso di lamiera e legni di riporto, oppure sedendosi lì tutt’intorno per terra. Grida di gioia e riconoscimenti di sé e delle altre persone nei due grandi video proiettati, commenti allegri e grande eccitazione. Vengono proiettati i video/racconto, splendido colore, primi piani e carrellate, di ciò che René Francisco ha realizzato in questi anni. René Francisco, artista ormai affermato in Europa e in America (è stato borsista in diverse fondazioni in Germania ed è professore nell’Arizona State University), ma che come i migliori artisti cubani vive, vuole vivere e dichiara di vivere a Cuba, che da ragazzino ha abitato lì vicino al Romerillo, ha deciso di identificare a un certo punto l’arte con la vita, l’arte con le risposte alle questioni più pungenti dell’uomo contemporaneo e che costellano l’arcipelago del mondo contemporaneo: questioni di cui il cittadino cubano può essere un esempio mediamente significativo.
René Francisco ha reso così “espresso” quello che dalla rivoluzione francese in poi consideriamo il ruolo dell’artista contemporaneo: “significare” – in quel modo unico che è l’arte – il pensiero critico che anima gli autori di tutti i generi artistici, da David in poi: Francisco esce però dalla metafora ed istituisce una nuova modalità di costruzione del simbolico. Solo Joseph Beuys e gli ideali irrealizzati dei Situazionisti degli anni Cinquanta del ‘900 possono essere considerati i suoi antecedenti.
Un giorno questo artista dolce e deciso, ha iniziato a visitare El Romerillo e – tra un suo viaggio e l’altro di studio o di lavoro – a fare domande alle persone, alle donne specialmente, chiedendo dei loro problemi, delle loro necessità, dei loro desideri, e domandando chi potesse rappresentare la saggezza e il sapere nel loro quartiere e nel contesto della società cubana. A parte la diffidenza iniziale, i sorrisi scettici, unanimemente furono indicate tre donne molto vecchie, tra cui Rosa che viveva ormai sola, con problemi di salute ed in una casa assolutamente disastrata ed improbabile e Nin, dolce e amata nella sua famiglia, ma in una situazione non diversa di casa e con altri problemi di vita.
René Francisco riesce a scalfire l’iniziale mutismo, a farsi raccontare da loro che sono vissute molto prima, durante e dopo la rivoluzione, ricordi, immagini, storie, fino ai desideri più segreti reticenti e mai fino ad allora veramente espressi.
Mentre tutto questo avviene, mentre si instaura fiducia, familiarità e amicizia, René Francisco intraprende la realizzazione di quei desideri e di quelle necessità più o meno evidenti e sotto gli occhi di tutti: restaura e ricostruisce la casa di Rosa, le realizza gli impianti, le riarreda la casa, le invia dalla Germania quelle speciali scarpe di cui ha bisogno, e così via. E di Nin ricostruisce il minuscolo patio, il giardino ridotto dalla mancanza di tempo e di soldi ad un orto di sassi e di pietra. Quando le interviste, i racconti, le confidenze dette sottovoce e le case sono completate, tutto si inaugura con la partecipazione di tutti gli abitanti del Romerillo, con una grande festa.
E l’opera d’arte di René Francisco continua: le riprese vengono montate in video. Alcuni frammenti del video nel frattempo sono portati in luoghi dell’arte fuori Cuba: ad esempio egli presenta una still del video La casa di Rosa intitolandola “ ca(s/z)a.persona.beuys ” (stampa xilografioca) alla galleria m:a di Berlino e alla Foto/Graphik Galerie Käthe Kollwitz, a cura di Pat Binder . Ed ecco questa recente tappa: la proiezione, il coinvolgimento di tutta la gente, i sentimenti di gioia e l’eccitazione di esserci lì, in quel video, anche vedersi mentre si lavorava insieme alla Casa di Rosa e al Patio di Nin.
Una specie di “Archeologia del desiderio”, dice René Francisco ad un giovane critico colombiano che lo intervista, una azione che va a cogliere proprio quell’aspetto dell’anima che, nelle note difficoltà dell’utopia cubana che resiste con la veste, in parte a brandelli, nel suo sogno sociale ad alto prezzo, realizzato e fermo nel tempo.
Proprio il tempo, la fluidità della vita, e la concretezza insieme dell’intrapresa, si profilano sull’orizzonte cristallizzato di un sistema, quello socialista – unico realizzato -, che fatica a raggiungere la sincronia tra economia locale ed economia globale.
Ed è proprio là, nel luogo delle pulsioni represse, che sembra doversi trovare la leva per mettere in funzione una strategia veramente condivisa e veramente antagonista all’imperialismo americano.
René Francisco ha raggiunto questa autonomia – creativa e propositiva insieme – liberandosi in tappe diverse della pura e semplice procedura metaforica dell’arte che ben conosce (la sua formazione alla eccellente ISA de La Habana ) come ancora faceva con l’opera del 1996, Sin título ( Senza titolo , installazione composta da un l ibro, un proiettile, una lampada e capelli. Collezione dell’ASU Art Museum), o in Repair Shop, (1995-1997, realizzata per la VI Biennale de La Habana nel 1998, fotografata da Gerhard Haupt, uno dei due critici creatori del sito www.universes-in-universe.de ).
