La “terribile alternativa”
Gli artisti europei, al tempo del “modernismo”, prendono atto di un’esigenza di rinnovamento delle forme della socialità, cercando un adeguamento alla nostra epoca specificamente tecnologica, che differisce dalle epoche passate per essere “ultimativa” (la definizione viene da una felice intuizione di Giulio Bollati su Leopardi) dell’uomo come sistema di valori occidentale. Una resa dei conti con la nostra propria cultura, in cui le vite di “scarto assoluto” o evasive degli autori, così come le nuove eclatanti rese plastiche, rendono lo spasimo degli spiriti che si provano nel tentativo di mettersi “al diapason dell’essere, ed afferrarne il tono”(E. Cioran): pena un ritardo non più valicabile se non a mezzo di catastrofe. Da ciò il carattere di “aut aut” di tutti i proclami novecenteschi, una fermezza etica prima sconosciuta.

Attualità del surrealismo
Mi interessa qui abbozzare un discorso che renda alcuni interrogativi di fondo di una prospettiva ben lontana dall’essere chiara, la quale ci parla di morte, regresso o traviamento del surrealismo. Per cominciare, intendo rilevare che l’arte, da quando si è fatta superficialmente portatrice di istanze sociali, ha addebitato ai filosofi (o piuttosto ne è stata investita) una valutazione del proprio potenziale sovversivo, che è stata nel Novecento divergente, come possiamo ad esempio osservare nelle differenti interpretazioni fatte da Benjamin e Adorno sull’arte “di massa”. Le posizioni estetiche prima dominanti si sono risolte più per i motivi “spettacolari” dell’attuale società, piuttosto che per comunione di giudizio; meglio, è caduto l’interesse nel discutere la migliore ricetta di arte rivoluzionaria: concetto in qualche modo surclassato dai tempi, nonostante certi accanimenti terapeutici. Ai filosofi di oggi agitare le problematiche che ne conseguono. Tuttavia, non vedo come si possa rinviare il giudizio e la proposta di una specifica pretesa surrealista, e sto parlando di “cambiare la vita” e di “trasformare il mondo”: pretesa universale e fondata da Breton per i secoli venturi. Tale aspirazione sembra oggi facilmente liquidata dietro la retorica della cannibalica società dello spettacolo; rimozione culturale che rende notevolmente agli operatori preposti alla propaganda del surrealismo, nei termini di una certa dignità da ultimo baluardo della coscienza, nonché di una consolazione nell’addebitare il détournement degli ideali al “sistema”. Laddove la società dello spettacolo ha concretamente investito non tale pretesa e necessità universale (se non appunto seppellendola in un oblio parimenti alle altre forze che dirigono l’esistenza cosciente), ma la consistenza delle teorie estetiche che nascevano alla luce di una conoscenza idealistica dell’uomo, tramortite oggi dalla scoperta che l’uomo non vuole ciò che dice ma vuole sempre più il godimento.
Il surrealismo come movimento storico ha fallito ed è forse per tale virtù che oggi si trova insabbiato in diverse forme fossili (l’esteta Dalì piuttosto che l’anarchico Péret, per esempio); l’almanaccamento ne ha sancito la sconfitta. Resta però da fare i conti, per tutti, con quell’idea surrealista che “tende al recupero della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro se non la discesa vertiginosa in noi stessi”. Sempre nel Secondo manifesto Breton si augurava “che il diavolo preservi, ancora una volta, l’idea surrealista come qualsiasi altra idea che tenda ad assumere forma concreta, e a sottomettere a sé quanto si può immaginare di meglio nell’ordine del fatto, allo stesso modo che l’idea d’amore tende a dare vita a un essere, che l’idea di Rivoluzione tende a far venire il giorno di quella Rivoluzione, senza di che quelle idee perderebbero ogni senso”, al cui fine chiede “L’OCCULTAMENTO PROFONDO, EFFETTIVO DEL SURREALISMO.” Tale idea surrealista, che mira a cambiare la vita e trasformare il mondo in dipendenza del recupero di tutte le potenzialità del soggetto umano, e di cui Breton auspica l’occultamento, occorre sia in qualche modo definita e dichiarata oggi come il nocciolo del surrealismo, cioè di una esperienza e di una filosofia di vita, movimento altrimenti troppo confuso e costellato; e principalmente dagli storici dell’arte che ne detengono l’intera conoscenza ai propri fini settoriali. Dell’esistenza di questo nocciolo sono sicuro nella misura in cui direzioni di ricerca surrealiste restano inattuate e si applicano ad un’ulteriore indagine sulla cultura odierna. A tal fine ritengo utile (Breton mi giustifica) ridefinire il surrealismo, nei limiti del dominio dato dalle varie accezioni nel corso della sua storia, ma allo stesso tempo superando la definizione (illogica) data nel Primo manifesto, la qual dice: “Surrealismo, s. m. Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e morale.” Per cominciare: “L’automatismo psichico […] non ha mai costituito per il surrealismo un fine in sé.” (A. Breton, Posizione politica del surrealismo, 1935). Il fine è infatti di “esprimere il funzionamento reale del pensiero”. Per surrealismo intendo allora la possibilità per l’uomo di esperire funzionamenti mentali diversi da quelli insegnati dalla società di riferimento. Dipendono da questa possibilità: una nuova conoscenza della realtà, il cambiamento dell’agire umano, la rivoluzione ed altri assommativi in passato senza grande discernimento. Leader storico in Francia ne è André Breton, autoproclamatosi nel 1924. Il problema del surrealismo, così ipotizzato, ruota oggi intorno alla fattualità della trasmissione voluta da Breton grazie al proprio occultamento, ma a priori dalla consistenza della definizione che ne venne data nel corso del tempo. Non è detto che il surrealismo non sia stato nascosto ad usi futuri, e diversi indizi, come ancora una certa latitanza dalla storia della cultura, e un riferirsi a sue produzioni superficiali qualora ne venga inglobato, sembrano indicarcelo. Nessuno studio sistematico spiega come è finito, se è finito il surrealismo, e in quali termini, noi distratti dalla grandezza della sua mole culturale. La risposta semplice è che non sia ancora possibile sistematizzarlo a causa dell’eccessiva apertura di significato e di implicazioni possibili. In questo senso si è sistematizzato, invece del surrealismo, un tentativo storico di realizzazione, e quindi un mezzo. Cioè la partecipazione ad una rivoluzione; dall’altro lato una certa produzione di operazioni e ovviamente di oggetti d’arte, anch’essi storici e quindi moribondi. In questa dicotomia (surrealisti esteti – surrealisti anarchici, diciamo), tanto semplice quanto fascinosa, si è chiusa buona parte della critica.
Lo spirito (si perdoni questo anacronismo) del surrealismo è forse l’unico a noi oggi concesso, e dobbiamo attenere l’analisi a questa idea di base. Ne dipende ad esempio la spirito della rivoluzione; poiché sembra evidente che una crisi della società non prescinde da una “crisi di coscienza della specie più generale e più grave” (Secondo manifesto), pena l’essere una rivoluzione per il pane, che non fa che ristabilire l’ordine precedente. Lo spirito del surrealismo, cioè l’alternativa etica di sperimentare una conoscenza del mondo, seppur mondo vi sia al di là di un condizionamento sociale oggi pesante, ha nel tempo forse dato ancora poca importanza ai fenomeni di deviazione del comportamento, ai pazzi; così come alle arti magiche, checché ne dica chi riesce a vedere in questo soltanto una mistificazione del pensiero razionale. La direzione di Breton è stata encomiabile. Sulla confusione creata intorno al surrealismo, anche da coloro che giustamente ne misero in rilievo particolari debolezze, possiamo sperare che sia stata soltanto il modo più efficace per garantire la trasmissione di quell’idea, celata, su terreni che potranno essere fertili in futuro.
Per come ho inteso il surrealismo, e per una particolare preoccupazione che indicherò, includo nel movimento certi critici duri alla Bataille; mossi dalle stesse esigenze, in sostanza criticavano la conservazione del bello. Anche, ci si sarebbe dovuta aspettare nelle zone del bello la vittoria: ossia nel riconoscimento di forme artistiche che erano al tempo più surrealistiche di quelle surrealiste (come l’informel o l’arte astratta), e non in un impegno coi bolscevichi.
E’ ancora necessario additare le parti marce della grande mela surrealista, affinché si possa comunque valutare se esiste una parte commestibile da lasciare ai posteri, un vagito odierno e illusorio senza confusioni, almeno per noi che distinguiamo il bene dal male.

