Tra Razionalità e Mito
I contorni di un cristallo, di una pianta, di un alveare, oppure cerchi e superfici multicolori sovrapposti, o ancora concetti quali sodio e piombo, merce e lavoro, Saturno o immaginazione – nei disegni alla lavagna di Rudolf Steiner ogni concetto, ogni parola, ogni segno trova la giusta posizione, in estrema concentrazione ed emozionante precisione. Nasce così l’attenzione, tra immagine e osservatore prendono forma linee relazionali che generano adesione o sconcerto. Come affiorando dall’infinità, è inconfondibile il messaggio lanciato da linee, spirali, cerchi, dalle superfici policrome che schiudono o precludono spaziali vastità, ma anche dalle parole nel loro incessante intessersi in nuove significazioni. È un messaggio che non si può non avvertire, penetra profondamente nel nervo ottico ancorandosi saldamente nella memoria visiva. L’autore era certo un archeologo del pensiero, un enciclopedista della parola rara, in ogni caso un maestro della linea e del colore. Caso e necessità sono banditi. Gli oggetti della visione sono lì, esistono, dilagano nella retina, infondono movimento in tutto ciò che prima appariva pietrificato, inaridito. “Contemplare questi disegni induce un godimento dell’arte poetico, come sospeso, che non di rado richiama alla mente Cy Twombly”, annotava Gunter Metgen in occasione dell’esposizione dei disegni steineriani al Frankfurter Portikus.
A tratti, come disseminato nel vuoto o estratto dallo sfondo scuro, appare all’osservatore di questi pensieri-immagine l’universo mondo. Sorgono nessi su origini e finalità dell’essere dell’umanità e del suo significato. Qui un bianco groviglio segna il declino di Efeso, là un punto ed un cerchio evocano la sempre tesa coerenza tra Dio e gli uomini. Colonne di numeri decifrano i misteri dell’evoluzione umana, proiettano luce sulle condizioni dell’esistere dell’umanità nel corso di millenni o, ancora, rinviano all’alterno mutare degli eventi, calcolabili e inesplicabili, tra cielo e terra, in alto e in basso.
Dai disegni alla lavagna steineriani emerge, per così dire, una ridefinizione del globo. Quel che prima si considerava “scientificamente” assodato o, nella sfera del quotidiano, immutabile, riceve da questi disegni un impulso dinamico unico nel suo genere – e inquietanti incertezze si placano trasformandosi proprio nel momento di requie nell’avvio di un viaggio in profondità sconosciute della più recondita interiorità.
La visione dei disegni alla lavagna di Rudolf Steiner, nella loro sequenza danzante, è un’esperienza che una volta vissuta fa sì che nulla sia più com’era prima. Se siano o non siano arte, non è questione in alcun modo in discussione poiché quel che interessa è la facoltà loro propria di indurre processi dinamici. Sul volgere del XIX secolo, negli anni in cui Rudolf Steiner teneva i primi cicli di conferenze, parole come “lo spirituale”, “cosmo”, “sociale”, “gerarchie spirituali” o anche “capitale” non avevano ancora subito alcun logorio. Non si era ancora diffusa quella grande paura nei confronti dei nomi che oggi si barrica dietro ogni sorta di scetticismi, malignità, ambiguità o indifferentismi. No, all’inizio del nuovo secolo, il ventesimo, la gente non era propensa all’indolenza. C’era la consapevolezza che non era molto il tempo disponibile.
