Il Maxxi a raggi X.

Lella Antinozzi: l’indagine di Alessandro Monti sulla gestione privata di un museo pubblico.

Sebbene a distanza di quasi due anni, Il MAXXI a raggi X di Alessandro Monti[1]mette sul tappeto una serie di questioni che rimangono ancora aperte e sempre più attuali. Risale difatti a pochi mesi fa – e precisamente all’ottobre 2015 – l’annuncio da parte del ministro Franceschini della prossima apertura del MAXXI L’Aquila con sede nello storico Palazzo Ardinghelli[2]; mentre è di pochi giorni fa il durissimo attacco al presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri da parte dell’onorevole Di Battista che ha definito il MAXXI come il “topino da laboratorio” dell’idea di cultura del ministro Franceschini.[3]

 La questione MAXXI e l’indagine di Alessandro Monti – già professore ordinario di Teoria e Politica dello Sviluppo presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino – rimangono quindi estremamente attuali e di grande interesse perché le ‘stranezze’ della nascita e della gestione della Fondazione MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, che a Roma gestisce due musei, il MAXXI Arte e il MAXXI Architettura – molto ci dicono della totale mancanza, a mio avviso e come dimostrato da Alessandro Monti, di una politica culturale che abbia un senso per noi. Inaugurato nel maggio 2010, undici anni dopo il concorso internazionale bandito per la sua costruzione e vinto dall’architetto iracheno Zaha Hadid insieme all’architetto tedesco Patrick Schumacher, il complesso museale è costato all’erario più di 180 milioni di euro, il triplo di quanto previsto originariamente (110 miliardi di vecchie lire). Oltre a sottolineare la inidoneità della costruzione definita “un contenitore in gran parte inadeguato alle esigenze funzionali“[4] –  dei totali 21.200 mq la superficie espositiva risulta essere di soli 10.000 mq – Alessandro Monti ci ricorda che di questa spesa gli italiani non avevano bisogno, considerato che per favorire questo progetto se ne è troncato di netto un altro già in corso, quello dell’ampliamento della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea che prevede(va) la costruzione della nuova ala Cosenza di oltre 8000 mq e che con una spesa notevolmente più bassa rispetto a quella richiesta dalla costruzione di una nuova sede, avrebbe portato la superficie espositiva della GNAMC dagli attuali 15000 a 23000mq. Progettato nel 2000 da Roger Diener, a detta di Monti la sua esecuzione è stata «“deliberatamente” lasciata in stallo (l’area designata è tuttora occupata dal manufatto costruito e degradato ed è ancora li il mega cartello che annuncia la realizzazione del progetto dello studio Diener & Diener di Basilea».[5] Appurato dunque che una notevole quantità di soldi pubblici sono stati spesi senza alcun reale criterio logico, andando avanti nella lettura l’autore ci ricorda che questo modo di procedere non è neanche in linea con il panorama della pubblica amministrazione dei beni culturali dei paesi dell’Unione Europea. A tale proposito viene citato l’esempio del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid per il quale un problema simile a quello in cui si è trovata la GNAMC – la necessità di maggiore superficie espositiva – è stato risolto con un progetto di ampliamento affidato all’architetto francese Jean Nouvel che per la metà della spesa del nostro MAXXI ha aggiunto 8000 mq alla superficie già esistente. Se a questo aggiungiamo la “scelta politica di conferire personalità giuridica privatistica alla Fondazione”[6] e che questa gode di un trattamento privilegiato che, tra le altre cose, la vede ricevere un contributo statale annuo di oltre 5 milioni di euro e il 50% degli stanziamenti del Piano per l’arte contemporanea per le nuove acquisizioni – determinando uno squilibrio rispetto alle altre istituzioni che in questo modo hanno meno possibilità operative – viene da chiedersi come mai al MAXXI venga accordato un trattamento di favore mentre l’intero apparato delle Soprintendenze e dei Musei italiani sono ridotti alla fame. Secondo Alessandro Monti tale scelta non va solamente ricondotta al prevalere di un approccio privatistico nella gestione del patrimonio culturale dello Stato, “ma anche ad aspirazioni dell’alta burocrazia ministeriale e dei vertici politici