Ines Fontenla è un’artista argentina, ma oramai trapiantata a Roma da diversi anni, che Luxflux conosce bene. Nel 2002 la Fontenla è stata protagonista di una mostra al MLAC in cui presentava, per la prima volta, un suo progetto intitolato “Alla fine delle utopie”. Tra quest’estate e l’autunno ci è capitato spesso di rincontrarla, e ci siamo fatti raccontare i suoi ultimi progetti, i suoi spostamenti, le sue presenze in diverse mostre.
Lucrezia Cippitelli: La Kunstverein Villa Streccius di Landau ti ha ospitata con due progetti. Uno, Alla fine delle utopie, è un progetto che Luxflux conosce bene perché lo abbiamo visto nella tua mostra a MLAC nel 2002.
Il secondo lavoro, Il cielo alla fine del mondo occupava un’altra sala della stessa galleria.
In che contesto espositivo li hai presentati? Vuoi descriverci Il cielo alla fine del Mondo?
Ines Fontenla: Sono stata invitata a presentare le due installazioni che hai citato nel contesto della mostra”Luft-stucke und stadt.teile”. “Pezzi di area e parte di città” curata da Joerg Katerndah. Partecipavamo quattro artisti che lavorano sull’idea di territorio nelle sue diverse connotazioni..
Il cielo alla fine del mondo è un lavoro che parla del “Buco di ozono” che si apre, pericolosamente, in primavera sopra l’Antartide e nel sud de Cile e Argentina, nella zona di Tierra del Fuego specificamente.
L’installazione si sviluppa nella sala ovale di “Villa Strecius”, sul pavimento si estende una mappa della Tierra del fuego, sopra la quale ci sono delle piccole case realizzate nello stile delle costruzione di quella zona.
Sopra di queste, appesi al soffitto, diversi coltelli e una luce intensa indicano il rischio di vivere in questa regione.
Nei muri sono appesi delle foto di persone che vivono in “Ushuai” capitale di Tierra del Fuego, accompagnate di una didascalia che racconta della sua esperienza di vivere in questa zona. Ho voluto inserire anche un testo che spiega in maniera scientifica il perché di questo fenomeno, le cause le conseguenze, e le forme di evitarlo…

L.C.: Trovo molto interessante la contrapposizione fisica tra un paesaggio quasi idilliaco, le case colorate con i tetti a punta poggiate sul prato verde, ed i coltelli sospesi sopra che le minacciano.
Se non avessi saputo che quelle sono le case della Tierra del Fuego minacciate dal buco dell’ozono, avrei immaginato volessi mostrarci che ogni cosa idilliaca, anzi forse proprio ciò che ha un aspetto idilliaco e familiare, nasconde implicitamente un aspetto minaccioso…
I.F.: Si è vero che si percepisce una tensione, però in questo caso è riferita a una realtà: quella delle persone che vivono in questa zona e sono seriamente minacciate dei raggi solari. Mi fa molto piacere quello che hai detto perché ho voluto creare un’inquietudine, la senzazione che qualcosa sta per succedere, una situazione di rischio latente.

L.C.: In entrambi i progetti ti occupi in qualche modo dello spazio urbano. Mentre in Alla fine delle utopie lo spazio urbano è quello della città ideale, una concretizzazione quasi fisica dell’idea di utopia, nel secondo lavoro la città ha un nome fisico e geografico. È Ushuaia, la città più meridionale dell’emisfero australe, minacciata dall’inquinamento prodotto dai Paesi del così detto Primo Mondo.
Esiste una relazione tra i due progetti?
I.F.: Sono molto interessata allo spazio urbano, in questo caso ho voluto occuparmi anche dell’ambiente specifico della zona de Tierra del Fuego. Raccontare come vivono le persone di questa regione significa mettere l’accento su un aspetto: chi non gode del benessere dei paesi ad alto sviluppo ne soffre le conseguenze. Spesso il nostro standard di vita ha un impatto negativo sull ambiente.
Ho avuto la possibilità di visitare questa zona, di parlare con le persone e gli scienziati che lavorano su questo problema; questo mi ha permesso di prendere coscienza delle conseguenenze sull’uomo e sull’ambiente provocate dal fenomeno del Buco dell’Ozono.
Rispondendo alla seconda parte della tua domanda, entrambe le l installazioni sono una riflessione sulla nostra realtà: in una parlo del bisogno di proiettare nuove Utopie, nella seconda delle nostre responsabilità verso gli altri.