“Spirito del mondo, dove sei?” era l’interrogativo che Paul Scheerbart rivolgeva a quanti erano impegnati a favore dell’affermazione dello spirito moderno nell’intento di conferirgli senso e forma. Di lì a poco, nel 1911, Jakob von Hoddis scrisse una poesia che iniziava con le parole: “Nuda ormai la testa a punta, il borghese se ne sta, più non ha il suo copricapo che col vento s’è involato”. I suoi versi si incisero nella memoria del suo tempo, presagio dell’incombente barbarie. Tutti coloro che avevano puntato ciecamente sui trionfi delle scienze naturali, del progresso tecnologico dovettero assistere rassegnati all’avanzata d’idealisti e liberi pensatori, spiritualisti e teosofi, monisti, socialisti e delle avanguardie che seppero cogliere il momento propizio. Un dibattito così ampio ed articolato come quello condotto in quegli anni non era mai avvenuto prima e, forse, non si è più ripetuto dopo. La prima guerra mondiale pose bruscamente fine a tutti quei fermenti. Da allora in poi fu l’unidimensionalità del fattibile a dettare il corso degli eventi e a fissare le orbite della ragion pratica. E all’espressionismo non restò che il compito della pura e semplice documentazione delle vittime mietute dal razionalismo ormai imperante: le opere realizzate in letteratura, pittura, scultura – anche i lavori in legno – stanno tutte a significare come sia davvero impossibile e inammissibile estirpare definitivamente lo spirito.
“Razionalità e misticismo sono le polarità del nostro tempo”, annotava Robert Musil nel suo diario, volendo così ricordare quelli che da sempre sono noti come i dati fondamentali di quel percorso su cui ognuno è ad un tempo sapiente e ignorante, straniero tra amici. Le parole di Robert Musil esprimono in pari tempo l’intreccio vibrante tra percezione del Sé e malessere, tra parametri utilitaristici e criptica creatività senza qualità – intreccio che si è articolato e rivelato come motore, e insieme catalizzatore, nella scienza come nella quotidianità, ma anche nell’arte. Come forse nessun’altra individualità, né contemporanea né posteriore, Rudolf Steiner ha riunito in sé – ma soprattutto sopportato – queste polarità che ha poi posto di fronte ai suoi contemporanei con la parola e la scrittura, con l’immagine e l’architettura. Ecco perchè furono in molti già allora, ma ancor oggi è così, a percepirlo come figura scomoda.
Reso attento alla significatività dei contrasti, e al loro potenziale evolutivo, dalla concezione goethiana della metamorfosi, forte altresì degli studi compiuti sulla teoria (scientifica) fichtiana dell’Io e del Non Io nonchè delle approfondite analisi su Nietzsche e il suo tentativo di conciliare la vita con se stessa, profondo conoscitore dell’evoluzionismo monistico haeckeliano, Rudolf Steiner, con la sua facoltà intuitiva a tutto tondo cui non era precluso alcun orizzonte, interviene al volgere del secolo nei primi vagiti dell’ancora innocente XX secolo, teso a profondere il suo impegno ora seguendo, ora contrastando lo spirito del tempo. Le conferenze che egli tenne a Berlino, Monaco, Helsinki e Praga furono accolte come eventi culturali di portata epocale. Tra i suoi ascoltatori vi furono Kafka e Max Brod, Kandinsky, Tucholsky e Rosa Luxemburg, e poi i tanti e tanti altri, medici e parroci, operai e studenti, insegnanti e agricoltori, che, sebbene trascurati dai cronisti, lasciarono con la loro opera un’impronta sul loro tempo.”Qualsiasi opinione si nutra nei confronti dell’antroposofia, un merito a Rudolf Steiner va riconosciuto, ed è quello di avere aiutato centinaia di persone ad uscire da una disperata aridità e a tornare a vivere una vita colma di profondi contenuti spirituali – con la scienza dello spirito egli gli ha restituito l’anima” , questa la meditata sintesi della poetessa Gabriele Reuter che a Weimar ebbe frequenti colloqui con Rudolf Steiner.
CRONISTORIA
Durante la prima guerra mondiale, un’ascoltatrice e spettatrice delle conferenze steineriane prese l’iniziativa di rivestire di fogli di cartone nero le lavagne presenti in sala. Dobbiamo a questa sua trovata ingegnosa, applicata prima dell’inizio di ogni conferenza, il salvataggio di circa 1100 disegni illustrativi. Questi pannelli di cartone nero, segnati da linee e superfici tracciate con gessetti bianchi e colorati, recano tutti testimonianza di una “provincia pedagogica” che non vedeva né limiti né restrizioni al suo operare. L’Archivio dell’Amministrazione del Lascito Rudolf Steiner, che ha sede a Dornach presso Basilea, ha accolto queste opere nei suoi depositi ove ne cura la conservazione.