dell’amministrazione, interessati a governare in prima persona la nuova struttura”. Proseguendo la lettura dell’implacabile panphlet di Alessandro Monti, ci imbattiamo in una nutrita serie di anomalie tra le quali troviamo: il declassamento del segretario generale e dei direttori dei due musei a figure esecutive private di poteri decisionali; la mancata separazione degli organi di indirizzo da quelli di gestione così come indicherebbero le norme della legislazione vigente riguardo alle fondazioni costituite o partecipate dal mibac; la molto contestata retribuzione del presidente in contrasto con la norma secondo la quale le cariche nei consigli di amministrazione degli enti pubblici e privati cui contribuisce la finanza pubblica sono a titolo onorifico; la creazione di quella che l’autore definisce l’”ambigua figura del direttore artistico” perché trattasi di una forzatura dello statuto vigente  che “non prevede la carica di direttore artistico bensì quella di mero direttore con compiti non decisionali ma attuativi delle scelte degli organi della Fondazione”.[7] Tale carica forzata finisce con interferire e ridurre l’autonomia organizzativa e decisionale dei relativi titolari, il direttore di MAXXI Arte – la cui poltrona è al momento vacante dopo che Anna Mattirolo ha recentemente concluso il suo incarico – e il direttore di MAXXI Architettura Margherita Guccione. In virtù di tutto ciò, sono in molti a ritenere che con questa iniziativa oltre alla perdita di denaro pubblico si sia perpetrata un’operazione di svilimento di un considerevole patrimonio di tutele e competenze, quello italiano, per sostenere e foraggiare una struttura il cui contributo alla conoscenza è messo in dubbio da più parti e la cui gestione è quantomeno ombrosa. Secondo Alessandro Monti  “si oscilla […] da eccellenti e costose esposizioni, come quelle precommissariamento […] a una non sempre esaltante routine. Una miriade di mostre di alterno spessore, comprese quelle di circuito, e di eventi e incontri su temi i più disparati di moda, poesia, danza, turismo, fino ad anteprime cinematografiche e proiezioni di vecchi film da cineforum, slegati dalle opere esposte e dalle altre attività in corso. Senza escludere cene conviviali a pagamento e sfilate di moda, cicli di lezioni di yoga e promozione delle biciclette nel piazzale esterno del museo”.[8] Per fornirci un quadro completo del panorama nazionale in merito alle strutture deputate alla presentazione e divulgazione dell’arte contemporanea e per dimostrare che non c’era realmente bisogno di una struttura come il MAXXI, l’indagine di Monti non manca di offrirci una valida esposizione del contesto strutturale e operativo dell’arte contemporanea in Italia presentandoci un elenco dettagliato dei musei e delle fondazioni di arte contemporanea oggi operanti in Italia ed esponendoci le modalità della loro gestione i cui dati a differenza di quelli del MAXXI sono pubblicamente accessibili.[9] La mancata collaborazione al reperimento delle fonti e dei documenti necessari per l’indagine delle strutture amministrative denunciata dall’autore non giova purtroppo alla chiarificazione delle acque torbide sin qui emerse. Nel proseguire la sua esposizione Alessandro Monti fa quindi notare che quella che ci è stata presentata come una scelta innovativa ottimale, vale a dire la creazione di un museo tutto nuovo, si è al contrario rivelata “una soluzione di ingiustificata discontinuità non solo artistica ma anche giuridico-istituzionale rispetto alla funzione centrale svolta finora efficacemente dalla gnamc, nei confronti della quale la nuova struttura resta completamente autonoma, priva di memoria storica, fino a configurarsi come soggetto sostanzialmente indipendente da ogni controllo tecnico-scientifico, amministrativo e contabile.”[10] Ed arriviamo qui ad uno dei nodi a mio avviso più inquietanti della Fondazione MAXXI, a quanto pare ritenuta un format valido (MAXXI L’Aquila e un giorno chissà MAXXI Torino, MAXXI Cosenza e via dicendo) – vale a dire il suo condursi come struttura “autonoma, priva di memoria storica” ed il suo “configurarsi come soggetto sostanzialmente indipendente da ogni controllo tecnico-scientifico, amministrativo e contabile”. A questo proposito è doveroso puntualizzare – come ha fatto Augusta Monferini in un editoriale dedicato al libro di Alessandro Monti, pubblicato nella rivista Storia dell’Arte fondata da Giulio Carlo Argan e diretta da Maurizio Calvesi,[11]– che la collezione del MAXXI oltre ad essere estremamente esigua è stata “deportata” dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna “secondo un criterio discutibile di divisione di aree di competenza, che contraddice il buon senso, la storia e il prestigio della GNAM”.