L.C.: Parlandoci della Tierra del Fuego ci metti di fronte a una parte della tua storia personale, che è quella del paese in cui sei nata ed in cui ti sei formata in una parte della tua vita.
Quanto ti trovi ad essere coinvolta in questo lavoro?
Che rapporto hai ancora con l’Argentina e con il continente Latinoamericano in generale?
I.F.: Mi fa molto piacere questa tua domanda, mi permette di parlare del mio legame profondo con il mio paese di origine, con la cultura Latinoamericana, con la quale ho un rapporto di amore-odio come succede spesso con gli immigranti.
Questo è un lavoro molto sentito, era per me un bisogno, una vera urgenza il realizzarlo.
Sono molto interessata nella realtà dell’ America Latina, un continente che attraversa un momento molto difficile, che soffre profondamente la sua situazione di essere al margine del sistema globale internazionale. Vorrei parlare delle responsabilità dei paesi che fanno parte del sistema globale economico nei confronti di quei paesi che pur non essendo parte di questo sistema ne soffrono pesantemente le conseguenze.

L.C.: In che misura si concretizza nelle tue opere la tua appartenenza a questa regione?
I.F.: Nelle ultime opere è più intenso il legame con il mio territorio di origine, adesso mi sento più forte più integrata, ed è per questo che trovo la forza di raccontare del mio paese. I primi anni della mia vita come immigrante sono estati segnati dal bisogno di integrarmi di essere come gli altri; adesso sento il bisogno di parlare della mia diversità, questo è il tema del mio prossimo lavoro, un’installazione nella quale parlo della mia esperienza da immigrante.

L.C.: Trovo che Il cielo alla fine del mondo sia un opera intensamente politica. Parli di una realtà tristemente vera; ci racconti il fatto facendo entrare nella rappresentazione anche i visi di chi questa realtà la vive (le fotografie di alcuni abitanti di Ushuaia appese alle pareti intorno all’installazione); ci dici che questa realtà, vissuta in un luogo geografico che per noi europei è per l’appunto “la fine del mondo”, è rimossa dalle nostre coscienze, proprio in virtù del suo svolgersi in uno spazio altro, come se non ci riguardasse; in più ci dici che le responsabilità di questa realtà sono da addebitare alla noncuranza dei Paesi ricchi ed alle loro scelte.
È la prima volta che ti occupi in maniera così esplicita di circostanze particolari che investono in maniera così diretta tematiche etiche, ambientali, scientifiche e politiche?
I.F.: Come tu dici, Il cielo alla fine del mondo è un lavoro politico, credo che l’arte abbia una funzione politica non di partito pero sì di politica nel senso ampio della parola.
Non è la prima volta che mi occupo di temi relazionati con la politica o la società, forse in altri lavori questi erano meno espliciti, erano trattati in forma piu metaforica o poetica. Sono molto interessata all’aspetto etico dell’arte.

L.C.: Concludo, vista la tua partecipazione alla mostra per commemorare i cento anni della nascita di Pablo Neruda, chiedendoti di parlare del progetto che hai presentato in quest’occasione.
I.F.: Ho presentato un lavoro che è parte della serie alla quale sto lavorando adesso, come ti dicevo prima, relazionato con la mia esperienza d’ immigrazione, é un’opera realizzata con una valigia piena di coppe di cristallo rotte, come metafora del ricordo di gioie finite male, ricordi dolorosi che portiamo nelle nostre valige pesanti, che non posiamo fare a meno di portarci dietro.

L.C. Quali sono i tuoi prossimi progetti?
I.F. Il prossimo impegno sarà in novembre, invitata da Viana Conti alla mostra ”Medesign”, che si terrà a Genova ed è parte delle manifestazioni di Genova capitale d’Europa. Nel mese di gennaio nello Studio d’arte contemporaneo di Pino Casagrande presenterò il mio nuovo progetto di cui ti ho parlato prima, riferita alla mia esperienza di immigrante. Nel mese di ottobre torno in Germania a Wisbanden alla Kunstveren “Belle vue-saal”, dove presento una nuova installazione insieme al lavoro dell’artista Joachin Kreiensiek.

Particolare dell’installazione di Ines Fontenla Il cielo alla fine del mondo