Una trentina d’anni dopo la morte di Rudolf Steiner, Assja Turgenieff, giunta insieme a Andrej Belyj nel 1913 a Dornach ove esplicò per molti anni la sua attività artistica in seno alla cerchia più vicina a Rudolf Steiner, prese l’ardita decisione di allestire una prima limitata mostra dei disegni steineriani. L’esposizione, che ebbe luogo nella sede dell’Archivio dell’Amministrazione del Lascito, situata nelle immediate vicinanze del Goetheanum – il monumentale edificio ideato da Rudolf Steiner e oggetto di grande ammirazione da parte di famosi architetti – non destò allora, era il 1958, grande attenzione. Il numero dei visitatori fu molto limitato. Erano passati i tempi, ovvero non erano ancora maturi, per un’affermazione clamorosa dell’evento che potesse significare al tempo stesso un nuovo avvio. Ci si limitò ad una omologazione del contesto originale entro il quale i disegni avevano preso forma, preferendo poi attenersi alla parola viva, a quella gran copia di testi in cui è raccolto il frutto del lavoro di un gruppetto di stenografi e curatori che con infaticabile impegno e certosina minuzia trattennero sulla carta le parole, l’afflato di Rudolf Steiner. Ma Assja Turgeniev, che dovrebbe essere stata la prima a riconoscere a questi disegni steineriani un’esistenza propria – per le implicazioni artistiche in gioco -, non mancò di rilevare a chiare note il suo pensiero. Nell’opuscolo scritto in occasione dell’esposizione, si possono leggere le seguenti parole: “Nella loro semplice, sobria essenzialità, questi schizzi testimoniano del carattere che Rudolf Steiner ha voluto imprimere a tutta la sua attività artistica e che si può riassumere dicendo che l’arte e la conoscenza, ove scaturiscano dalla stessa fonte spirituale, possono aprire la via ad un nuovo stile culturale”. L’obiezione, probabilmente già sollevata anni prima, secondo cui, tuttavia, in questi disegni non sarebbe lecito ravvisare altro che schemi, concetti e diagrammi intesi ad accompagnare il corso dei pensieri dell’oratore, è contestata da Assja Turgheniev che vi oppone il seguente argomento: “Innumerevoli volte Rudolf Steiner ha disegnato triangoli e cerchi sulla lavagna. Non vi è nulla di più consueto della rappresentazione di un triangolo o di un cerchio. Eppure, quando se ne contempla l’immagine disegnata, ad essere sollecitata è anche un’altra attività oltre quella rappresentativa: il cerchio disegnato a mano libera, non con il compasso, stimola con maggiore intensità la volontà che ravviva la percezione. Ma coloro che hanno bisogno di questo elemento attivo sono soprattutto i lettori di Rudolf Steiner”.
L’aggancio con l’arte degli anni novanta si è realizzato per opera degli archivisti di Dornach, al di là delle loro intenzioni. Alla decisione di realizzare un’edizione separata degli oltre mille pannelli gli esperti erano giunti verso la metà degli anni ottanta, mossi dalla considerazione che non potendosi arrestare l’azione usurante del tempo – che avrebbe scolorito il gesso e ridotto i cartoni in brandelli – la realizzazione di riproduzioni avrebbe documentato se non altro lo stato di conservazione che il materiale presentava in quel momento. Una volta immessi nei circuiti della distribuzione libraria, gli schizzi steineriani arrivarono negli studi degli artisti e sulle scrivanie di critici e curatori. Fu così che cominciò a prender forma anche il progetto di un’esposizione di queste opere.
