Si è chiusa al Whitney Museum of American Art (16 novembre 2006 – 11 febbraio 2007) l’antologia nomade dedicata a Kiki Smith, artista tedesco-americana nata nel 1954 a Norimberga. Dopo Minneapolis (Walker Art Center), S. Francisco (Museum of Modern Art) e Houston (Contemporary Art Museum), “a gathering” non poteva che terminare nella sua città d’adozione. Installazioni, sculture, opere su carta, stampe, disegni, fotografie, produzione editoriale: tutto si fonde in un’unica forma. Come il cabinet di El Lissitzky voluto da Alexander Dorner, la Smith pone lo spazio in continua oscillazione tra oggetto e processo, amplificatore di prospettive, laboratorio flessibile al crocevia tra arte e vita. Ogni singola opera abita il luogo secondo necessità, in un sistema osmotico di autonomia e interdipendenza (abile Siri Engberg), di immobilismo e movimento. Inquietante, Kiki. Distrugge ogni certezza, fa di tutte le verità un fascio, “le gioca a testa o croce, perde e ricomincia daccapo”. Così il corpo umano diviene un puro aggregato anatomico, la natura si popola di animali morti, il dolore si trasforma in orrore. Impietosa Kiki. Una sorella perduta è una bambola senza volto, lo sperma muta in algido cristallo. Crudele Kiki. Neonati appena nati o non ancora nati sono i segni grafici di un vocabolario ingordo, che divora e trae nutrimento dall’archetipo più antico, dal mito più sacro. Ossessiva Kiki. Figure bronzee, teatranti del Berliner Ensamble cantano le psicosi dell’anima, suonano, inneggiano, sussurrano. Il senso profondo di ogni domanda giace sotto le ceneri che Kiki lascia al suo passaggio, mentre l’araba fenice risorge. Generosa Kiki. Versa le lacrime al posto mio, concima la Terra con il letame degli uomini, trapianta un utero appassito. Coraggiosa Kiki. Regina taumaturga, messaggera di fede e folclore, instancabile ricercatrice di codici e sperimentatrice di medium. L’artista ha presentato una visione completa della propria opera dal 1980 al 2005, divisa in cinque sezioni: “Entering the Body”: la forma e la funzione del corpo vengono descritte secondo il metaforico ruolo sociale. Sangue, pus, vomito e preghiere sono rappresentati quali prodotti della complessa attività umana. “The figures reimagined”: ancora il corpo, reso nella pittura o attraverso risolute sculture, integro o scomposto nei suoi organi vitali, è oggetto di indagine, ma questa volta clinica e antropologica. “The natural world”: il mondo naturale e animale entra nella cosmogonia dell’artista. “Wunderkammer” è lo studiolo di ascendenza rinascimentale: curiosità, rarità, piante, animali, reliquie religiose, libri antichi, strumenti medici. È lo spazio psichico della memoria e della creatività. Infine “New Mytologies”: la sezione conclusiva dà forma alle molteplici ispirazioni storiche e letterarie dell’artista. Simboli cristologici risemantizzati e antiche iconografie evocano oniriche connessioni tra Cielo e Terra. Un itinerario completo di straordinaria forza e intensità.

Dall’alto:

Siri Engberg e Kiki Smith durante l’allestimento              foto: Cameron Wittig, courtesy Walker Art Center

Bandage Girl, 2002, Foto Courtesy Whitney Museum

Kiki Smith, Daisy Chain, 1992, Foto: Ellen Page Wilson, Courtesy Whitney Museum