Riferimenti bibliografici:

Critical Art Ensemble, Digital Resistance: Explorations in Tactical Media, Autonomedia, New York (USA) 2001

Critical Art Ensemble, Electronic Civil Disobedience, Autonomedia, New York (USA) 1996

Arturo Di Corinto, Tommaso Tozzi, Hacktivism, la libertà nelle maglie della rete, Manifesto libri, Roma 2002

Matteo Pasquinelli, Media Activism, strategie e pratiche della comunicazione indipendente, Derive Approdi, Roma 2002

Riferimenti web:

http://isole.ecn.org/
thingnet/reviews/
cae_int.html

http://www.hackerart.org/
storia/hacktivism.htm

http://www.strano.net/
bazzichelli /pdf/Tommaso_Tozzi_
intervista.pdf

http://www.noemalab.
org/sections/specials/
tetcm/200304/hacker_
art/avanguardie.html

Note:

(1) http://www.hackerart.
org/ storia/hacktivism.htm

(2) Critical Art Ensemble,Digital Resistance: Explorations in Tactical Media, Autonomedia, New York (USA) 2001, p. 33.
(3) http://www.strano.net/
bazzichelli/pdf/Tommaso_ Tozzi_intervista.pdf

In Italia l’arte si è occupata spesso di difendere il diritto all’informazione e si è trovata vicina a problematiche sociali probabilmente più di quanto lo sia stata nel resto d’Europa.
Artisti come The Yes Men, il Chaos Computer Club, ®TMark, hanno sicuramente operato in funzione di obiettivi strettamente connessi a questioni politiche e sociali, ma nel nostro paese l’attivismo artistico si è indissolubilmente fuso con il mondo hacker e non si è reso manifesto solo in casi isolati.

L’etica hacker è nata all’interno del MIT di Boston verso la fine degli anni Cinquanta; Bill Gosper e Richard Greenblatt ne sono considerati i padri fondatori. 
Il tratto distintivo del movimento è il rifiuto dell’autorialità e l’uso libero e collettivo della tecnologia come mezzo per divulgare e condividere il sapere combattendo il monopolio delle conoscenze.

Da questo ambito e da quello dell’attivismo politico è nata l’idea di utilizzare la rete per supportare la lotta contro i meccanismi egemonici del mondo capitalistico, nel cyberspazio persone e gruppi possono incontrarsi, interagire e congegnare progetti comuni al di là delle barriere nazionali e della distanza fisica. Si tratta di sfruttare un universo parallelo, facilmente accessibile, almeno nei paesi più ricchi, con il fine di intervenire su quello reale mediante forme di resistenza digitale e di disobbedienza civile elettronica. Si è iniziato in proposito a parlare di hacktivism.

Hacktivisti sono gli hacker del software e gli ecologisti col computer, sono artisti e attivisti digitali, ricercatori, accademici e militanti politici, guastatori mediatici e pacifisti telematici. Per gli hacktivisti i computer e le reti sono strumenti di cambiamento sociale e terreno di conflitto. Hacktivism èl’azione diretta sulla rete. Hacktivism è il modo in cui gli attivisti del computer costruiscono i mondi dove vogliono vivere. Liberi”. (1)

L’idea della contestazione e della lotta messa in atto attraverso i mezzi informatici ha avuto inizio nel 1994, quando il Critical Art Ensemble (CAE), gruppo hacker composto da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr, e Beverly Schlee, nato nel 1987 a Talahasse (Florida), ha introdotto l’idea di una possibile disobbedienza civile elettronica (ECD). Si tratta di porre rimedio all’inadeguatezza dei vecchi metodi di disobbedienza civile (tipici degli anni Sessanta): di fronte alla decentralizzazione del capitalismo attuale non è più efficace l’occupazione fisica dei luoghi pubblici, è invece necessario bloccare i flussi d’informazione, vitali per la complessa organizzazione della società odierna.
C’è differenza tra la criminalità informatica e la disobbedienza civile elettronica. La prima cerca profitto danneggiando gli individui, mentre chi è coinvolto nella resistenza elettronica attacca solo le istituzioni senza ricavarne benefici materiali e per lo più dirigendo le operazioni tattiche contro obiettivi precisi e ben lontani dalla violenza contro i cittadini. 