La prima presentazione, che ebbe luogo nell’estate del 1992 presso la Galleria Monika Spruth5 di Colonia, diede così libero corso a quel confronto che dei disegni era all’origine e che ora poteva coerentemente riprendere: è il confronto che tematizza l’esistenziale nella sua molteplicità ed estensione, nella sua storicità e attualità, e in pari tempo induce un processo conoscitivo che muove dall’interazione tra immagine e non immagine – vedere è in effetti sempre entrare in un atto conoscitivo che si regola e determina da sé; è sempre lo sguardo – così ci insegna Sartre – che interviene nell’appercezione del Sé
di qualcuno o qualcosa, è lo sguardo che pone in discussione le regole della relazione con il Sé.
Sarebbe di certo troppo unilaterale, un pensiero troppo ristretto volere affermare che l’immagine non sarebbe altro che un’estensione della parola, oppure, “il prolungamento del pensiero”(6), per citare un giudizio di Beuys sui propri disegni alla lavagna, Più puntuale è dire qui che l’immagine corregge soprattutto l’insufficienza intorno alla quale si configura la parola, quell’insufficienza che, come a qualsiasi altra cosa, è propria anche ad essa. È l’insufficienza a non ammettere stasi. L’immagine rinvia all’assenza di garanzie per la perfezione del linguaggio. È un rinvio ad un quantum di vuoto, intrinseco anche a tutto il pensiero, ad ogni verità. Ma neppure per l’immagine si pone l’esigenza di perfezione, si tratta piuttosto della liberazione di qualcosa che è prigioniero in se stesso, stretto tra forma e funzione o, per citare l’espressione usata da Hegel nella sua ‘Filosofia dello spirito jenese’, della “notte del mondo”, poiché: “È l’uomo questa notte, questo vuoto nulla, che nella sua semplicità tutto contiene, una ricchezza di un’infinita molteplicità di rappresentazioni, di immagini, delle quali egli non ha memoria alcuna nel momento, o che non gli sono presenti. Questa è la notte, l’interiorità della natura che qui esiste – puro Sé – verso ognuno sospende la notte del mondo”.(7)
L’attenzione dei critici d’arte era come avvinta dai disegni steineriani, da quel nero da cui “emergevano lucenti le figure bianche e colorate tracciate dai gessetti – effimeri messaggi da un mondo dello spirito”(8). Anche Monika Leske si muove in una direzione molto simile: “Il fondo nero infondeva in Steiner un impulso stimolatore, i pensieri ivi fissati spiccano, quasi valori di luminosità, come astri nella notte”.(9) Il nero è quel luogo che appare come una dissoluzione di tutte le particolarità, di ogni singolo aspetto che il mondo ci presenta. Nel nero allora altro più non è che l’Uno, il Non o Nulla. Lo sguardo deve prima perdersi nel vuoto per potere poi riunirsi alla vita. Il nero è forma senza relazioni, l’unica che contenga in sé tutte le opzioni relazionali. Forse è stata questa sua potenza intrinseca a sollecitare Steiner ad annotare in un taccuino queste parole: “La libertà = nero”.(10) L’illuminazione procede dall’oscurità, gli antichi sapienti lo sapevano già.
Disegnare era per Steiner un elemento irrinunciabile del processo conoscitivo. Si tratta, infatti, sempre di rappresentare, ricordare, relazionare giustamente nel pensiero i fenomeni, per così dire, volatili, e comunque estremamente mobili, dello spirito. Sul metodo che egli stesso applicava, Rudolf Steiner si espresse una volta in questi termini: “È mia abitudine tenere sempre la matita o la penna in mano quando devo dar forma, in parole o disegni, a quel che mi risulta dal mondo spirituale. I miei taccuini si contano così a carrettate. Non li ho mai ripresi in mano. Il loro uso era dettato dall’esigenza di congiungere le ricerche spirituali con l’uomo integrale per far sì che la loro comprensione, per essere comunicata in parole, non avvenisse solo con il capo ma fosse vissuta con tutta la complessione umana”.(11) Anche nella conferenza del 27 settembre 1923, Rudolf Steiner ricorre ad espressioni analoghe. In quell’occasione egli spiegò come per lui fosse possibile trasfondere le esperienze spirituali nelle consuete formule linguistiche, e quindi incorporarle nella memoria, soltanto “disegnando o scrivendo, affinchè oltre al capo siano resi partecipi anche tutti gli altri sistemi organici”.(12) Noi, infatti, dice Steiner non pensiamo solo con il capo ma anche con le dita delle mani e dei piedi.