Introduzione a Bataille
Rileviamo come l’uomo civilizzato del XXI secolo abbia un’idea dell’uomo tale quale secoli fa, ossia ne abbia proiezioni idealistiche nei termini dell’amicizia, dell’amore, della solidarietà ed altre tediose, proiezioni che oggi con più forza ci vengono propinate dai mass media e che meno che in passato siamo liberi di contestare. E’ logico che in questo stato di cose ci stupiamo per i delitti di cronaca: innanzi tutto perché sono presentati come delitti occasionali; poi perché sono al di fuori dei parametri che reggono la nostra configurazione dell’umanità, per cui sono indefinibili esattamente per carenze linguistiche; poi anche per simbiosi con lo stupore del giornalista addetto. L’eccezionalità dei casi proposti, esauriti in un elenco nella seziona “cronaca”, ci porta a credere che non ne esistano altri; che l’umanità sia quindi lodabile e che la regola sia confermata. A questa mistificazione si aggiunga che l’uomo facilmente giudica gli eventi superficiali e meccanici che saltano all’occhio piuttosto che eventi latenti da sempre nella società (come uno schiaffo fa più clamore di una violenza psicologica subita da anni), e soltanto secondo un punto di vista puramente emotivo. Davanti alla trasformazione del mondo operata dalla macchina negli ultimi due secoli circa, si sono bensì messi in gioco i procedimenti stessi e le finalità dell’arte, ma tenendo ferma la concezione dell’uomo nella quasi totalità; ossia costantemente cercando di delimitare le potenzialità degli strumenti nuovi ai valori morali tradizionali, nel nostro caso quelli di tradizione cristiana e latina. Come accade con evidenza nella bioetica. Nelle emergenze del Novecento si sono visti eventi clamorosi, originati da forze che millenni di storia, se non avevano arginato, avevano celato agli occhi dei più; e che la macchina ha permesso di esprimere su larga scala, non delimitate se non dal calcolo della vittoria. Questi eventi pongono il problema dell’insufficienza del vecchio sistema di valori a contenere e ordinare il popolo occidentale. Oggi l’ordine viene mantenuto contenendo la violenza con un’ubriacatura data dall’attrattiva e dalla cogenza del godimento, accessibile a tutti e che di anno in anno si depenalizza. L’indebolirsi delle categorie etiche ha il vantaggio di confermarne il carattere artificiale; ma porta ad abbandonare per lo meno l’attuale coscienza sociale: la crisi della rappresentatività ne dipende, l’uomo forse è un animale non più politico. In questo senso vediamo confermato il “tramonto dell’Occidente”. La crisi serve all’instaurarsi di un’altra società, della quale non conosciamo il prezzo.

Un’operazione di rilancio di un sistema di valori che caratterizzino l’uomo occidentale, ripristinando il suo rapporto con la comunità in modo altrimenti che distruttivo, avrebbe richiesto un riesame della nostra concezione umana, a costo di dichiarare finito il sistema che dell’uomo qui regge l’interpretazione (“La cultura è spazzatura” disse bene Adorno). Ma, analogamente a quanto detto per i fatti delittuosi di cronaca, i massacri della storia sono stati ancora classificati come altro dall’uomo, eccezioni, e con piroette interpretative assegnati alle categorie sempreverdi e illeggibili della Follia (collettiva a quanto pare, quella tedesca del Terzo Reich) e del Male. Rimozioni più facili senza dubbio di una decostruzione dell’umanesimo; ma pericolose poiché relegano in un territorio appetibile ai sensi i fatti più cruenti, destinati così al ricordo nelle situazioni future di crisi. L’operazione amara che andrebbe fatta, di vera cultura, è quella ad esempio di Bataille, eterologica; ma questa, nella misura in cui è irrilevata nei programmi scolastici, pare oggi irrilevante. Merito principale, in seno al possibile ruolo etico dell’arte, del surrealismo è l’aver portato alla luce buoni elementi eterogenei alla cultura ufficiale: i poeti che già dissero che l’uomo è altro; Freud; artisti del passato citati frettolosamente; qualche pezzo di Hegel e Marx. Tuttavia notiamo come l’impegno filosofico resti escluso dal lavoro surrealista; come manchino i riferimenti ai moralisti del passato, ai pazzi e deviati ed eccentrici; come manchi una seria genealogia ad uso dei futuri. In quanto tuttavia ripropositori di un sapere “maledetto”, Bataille opera sulla loro stessa linea: ma con meno compiaciuto decadentismo ed in modo radicale. Ne rileverò la principali opposizioni al surrealismo, che non ne inficiano la continuità della ricerca nei termini di un’alternativa al modus operandi occidentale. Bataille è uno dei più efficaci superatori del pensiero dialettico (stanti le obiezioni di Derrida), in epoca contemporanea: la sua portata è eccessiva, oggi, per essere divulgata senza danno dall’industria culturale. Tuttavia, sarà divulgata, inerme, col distorcerla e classificarla come ideale violenza ed ideale provocazione, in una casella della nostra cultura in cui purtroppo sono già purgate le migliori opere oscene al consumo dei molti.