[12] La Monferini si domanda inoltre a chi sia venuta l’infelice idea di suddividere le competenze dei due musei – alla GNAM l’arte del XIX e XX secolo fino agli anni Sessanta compresi, al MAXXI l’arte che va dagli anni Settanta ad oggi – non rispettando in questo modo quella linea di continuità storica nell’arte del Novecento che fa sì che una corrente sia intimamente legata a quella che l’ha preceduta, quella linea di continuità storica e quella contestualizzazione che ci aiutano a stabilire i rapporti con la situazione politica e sociale in cui un’opera è stata creata, che quindi ci fornisce i mezzi per un’analisi autonoma e che dunque è fondamentale per comprendere la reale portata di un’opera(zione) artistica. Ma siamo sicuri che questa frammentazione, che la mancanza di un reale interesse nel creare un senso di continuità, che il tentativo di cancellazione/rottura con la memoria storica non sia deliberatamente voluto? Vien da pensare che sia così, dal momento che il format MAXXI con tutte le sue anomalie è stato promosso. Certo è che la riforma avviata dal ministro Franceschini nel 2014[13] – il ministro che in una conferenza stampa al Mibact nell’aprile del 2014 ha auspicato la creazione di campi da golf nel mezzogiorno d’Italia per attrarre il turismo dei ricchi americani[14] – non ci tranquillizza. Particolarmente preoccupato è Antonio Paolucci – direttore dei musei vaticani, ex soprintendente di Firenze – per il fatto che con la riforma Franceschini[15] si punti a che “spariscano gli storici dell’arte a cui si deve la cultura della tutela dei nostri beni. A che scopo? […] Mi sembra che l’atto prodotto da Franceschini voglia estromettere chi ne capisce davvero […] vogliono fare in modo che le soprintendenze oramai svuotate passino sotto il controllo dell’autorità politica”.[16] Difatti, dai vertici del Mibact il presidente Giuliano Volpe in un articolo pubblicato sul “Sole24Ore” che potremmo intitolare Tutti insieme appassionatamente proclama che questa riforma è “il frutto di un disegno politico-culturale”.[17] Comunque, nella riorganizzazione dei grandi musei statali prevista dal decreto, il “modello fondazione” applicato per la gestione del MAXXI, non rientra. “Spetta ora al Parlamento […] ripensare il ruolo del MAXXI che, nel corso di un decennio, ha beneficiato di una spesa d’investimento amplificatasi a dismisura”, auspica Alessandro Monti in un suo articolo post-riforma”.[18] Nell’ultimo capitolo della sua indagine egli non manca di fornire una serie di indicazioni che potrebbero essere preziose se solo s i desiderasse raddrizzare le storture da lui messe in evidenza. Egli giustamente auspica un “cambio della natura giuridica della Fondazione [MAXXI]”, vale a dire “Il passaggio dalla personalità giuridica di diritto privato a quella di diritto pubblico […] Se ne gioverebbe la costruzione di un modello museale più attento alla creazione che non al consumo delle opere d’arte o all’uso improprio degli spazi museali”.[19] Sebbene l’atteggiamento costruttivo e propositivo con cui l’autore ha formulato l’ultimo capitolo del suo libro sia encomiabile, a distanza di quasi due anni risulta palese che in realtà ai ‘vertici’ interessano altri modelli museali e che dunque quelle storture non erano/sono che anticipazioni di una modalità politica di conduzione e concezione della cultura che diventa spettacolarizzazione edonistica che con la storia non vuole poi tanto misurarsi, che non è interessata a contribuire alla costruzione di una coscienza critica. Sono molti i segnali provenienti da più ambiti che ci parlano di una strana idea di ‘contemporaneità’, come se l’essere contemporanei debba voler per forza significare ‘chiudere i ponti col passato’, che vuol dire anche recidere le proprie radici culturali. Una cosa devastante per il singolo individuo, tuttavia auspicabile per un certo tipo di potere autoreferenziale e dispotico.