Le conferenze di Rudolf Steiner ricevono la loro forma da una forza immaginativa straordinaria, da una configurazione immaginativa che cerca di mediare tra l’infinitamente lontano, ignoto, e cogente prossimità, tra passato e futuro sfidando di continuo il sistema concettuale e lessicale esistente – uno stile che, proprio per essere spesso in antitesi con le abitudini linguistiche, viene talvolta percepito dai lettori attuali delle conferenze steineriane come enigmaticità, ridondanza, estenuata minuzia. Altra, invece, la reazione di quanti, allora, ebbero modo di partecipare alle sue conferenze: i gesti del braccio o della mano, l’espressività della mimica e le varie movenze del capo, la modulazione della voce con cui accompagnava le parole e, infine, i movimenti che egli eseguiva nel tracciare i disegni sulla lavagna rendevano ogni conferenza un evento memorabile. “In tutto il mondo culturale contemporaneo non v’è godimento spirituale superiore a quello che si prova nell’ascoltare quest’uomo, questo incomparabile maestro, ‘farci lezione'”, così Christian Morgenstern, l’autore dei ‘Canti grotteschi’, in una lettera all’amico Friedrich Kay§ler, al quale d’un sol fiato confida: “Anche se Rudolf Steiner con ci avesse fatto provare null’altro, quest’indimenticabile ‘esperienza del maestro’ sarebbe già sufficiente”. Le immaginazioni – dice Steiner – sono molto più pregne di vitalitˆ dei pensieri solamente astratti. “Chi parla movendo da queste immaginazioni, le ha sempre presenti come se scrivesse, solo che, invece di tracciare quei segni crudelmente astratti che sono le lettere del nostro alfabeto, scrive in immaginazioni cosmiche”.(13)
La scrittura immaginativa di Rudolf Steiner, il suo linguaggio espositivo non hanno nulla di accademico, ma la sua non è neppure la parlata del vivere quotidiano, sebbene proprio questo gli premesse, e anzi sarebbe meglio dire perché era proprio questo che gli stava a cuore. Il suo habitus non è quello della discesa che a tutto e a tutti si adegua, né quello dell’ascesa trasfiguratrice, bensì quello della costante intermediazione tra spirito e materia, tra idea ed esperienza, tra egoismo e altruismo. L’impegno che lo animava era volto soprattutto alla descrizione di un percorso nuovo, teso a condurre ad una visione concreta, realistica delle cose e non cose e della relazione che tra loro intercorre. Nel nome dell”antroposofia’ egli ha sviluppato una strategia che valicando i limiti torna a riunire l’alto e il basso, il cosmico e il terrestre, il sacro e il profano. “Il tavolo del laboratorio deve trasformarsi in altare”(14), queste le parole che Rudolf Steiner rivolgeva spesso ai suoi ascoltatori, volendo così fare appello alla coscienza etica della sua generazione e di quelle future. Oltre mezzo secolo dopo, Joseph Beuys indicava la stessa direzione quando formulò la tanto spesso citata espressione: “I misteri hanno luogo nelle stazioni ferroviarie centrali”.(15)
Il tratto distintivo dell’antroposofia è la sua permeabilità, la forza che essa ha di mediare tra filosofia e scienze naturali, tra uomo e cosmo, tra arte e vita. Ma nel sistema di pensiero steineriano rientrano anche la questione sociale, la politica, l’economia. Riguardo alla funzione mediatrice dell’antroposofia in relazione all’arte, Rudolf Steiner si è espresso una volta in questi termini: “Credo che, nell’ulteriore evoluzione della scienza dello spirito, importante sarà proprio che essa, sviluppando la volontà di comprendere l’arte, evolva anche la volontà di creare essa stessa un’arte della comprensione, e che voglia ricolmare di immaginazione, di realtà l’operare, l’essere attivo nelle idee per potere, così, avvicinare all’elemento artistico la scienza tanto arida e astratta che abbiamo oggi”.(16)