La radicalità di Bataille sulle avanguardie
Georges Bataille è il bibliotecario che corrosivamente ha individuato il bagaglio romantico affisso a quel fatidico “punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di essere percepiti come contraddittori.” (André Breton, Secondo manifesto) Lo ricordiamo, in particolare, nella scena in cui, verso gli anni 1929-’30, predica dall’alto di quel suo castello di documenti, contro la schiera di Breton. Bataille denuncia l’opera di esorcizzazione sul reale eseguita anche dalle avanguardie, connessa ai risibili riti umani e ai tonificanti idealismi. Nella cultura più recente, a mio avviso:

1 Il lirismo proprio della terra nostra italica, aggiornato dai futuristi alle novelle possibilità di estroversione del Superuomo, che rifluirà, cosmicamente ed ormai eternamente, nello Spazialismo;

2 Le mirabili costruzioni cubiste, che nella misura e nella relazione si oppongono ai suddetti slanci lirici ma non ne sono realmente che l’impossibilità e una sorta di regressione infantile in un bozzolo geometrico rappreso (presto infranto da Duchamp);

3 L’estremo decadentismo nichilista che non può reggere neanche più i simboli francesi e si riduce ad un balbettìo da-da e a qualche scandalo;
tali vie estreme si reggono l’un l’altra come vertici di un reticolo cristallino “où tout se tient”, che ripone qualcosa di inammissibile all’uomo. Il sistema delle avanguardie è così impacchettato, ceralacca apposta da: critica modernista. Destinazione: accademie del futuro. Carattere: reazionario.
“L’esprit moderne n’a jamais aborti dans les meilleurs cas à autre chose qu’à substituer à cette possibilité de l’homme entièrement suffoqué d’horreur, n’importe quelle dérivation, pourvu que cela entre, au besoin à rebours, dans des cadres déjà établis. L’esprit moderne n’a jamais mis en avant que des méthodes applicables à la littérature ou à la peinture.” (G. Bataille, L’esprit moderne et le jeu des transpositions, Documents)