Con questo non voglio affermare che la Fondazione MAXXI sia tout court paladina di questo disegno ben più ampio di lei e dello stesso nostro piccolo governo. Ho avuto modo di misurarmi con il personale del museo MAXXI Arte in un recente progetto degno di nota e attenzione e sono ben felice di affermare di aver incontrato persone di altissimo livello professionale. Il discorso è più ampio ed è auspicabile che diventi oggetto di riflessione futura.

Lella Antinozzi

 

[1] Alessandro Monti, Il MAXXI a raggi X, Johan & Levi Editore, Monza (MB), 2014. Il libro consta di 96 pagine e costa 12 euro.

 

[2] ANSA.it Cultura Arte, Franceschini, all’Aquila nuovo Maxxi, 9 ott. 2016 http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2015/10/09/franceschini-allaquila-nuovo-maxxi_16463bb0-4215-4a42-b64c-3a4cf57b6afe.html

 

[3] L’intervento dell’onorevole Di Battista è del 10 febbraio 2016. Si veda, su you tube Di Battista – Melandri (Pd) è a capo di un museo e riceve bonus e stipendio con i nostri soldi! https://www.youtube.com/watch?v=7nfokDq5f3w

 

[4] Alessandro Monti, Il MAXXI a raggi X, op. cit., p. 13.

 

[5] Ivi, pp. 16-17.

 

[6] “La decisione e stata inserita in un provvedimento legislativo omnibus del tutto improprio, la legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che all’articolo 25 attribuisce al ministero compiti che si sono poi rivelati meramente ornamentali” in ivi, p. 19.

 

[7] Ivi, p. 27.

 

[8] Ivi, p. 52.

 

[9] “Pure a fronte della rilevante acquisizione di risorse pubbliche di varia provenienza, la Fondazione MAXXI, giovandosi della veste giuridica privatistica che gli consente di non sottostare agli obblighi di trasparenza stabiliti a carico degli enti pubblici dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (artt. 5 e 11), ha finora evitato di trasmettere i propri bilanci alla Corte dei conti per i controlli di legittimità degli atti e delle spese. Bilanci neppure depositati presso la propria biblioteca per la pubblica consultazione, né postati sul sito web nel rispetto delle più elementari regole di trasparenza e di garanzia della propria accountability”, ivi, p. 25.

 

[10] Ivi. p. 17.

 

[11] Augusta Monferini, Editoriale MAXXI, in “Storia dell’Arte”, n.40, gennaio-aprile 2015, scaricabile sul sito http://www.johanandlevi.com/admin/docsupl/%5B1435564363%5D-Storia-dellarte-gennaio-aprile-2015.pdf

 

[12] ivi

 

[13] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25 novembre 2014, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 agosto 2014, n. 171, contente il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previsto dal Decreto Legge 66/2014 in un’ottica di contenimento della spesa pubblica. Il DPCM 171/2014, è entrato in vigore il 10 dicembre 2014 e sostituisce il precedente regolamento contenuto nel DPR 233/2007 che è stato abrogato.

 

[14] “Penso che in Italia ci sia un gran bisogno di campi da golf e che ci sono alcune regioni, in particolare del Mezzogiorno, che ampliando l’offerta di campi da golf riusciranno ad attrarre il turismo straniero, che oggi non si riesce ad attirare […] Penso per esempio a un turismo statunitense di un certo livello che verrebbe volentieri in Sicilia ma non lo fa perché non trova una rete di grandi alberghi né campi da golf”. Online sono molti i siti che riportano la notizia, tra i tanti vale la pena leggere, a tale riguardo, il commento di SiciliaNews24. http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=60f4c8f1eb49c59a

 

[15] Paolucci si riferisce al disegno approvato nell’agosto 2014.

 

[16] Antonio Passanese, Il Piano Franceschini? Macelleria. Si confondono cultura e economia, in “Italia Nostra Siena”, https://italianostrasiena.files.wordpress. com/2014/08/macelleria-culturale-paolucci.jpg

 

[17] Giuliano Volpe, Svecchiare i Beni Culturali, in “Il Sole 24 Ore”, Domenica, 14.2.2016, p. 32  L’articolo è pubblicato online: http://www.giulianovolpe.it/it/14/Svecchiare_i_Beni_culturali/571/

 

[18] Alessandro Monti, Quel privilegio di essere MAXXI, in “Il Manifesto”, 10 ottobre 2015, online sul sito http://www.johanandlevi.com/admin/docsupl/%5B1447062272%5D-Manifesto-23-ottobre-2015.pdf

 

[19] Alessandro Monti, Il MAXXI a raggi X, op. cit., p. 67.