Per quanto le considerazioni del CAE possano essere opinabili, è fondamentale considerare l’importanza attribuita alle nuove tecnologie come strumenti per intervenire nel sociale. Altrettanto importante è il fatto che, accanto all’hackeraggio dei sistemi informatici, sia stato proposto di attuare una vasta produzione e diffusione di cultura e saperi alternativi a quelli dominanti. 
La cultura è considerata come una fronte importante di resistenza ed uno degli obiettivi è quello di fondere arte e politica. Ciò nonostante, il Critical Art Ensemble si è schierato contro la
produzione artistica tradizionale e riconosciuta dalle istituzioni. Per quanto il senso di un oggetto culturale possa essere critico, lo si percepisce comunque in senso tradizionale nel momento in cui tale oggetto viene designato come oggetto d’arte. I lavori artistici che, per essere fruiti, dipendono dalla burocrazia, sono amministrati troppo bene per avere un qualsiasi potere di contestazione e finiscono col riaffermare la gerarchia del contesto entro in cui si trovano. L’unica via d’uscita è l’uso di tattiche “nomadiche” come il détournement, il vandalismo creativo, il plagiarismo ed il Teatro ricombinante.
In quest’ottica va vista la nascita, in Italia, dell’hacker art, in cui le strategie linguistiche ed estetiche dell’attivismo e della net.art sono messe al servizio della resistenza digitale e del sabotaggio contro il potere del capitale.

Il termine hacker art è stato coniato da Tommaso Tozzi nel 1989, che ha concepito tra l’altro lo spazio di attivismo in rete Hacker Art (www.hackerart.org), che ospita sia informazioni dettagliate su questa espressione artistica che un archivio culturale (l’Archivio Hacker Art). 
L’espressione hacker art designa un movimento interdisciplinare che pratica la disobbedienza civile elettronica, che non produce oggetti d’arte nel senso tradizionale del termine, ma che utilizza pratiche d’interferenza culturale per garantire l’uguaglianza tra i popoli, la difesa dei diritti costituzionali, tra cui il diritto alla libera espressione individuale e collettiva, il diritto alla privacy e, ovviamente, il diritto all’alfabetizzazione informatica. “Those who are electronically literate and dedicated to resisting both state authority and the hegemony of pancapitalism can use this development to great advantage”(2). 
L’hacker art partecipa ai processi di trasformazione della società, si basa sull’uso delle nuove tecnologie, sulla condivisione decentrata del sapere e sulla cooperazione tra le persone.

L’arte come inter-azione collettiva è un’idea che, senza dubbio, appartiene all’hacker art. L’espressione coevoluzione mutuale si riferisce “ad un sistema auto-organizzato in espansione, in cui vi sia un equilibrio per cui tutte le parti che appartengono al sistema traggano beneficio senza essere in alcun modo sussunte dalle altre parti. Tutti questi discorsi vogliono intendere una forma d’arte che possa coevolvere mutualisticamente conseguentemente all’azione spontanea e totalmente libera proveniente dal basso e possa svilupparsi in maniera autogestita in base alle relazioni orizzontali instaurate dagli individui stessi che la originano” (3).
Secondo quest’accezione, tutti possono essere fruitori e creatori al medesimo tempo, collaborando collettivamente e spontaneamente al processo evolutivo dell’opera d’arte, che in questo modo è
indipendente dalla volontà dei singoli che la producono. Di conseguenza, l’opera di hacker art trova il suo senso non nella sua manifestazione oggettuale o nel disegno preordinato di un artista, ma
nelle reti di relazioni e di scambi che la sottendono. L’arte è autoprodotta, autogestita, proviene dalla gente, è antigerargica ed antiautoritaria.

Nel Manifesto per la libertà della comunicazione elettronica nel terzo millennio, edito da sTRANOnETWORK, si legge che lo scopo primario (dell’hacker art e dell’hacker culture in generale) è quello di ottenere una vera libertà d’informazione, la quale si concretizza
nell’ottenimento ed il mantenimento di alcuni diritti fondamentali: il diritto d’accesso, cioè la disponibilità hardware, software, di connessione di rete e di formazione per tutti i cittadini; il diritto alla privacy e all’anonimato; il diritto alla copia (si tratta della battaglia contro il copyright); il diritto all’informazione, contro la censura in rete, sia che derivi da organi istituzionali sia che provenga da potentati economici o di privati (come i provider); il diritto alla cooperazione,
per accrescere le conoscenze collettive e quindi la cultura di ognuno.

L’hacker art è stata supportata, negli anni, da numerose mailing list italiane, che normalmente sono state anche i luoghi di riflessione sul network e sulla net.art: hackmeeting@kyuzz.org, AvANa-bbs, Arty-Party, Net_institute, AHA, Isole nella rete, Indymedia Italia.
Il cammino dell’hacker art non si è snodato solo tramite le reti, ma anche grazie ad altri spazi
fondamentali, gli hacklab e gli hackmeeting. Gli hacklab sono laboratori hacker, mentre gli hackmeeting sono eventi collettivi annuali di autoformazione a cui chiunque sia interessato può partecipare gratuitamente, la cui organizzazione è anch’essa collettiva ed ha luogo in rete, sulla mailing-list hackmeeting@kyuzz.org.

Dall’alto:

Strano Network, particolare del manifesto Diritto alla Comunicazione nello Scenario di Fine Millennio

MIT – Massachusetts Institute of Technology DR visto da Boston

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