In uscita a questi movimenti già definiti intorno al 1924, si pone il problema del surrealismo, movimento che ha il pregio di riempire la poesia di contenuti potenzialmente distruttivi, ma di non saperne aggiornare l’intima dialettica “traspositiva”. Per Bataille l’arte resta al servizio dell’omogeneità, prigioniera dell’antica funzione catartica: condannata quasi totalmente, fino all’avvento dell’informel. Non si può fare la lista delle opposizioni bataillane al “positivo” di Breton (che secondo Mario Perniola, è trascendenza rispetto all’istante, ancora prigioniero della razionalità strumentale). Un esempio solo del suo sano spirito dissacrante:”Oeil. […] On ne peut, meme en résumant, faire la liste des auteurs qui ont trouvé une analogie entre les étoiles et lui. En metallurgie…” (Dictionnaire, Documents). Per quanto concerne la posizione rivoluzionaria, egli afferma, in risposta a Breton: “La Rivoluzione senza catastrofe, sangue e putrefazione, non è che desolante sentimentalismo utopico.” (Il valore d’uso di D.A.F. de Sade). Oppure in L’erotismo, parlando della ‘contraddizione fondamentale dell’uomo’: “Noi sappiamo che il possesso dell’oggetto che ci fa bruciare di desiderio è impossibile. O una cosa o l’altra: o il desiderio ci consumerà, o il suo oggetto cesserà di farci bruciare.” Bataille non può ritenere rivoluzionario quell’uomo che, sulla scia di Nietzsche, non è “nel processo morfologico, che una tappa intermedia fra le scimmie e i grandi edifici”, quell’uomo che guarda al sole col proprio occhio pineale pur sputando sul proprio piede nel fango (L’anus solaire), quel soggetto di Figure humaine. Bataille potrebbe ritenere rivoluzionato colui che può “sapere come si può esercitare la propria rabbia”, grazie ad una concessione fatta dall’arte: “Ma perché esitare a scrivere che quando Picasso dipinge, la dislocazione delle forme trascina quella del pensiero, cioè che il movimento intellettuale immediato, che in altri casi sfocia nell’idea, fallisce.” (Le “Jeu lugubre”), ma infine, ne Lo spirito moderno e il gioco delle trasposizioni, dichiara: “Le opere dei più grandi pittori moderni appartengono se si vuole alla storia dell’arte, forse anche al periodo più brillante di questa storia, ma sarebbe chiaramente da compiangere chi non avesse a disposizione per viverne immagini infinitamente più ossessive.” Gli anni di Documents portano all’apice la negatività di cui Bataille investe il surrealismo.

Post-surrealisti
Diversamente orientata è la critica che il surrealismo riceve dagli autoproclamati successori, tra cui esponenti COBRA e situazionisti. In particolare gli ultimi vogliono continuare a provocare un’apertura delle capacità operative dell’uomo, inscenando le “situazioni”. La critica al vecchio Breton ha la direzione di un materialismo questa volta dialettico, più familiare a lui ma differente nel senso che l’arte e la rivoluzione non sono più manifestazioni di una positività, che va invece ricercata in un superamento dell’arte nella società autogestita (Perniola). Tramonta quindi l’idea romantica dell’artista che sperimenta la bellezza e la pazzia, in favore della pratica rivoluzionaria.
“Examinons d’abord la définition du surréalisme” secondo Asger Jorn, COBRA. Il primo appunto rileva la contraddizione interna del segmento “Automatismo psichico puro”.

Non può sussistere perchè all’espressione della psiche è preposto il corpo. La riflessione, dal punto di vista materialista, è sempre riflessione della materia. Niente di nuovo: “Il pensiero si forma in bocca” (T. Tzara), Primato della materia sul pensiero (Man Ray), Rotorelief (M. Duchamp), etc. Il surrealismo di Breton è ancora accusato di idealismo, poiché preoccupato più del funzionamento che della funzione del pensiero. Tutto dipende infine dalla filosofia materialistica per cui schematizzando è il bisogno che fa la morale; e il desiderio fa l’estetica. Il desiderio non va soddisfatto nella sfera spirituale, secondo Jorn, ma concretamente nel piacere: per questo la rivoluzione culturale non farà che soddisfare i desideri degli uomini, e attraverso questo, glieli farà conoscere.