È Pat Binder ad individuare nella serie Tubosutra (2001) nell’opera fatta con tubetti di dentifricio usati e “denudati” allo stato di alluminio, una combine sculpture della migliore tradizione neo-dada e neo-avanguardista, insomma una sintonia con la storia recente del sistema occidentale dell’arte.
Ed è sempre Pat Binder a seguire René Francisco affermandolo in Europa: tanto è vero che l’artista trova supporto per la sua impresa, che viene documentata dal portale tedesco “Universes in Universe”, quando alla VIII Biennale del Habana l’artista presenta il primo “rendiconto”: Ajuste de cuentas del progetto di trilogia. Riescono ad offrirgli una borsa in residence di tre mesi in Germania, supportando la realizzazione del progetto. È poi di nuovo Pat Binder a presentarne le prime still dal video La casa di Rosa, col titolo significativo ca(sz)a.persona.beuys (1st version), 2003.
Si tratta di una stampa xilografica in lightbox, che viene presentata nella Galleria Foto/Graphik Käthe Kollwitz di Berlino (agosto-dicembre 2003), nell’ambito di un progetto pluriennale della Binder che coinvolge diversi artisti. Una parte dell’edizione autografa delle stampe xilografiche sarebbe stata venduta, supportando la continuazione del progetto di René Francisco, attualmente ancora incompiuto. Non vi è dubbio che questa processualità intermodale di René Francisco rappresenti un dato importante nel dibattito attuale, sulle culture emergenti e sulla dialettica tra linguaggio (arte) ed azione politica, tra libertà creativa ed impegno. Dibattito che ha lunga storia, ma soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta (1989, Parigi, la mostra Magiciens de la terre curata da Jean Hubert Martin) e dagli inizi degli anni Novanta, si fa di fuoco. L’Europa è l’epicentro del terremoto culturale, i cui risvolti politici vengono compressi e parzialmente rimossi. Soprattutto con il crollo dei sistemi comunisti a partire dall’Unione Sovietica nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, la memoria si mette all’opera, me tre paesi come Cuba, compressi dal blocco, e ormai senza il supporto economico dell’URSS, vivono la peggiore delle crisi dopo la Rivoluzione. Proprio a partire da quegli anni, sin dal 1992, René Francisco, che insegnava alla ISA (Istituto Superior de Artes de la Habana , voluto da Castro nel 1959 e noto in tutto il mondo per l’alto livello della ricerca nelle arti, musica, pittura, coreografia, oggi multimedialità e perfino una cattedra inedita “ La catedra ar te de conducta ” ricoperta per prima da Tania Bruguera) si mette in sintonia col dibattito internazionale, mentre per altro verso si muove consapevolmente sul confine tra arte e ricerca sul campo , rispolverando l’antica morrisiana utopia dell’identità artista/artigiano/operaio, ma non facendosi ingabbiare – come allora e poi nel Realismo Socialista – nel cul de sac della pratica sociale. Non mi posso soffermare sui diversi passaggi, ma è certo che il progetto di nuovo statuto dell’arte, che non fosse allineato col sistema occidentale postindustriale avanzato, senza tuttavia rinnegarne i valori in toto , fa tutt’uno con una progressiva eccellenza di linguaggio e con una pratica di reinvenzione ed ibridazione di campi di azione, discipline creative e discipline conoscitive. Da qui nascerà il Caribbean Contemporary Arts (CCA) (2), ed a Trinidad, nel 1998, si tiene un workshop internazionale, the Big River Work Shop , dove oltre alle sculture di dentifrici della serie Tubosutra installate nella foresta tropicale, si attuano una serie di azioni (insieme alla statunitense Naomi Campbell, al giapponese Norotoshi Hirakawa e alla arubana Blenda Heimiller) di cui restano oggi pochi fotogrammi per un film incompiuto. C’è inoltre la sua creazione del gruppo Galeria DUPP ( Desde Una Pragmatica Pedagogica ), che nella VII Biennale de La Habana nel 2000, ha presentato un’installazione di pseudo microfoni muti e giganti rivolti dentro e fuori la Fortaleza de la Cabaña ad indicare una istanza di scambio e comunicazione; mentre Los Carpinteros costruivano una città ideale di edifici di stoffa “adattabili ad ogni luogo del mondo”, confermando l’istanza internazionalista, senza dimenticare le identità specifiche. Ma ormai il dado è tratto. La metafora si fa azione, grazie alla dialettica, di linguaggio e praxis, come cosa possibile.

 

 

Dall’alto:

René Francisco Rodriguez, casa. persona. beuys, 2003 – 2005
René Francisco Rodriguez, sequenza dal video El patio de Nin,
2001-2005 (stills dal video)
René Francisco Rodriguez, El patio de Nin, allestimento espositivo e
presentazione del video e del progetto, Miramar Trade Center, L’Avana,
marzo 2006