È per merito delle ricerche condotte da Sixten Ringbom che il rapporto spirituale tra Rudolf Steiner e Kandinsky, intenso per un certo periodo, è entrato a far parte della storia dell’arte.(17) Significativo è soprattutto il periodo in cui Kandinsky affrontò lo studio del sistema di pensiero steineriano. È questa la fase in cui si compie il passaggio all’arte astratta che senza la profonda immersione nella sfera immaginativa – periferica, secondo Steiner – sarebbe stato impensabile. Intensa è l’emozione che suscita la lettura di un’intervista, concessa da Kandinsky nel 1937 al mercante d’arte Karl Nierendorf, là dove rileva quale grande importanza abbia significato per lui l’implicazione di dimensioni cosmiche nel suo operare.(18) Alla domanda di Nierendorf: “Si sente spesso affermare che l’arte astratta non avrebbe più nulla a che fare con la natura. È anche Lei di questo avviso?” Kandinsky rispose: “No e poi no! La pittura astratta abbandona la ‘pelle’ della natura, ma non le sue leggi, leggi cosmiche, mi permetta l’espressione solenne. L’arte può essere grande solo nell’unione immediata con le leggi cosmiche, alle quali si sottomette. Un sentimento inconscio di queste leggi si ha quando alla natura ci si accosti interiormente, non esteriormente. Non basta vedere la natura, occorre anche saperla vivere”.
Contemplando i disegni steineriani da quest’angolazione si arriva a percepire l’enorme intensità con cui egli operava in unione con le leggi cosmiche. Questa sinergia si palesa per un verso nel modo in cui si avvaleva degli strumenti grafici e cromatici, per l’altro nei motivi scelti per la rappresentazione immaginativa – motivi nei quali si manifestano di continuo oltre alle figurazioni di singoli momenti, anche sequenze più ampie dell’evoluzione planetaria, molteplici entità originarie divine e terrene, una pluralità di forze naturali e le loro corrispondenze cosmiche. Che in tale attività abbia svolto un ruolo fondamentale anche il personale rapporto di Steiner con il colore, è un aspetto che non è sfuggito neppure ai critici d’arte. “Steiner era pervenuto al riconoscimento (seguito in questo da Beuys) che, per vivere pacificamente e in modo non distruttivo, era necessario fondersi con le vibrazioni della natura e le energie del cosmo. Nei disegni alla lavagna di Rudolf Steiner queste energie sono presenti in innumerevoli esempi: tracciati in scioltezza con i gessetti multicolori, associati a parole capaci di scandagliare le profondità del pensiero”.(19) E in effetti, per Steiner il colore è in qualche modo intrinsecamente congiunto con le forze del cosmo in un nesso causale integrale, poiché “è l’anima della natura e del cosmo intero, e noi, unendoci in modo vivente nell’esperienza del colore, partecipiamo di quest’anima”.(20) Nella conferenza intitolata ” Dalla prospettiva spaziale a quella del colore”, Steiner descrive l’esperienza pittorica definendola “il libero movimento dell’anima nel cosmo”.