I situazionisti sono più riconoscenti verso Breton. Quando Guy Debord, nella Théorie de la dèrive, dice: “Le progrès n’étant jamais que la rupture d’un des champs où s’exerce le hasard” sembra rivendicare tale merito indubbiamente a certi recuperi surrealisti (e chissà cosa avrebbe pensato Mallarmé delle sentenze emesse dai “coup de dès” della deriva; o dell’automatismo psichico puro: il problema, scientifico e poetico già presente nei cadavres exquises, del caso e della causalità). Ma, La società dello spettacolo punta chiaro il dito sulla causa del fallimento storico: “La sconfitta del movimento proletario è la ragione dell’immobilizzazione di dada e del surrealismo. Sono storicamente legati e in opposizione. Dada voleva sopprimere l’arte senza realizzarla; il surrealismo voleva realizzarla senza sopprimerla.” E’ vero, ma sviscerando questa frase ci addentriamo in problemi linguistici e logici, rendendocela meno affascinante. L’eterogeneo, se non alla violenza, Antonin Artaud, aveva precisato già nel ’27 riguardo alla comunione comunismo-surrealismo, in senso diametralmente opposto: è stata la stessa avventura sociale a rendere vana una rivoluzione che doveva operarsi altrove. “Si potrebbe parlare ancora dell’avventura surrealista, e il surrealismo non sarebbe morto, se Breton e i suoi amici non avessero pensato bene di legarsi al comunismo credendo quindi di dover cercare nel dominio dei fatti e della materia bruta il risultato di un’azione che non poteva aver luogo se non nei percorsi intimi del cervello.” (A la grand nuit ou le bluff surréaliste) Ma personalità del calibro suo o di Duchamp operano diversamente la vita e non ricadono nell’impegno etico se non con meno contingenti finalità, per la loro exacerbatio cerebri. La loro critica al surrealismo pertanto è poco decifrabile e non è attendibilmente opponibile ad altre qui delineate. Solo a titolo di esempio ho riportato due giudizi storici su surrealismo e rivoluzione, come altri che seguiranno; non è sede e io non sono in grado di estrarre un giudizio attendibile sulla giustezza di questa connessione, così come sulla persistente accusa di idealismo, se non con dettagliati distinguo; e mi pare già che Breton si difenda bene nel Secondo manifesto riguardo ai fini suoi propri. Mi interessa invece esporre un campionario di critiche solo per verificare a lungo termine la stabilità e i possibili cedimenti del surrealismo, inteso come idea tendente per sempre a cambiare la vita e trasformare il mondo. Tornando a Debord, resterebbe da capire se il surrealismo sia morto per fallimento operaio o esattamente in seguito all’instaurarsi dello Spettacolo, e che legame vi sia tra i due: “tutti i momenti passati dell’arte possono essere ugualmente ammessi, perché nessuno di essi patisce più la perdita delle sue condizioni di comunicazione particolari, nella perdita presente delle condizioni di comunicazione in generale.” La positività di un nuovo approccio comunicativo (tramite le situazioni) supera dunque allo stesso modo il surrealismo come le altre avanguardie. Breton è morto e non ci si cura nemmeno del necrologio. Potrebbe essere secondaria la riuscita del surrealismo rispetto al suo lascito. Tuttavia, è logico chiedersi se le nuove condizioni di comunicazione siano favorevoli alla sopravvivenza del surrealismo, nella misura in cui il surrealismo stesso si “classicizza”. Debord disse: “Di ciò che esiste, non c’è più bisogno di parlare.” (I commentari). Se il surrealismo esiste, non se ne parla; ma, per quel che se ne parla, è evidente che sia stato traviato, e forse nel senso qui professato: “Il governo dello spettacolo […] è padrone assoluto dei ricordi e padrone incontrollato dei progetti che plasmano l’avvenire più lontano.” Il surrealismo come l’ho inteso è stato davvero ridefinito ad uso dell’attuale società? Oppure l’industria culturale ne ha solo musealizzato il percorso storico, lasciando così una zona imperturbata? Quanto è influente tale nucleo al fine di cambiare la vita e trasformare il mondo oggi? E’ vivo il surrealismo? O forse si tratta, oggi non meno che allora, di un vizio da esteti decadenti?

