Nel momento in cui l’occhio si ferma, per la lettura, sulla superficie di un quadro, bloccato da quel!’insieme di leggi che costituiscono la struttura dell’opera e istintivamente va cercando quel centro, che all’origine della creazione e ne ripercorre gli svolgimenti, rimane condizionato da quei confini che sono la dimensione dell’opera.
Altezze e basi rappresentano la rottura con una continuità che può essere soltanto sviluppata con altri mezzi che non siano quelli retinici. E neppure con il sogno: poiché questo è il versamento dell’inconscio del pittore nel più generale serbatoio dei materiali onirici collettivi. E’, come in questo caso, il vedere diverso dell’occhio che consente di ricostituire una continuità alla visione fuori dei confini sensitivi con l’accentuarsi di taluni tic formali e ripetersi di moduli alterati e lo svuotamento improvviso dello spazio e la dinamica direzionata fuori della bidimensionalità apparente.
L’immagine esce dalla tela e prosegue con movimenti invisibili a spostarsi nello spazio, non permettendo di classificare le traiettorie, che ormai sono soltanto intuite, ma non determinate dalla complessità combinatoria che le sviluppa.
Il meccanismo di percezione è dato quindi con il massimo margine di ambiguità possibile, consentendo la trasmissione più ampia di messaggi e simboli.

Gli alberi 1996

L’albero nella sua essenza organica, secco e ormai tagliato, rivela il trascorrere degli anni nel costruirsi come forma, con una serie di deformazioni e di forzature dei rami, per il piegarsi e lo storcersi del tronco, e soprattutto nel crescere di cicatrici e altre ferite e nell’accumularsi dei nodi che segnano la sua presenza nello spazio e la sua durata nel tempo. Se poi il tronco percorre un fiume, ristagna in acqua, si adagia su di una riva, un’ulteriore metamorfosi plastica si concretizza, divenendo un’immagine tesa contro il cielo, se rialzato, e fissato al terreno. Dall’organico alla struttura lignea e operando sulla superficie,inseguendo i rilievi, evitando i nodi, valorizzando le nervature, si riesce ad inserire una struttura di geometrie complesse muovendosi tra pieni e vuoti, tra materia del legno e valori cromatici, tra toni invecchiati in un bagno di foglie e di arbusti e parti lavorate e lucidate. Si arriva a quella comunicazione complessa che dall’origine è il problema fondamentale del mio lavoro. La scommessa da vincere è portare nel tridimensionale quanto sono riuscito ad accumulare come immagine sulla superficie della pittura, per poter penetrare nel più profondo mistero del nostro mondo visivo.

Las Meninas

“Las Meninas” stanno per definire il piccolo in rapporto al grande ed il termine, un omaggio a Velazquez, configura con precisione il problema che mi sono posto: ridurre talmente le dimensioni della superficie su cui lavorare, conservando le ragioni della ricerca della “Insana Geometria”. Per spiegarmi e per farmi capire e a giustificazione di essermi addentrato in un tale labirinto, sono andato a scorrere le pagine di un celebre libro di Gionata Swift “I viaggi di Gulliver” dove la differenza di proporzione, il rapporto tra il grande e il piccolo, viene vissuta nei due modi possibili per rivelare contenuti sconosciuti e topologie contrarie.
“Allora drizzai in già lo sguardo quanto potetti, e vidi che si trattava d’una creatura umana alta nemmeno 6 pollici, con in mano un arco ed una freccia, ed una faretra che gli pendeva dalle spalle”.
In questo inizio di viaggio con la scoperta del mondo “piccolo”inizia per Gulliver un’esplorazione di usi e abitudini, di leggi e di costumi paralleli al nostro mondo, così come all’opposto, nel divenire lui Lilliput nel regno di Brobdingnag gli si rovescia la proporzione e gli si cambia la visione. Per la mia pittura il passare dall’infinito grande all’infinito piccolo non muta i termini creativi, ma solo si capovolgono i modi della visione. Nel grande le forme si muovono e trovano momenti dinamici nel gioco del pieno e del vuoto, là dove la superficie si dilata l’immagine diventa più complessa, permettendo all’occhio di trovare ed apprezzare e moltiplicare i nodi compositivi e le proporzioni tendono ad essere sconvolte al contrario nel piccolo l’immagine si concentra, ritrova unità e staticità, aumenta d’intensità, diventa “tantra”, aumenta la tensione visiva, diminuiscono i tempi di lettura. L’idea, all’origine, era di costruire una struttura lineare, affiancando cinque tele senza intervallofra di loro o anche dieci, costruendo uno schema di fumetto, saltando da un interno all’ altro, da un fondo colorato ad un pieno frammentato. Poi “Las Meninas” hanno cominciato, come una rivolta di robot, a pretendere una presenza loro: invadendo pareti e mura, passando da uno spazio all’altro, quasi a confermarsi per una loro tensione interna di maggiore dimensione di quanto siano in realtà. Tendono ad amplificare il messaggio, a forzarne i significati, a far crescere le ambiguità: non si riconoscono più nella loro reale dimensione, non vogliono più essere un minimo di realtà, ambiscono nella loro presunzione creativa a divenire dei macrorganismi. Se leggete nelle dimensioni di un libro come questo e non andate ad indagare sulle misure, a fatica potete immaginarvele come sono nella realtà. Questa falsificazione rientra nel gioco ambiguo del mio creativo, tendente a non definire in modo logico e razionale i percorsi dell’immagine. Si aggiunge quindi oltre alla complessità percettiva della visione anche l’immediatezza della dimensione in uno stravolgimento totale dell’idea formale. Allora le leggi compositive oltre a dover obbedire ai rapporti di pieni e di vuoti, ai valori di simmetria e di asimmetria, dei centri prospetti ci determinati dalle profondità e dalle superfici, risentono oltre che dei contrasti di pesi cromatici anche dell’ambiguità dimensionale, il tutto in un folle gioco di falsificazione dell’astrazione dove i valori percettivi perdono di sostanza e diventano pretesto per un labirinto degli occhi. Come accade per “‘Las Meninas o la familia de Filipe IV” di Velazquez, dove bambine e nane si giocano, nella lettura dello spettatore, la loro dimensione e le figure umane si affacciano dagli specchi o lontano nella luce di una porta, in un’alternanza di toni e di riflessi, pieni di una magica ambiguità, in uno spazio dominato dall’ombra.