Un’esigenza come questa, che si ricollega alla dimensione cosmica, richiede per la realizzazione del disegno la padronanza di un’ampia gamma di strumenti grafici atti a rendere visibile la vastità del campo esteso tra gli eventi macrocosmici e microcosmici. Mentre Joseph Beuys è ricorso per i suoi disegni alla lavagna – spesso e variamente citati dai critici d’arte che amano evidenziarne le analogie con i diagrammi steineriani – ad un “repertorio formale molto ridotto – come ha rilevato Franz-Joachim Verspohl nel suo saggio su ‘Beuys intento ad elaborazioni alla lavagna’ (22) – limitandosi inoltre quasi esclusivamente all’uso dei gessetti bianchi, nei disegni di Rudolf Steiner si possono percepire e sperimentare vivamente una molteplicità di elementi grafici in combinazioni sempre nuove, e una pluralità di componenti cromatiche che si palesano in un continuo variare di aspetti per la loro puntuale sintonia con i contenuti espressi. Si configura così variamente, proprio grazie al concorso del colore, l’impressione di un nuovo intessersi delle figurazioni (frecce, cerchi, spirali o parentesi). L’impiego mirato del colore trasforma all’improvviso i tracciati lineari, che rilevano di più la staticità, in eventi dinamici evocatori di profondità. Nei disegni steineriani, la consueta prospettiva spaziale lascia il posto a quella del colore, ad una cosmogonia dell’informalità che arricchisce la visione di nuove dimensioni aprendo la via che conduce ad un quantum d’infinità e, in pari tempo, alla riconquista di una parte di realtà. In questo si esprime la tempra artistica steineriana – una dimensione che rende però manifesta anche un’esperienza universale. Nell’estate del 1921, rivolgendo alcune parole di saluto ad un membro del quartetto Thomastik di Vienna, Rudolf Steiner descrisse così l’essenza di tale esperienza: “Nell’arte l’uomo libera lo spirito vincolato nel mondo”.(23)
L’opera di Rudolf Steiner, espressa sia nella forma della parola sia in quella della rappresentazione figurativa pittorica o scultorea, se conosce la pausa, non conosce però in realtà mai la stasi. I contrasti, tanto spesso volutamente espressi nelle parole come nelle immagini, nel pensiero come nell’azione, generano instancabilmente movimento, inducono costantemente nuova vita. Muovere e far muovere è un habitus compositivo ricorrente nei disegni steineriani e loro elemento fondante. Tale habitus si manifesta, in altra forma, nella consapevole accettazione dei contrasti, nel mirato rapporto con essi, è la comunicazione dell’esperienza del contrasto: “Comprendere la vita – dice Steiner nella sua autobiografia – significa stare dentro i contrasti con tutta l’anima”, poiché: “Là dove si ha un’esperienza livellata dei contrasti domina l’elemento spoglio di vita, morto. La vita è essa stessa continuo superamento e, in pari tempo, nuova creazione di contrasti”.(24)
Secondo Beuys, la grande impresa che Rudolf Steiner ha realizzato con la sua opera “è stata quella di non avere ‘inventato’ nulla e di avere (solo!) portato ad espressione, grazie ad una facoltˆ percettiva infinitamente potenziata, quello che, sebbene ancora inconscio, è il superiore anelito dell’uomo”.(25) Questo giudizio è sicuramente valido se applicato all’antroposofia stessa, il cui termine di paragone forse più affine può essere quello dell’umanesimo – quell’umanesimo che dal medioevo si proietta profondamente nell’evo moderno – ma non in diretto riferimento a particolari contenuti, bensì alla loro intrinseca forza spirituale. Parimenti valido è il giudizio di Beuys riferito all’arte dell’educazione – elaborata da Steiner per i figli degli operai della fabbrica di sigarette Waldorf Astoria – e, inoltre, a taluni settori della terapeutica, del sistema bancario, delle scienze naturali, che Rudolf Steiner ha arricchito di nuove prospettive, ma anche in relazione all’agricoltura di cui egli, già negli anni venti, evidenziò la sostanziale base biologica raccomandandone la considerazione. Accanto a tutti questi livelli operativi, spesso ponderati fin nei minimi particolari, saranno però soprattutto le immagini-pensiero – e con esse quanto di enigmatico, di incompreso è rimasto – offerte ai suoi contemporanei sia con le conferenze che con le opere d’arte, a continuare ad infondere impulsi dinamici negli uomini e nelle cose.