Controstoria del surrealismo
Un capitolo a parte merita il lavoro del situazionista Raoul Vaneigem, che sotto lo pseudonimo di Jules-François Dupuis (testamentario di Isidore Ducasse) pubblica un libretto negli anni ‘70 in favore della teoria della degenerazione del surrealismo, utile a comprenderne la disfatta storica. La sua operazione è esemplare, prendendo alla lettera Breton: “Toccherà all’innocenza, alla collera di pochi uomini che verranno, sceverare nel surrealismo quanto non può non essere ancora vivo, restituirlo, a costo di uno splendido saccheggio, al fine che gli è proprio.” (Secondo manifesto). Vi troviamo le tipiche accuse di idealismo: a cominciare dalla denuncia della formazione decadente di Breton e della “povertà di pensiero e piattezza d’inventiva” di Tzara. I primi cedimenti del progetto stanno nel fallimento del Procés Barrès, che non trova reazioni da destra né il consenso dei partiti rivoluzionari. E così via. La ricerca sulle opere magiche è interpretata come una reazione a quei surrealisti come Aragon che si fanno comunisti militanti. Reazione o superamento: attenersi all’origine, direi. Interessantemente l’autore nota: “Esiste peraltro una traccia di una teoria dei momenti passionali nella preoccupazione di limitare il vissuto a quello che offre di eccezionale e di emozionante”, una qualità che va segnalata e di cui manterrei valido solo l’”eccezionale” per evitare ambiguità di fini e linguaggio; ambiguità propria di tutto il settore della ricerca sull’amore, oscillante senza discernimento tra indagine sociale e gusto per la bella sentenza (Recherches sur la sexualité) e idealizzazione della donna (Nadja, Le paysan de Paris etc.) e scatologia (Héliogabale).

L’affermazione di Breton “Non c’è soluzione fuori dell’amore” è dannosa al progetto finchè non c’è accordo tra i diversi “amori” secondo i surrealisti; ed anche in quel caso sarebbe presumibilmente contraddittoria a qualsivoglia azione per un’eccessiva stratificazione semantica. Ha ragione Breton perché individua il punto debole della società, ma egli stesso non contribuisce affatto a redimere l’amore analizzandolo o chiarendolo oltre una concezione genericamente borghese; e forse così salva l’amore e condanna il surrealismo. La dipendenza dall’immagine; l’appello al gruppo e al sacrificio; la necessità stilistica della scrittura automatica; l’insulto al morto Anatole France che non è superato dall’azione; il vissuto che ha meno importanza della sua rappresentazione ed è solo aneddoto; l’esplorazione di una totalità del linguaggio che compensa la ricerca di un linguaggio della totalità; la pretesa di un’innocenza dell’arte nell’era del feticismo della merce, quando l’occhio non esiste più allo stato selvaggio: in breve, sono tutti caratteri surrealisti che ne hanno determinato la débâcle storica. Vaneigem è mosso dall’idea che il surrealismo contenesse in sé i motivi di una successiva mistificazione. Cita infine: “la mia più grande ambizione sarebbe di lasciare, dopo di me, il senso teorico indefinitamente trasmissibile.” (André Breton, Prolegomeni ad un terzo manifesto del surrealismo o non)

Il senso della ricerca
Vorrei portare alla luce quel senso teorico indefinitamente trasmissibile, la “categoria” surrealismo. Senza dubbio si deve maltrattare questo movimento, se si vuole ricavarne qualcosa di utile oggi, una quintessenza; altrimenti ricadiamo in laceri discorsi da antologia. Appena uno spunto, mentre il lavoro vero prevederebbe anche l’analisi del fallimento di una trasformazione dell’uomo e del mondo. Dobbiamo tuttavia considerare che questo “fallimento” si colloca dalla parte di chi proclamò, tra i surrealisti, questa esigenza, come Breton; altri ebbero finalità diverse: ma non possiamo rispettare quelle di tutti senza bloccarci in un discorso solamente storico. Occorre tagliare ed assommare quel che c’è di affine a molti, creare una utile indicazione. I manifesti di Breton restano la guida migliore, considerate certe concessioni che lui stesso fece ai futuri in termini di violenza, di superamento degli stessi maestri.

Per quanto riguarda gli apporti critici al movimento, mi sono limitato ad accennare alle critiche, corrette da un punto di vista strettamente materialista, di Georges Bataille: la cui figura non a caso assume negli anni odierni un peso crescente; poi, a certe puntualizzazioni dei successori del surrealismo, esemplificative di vizi che fin dall’inizio minarono le basi del progetto di Breton. Non essendo prioritaria in questa sede una sintesi delle posizioni dei filosofi materialisti, mancano i rappresentanti della Scuola di Francoforte; la cui indagine è al di là della riuscita o meno di un progetto, che è poi legato alle forze e debolezze di ognuno di quei pochi artisti che ne fecero la storia. Il faro da seguire, perfino rivalutare, è André Breton: l’idea del surrealismo è, grazie a lui, viva per tutti quanti saranno forti da servirsene.