È un ritratto di purezza, cordialità, volontà d’animo e utopia ciò che traspare negli occhi e dalle parole di Antonio Presti, instancabile mecenate siciliano. Oltre alle note esperienze di Castel di Tusa, con la realizzazione dell’hotel d’artista, Atelier sul Mare, e Fiumara d’Arte, il parco di sculture disseminate nel lussureggiante contesto dei monti Nebrodi, Presti negli ultimi anni ha lavorato ad iniziative collettive artistiche partecipate a Catania e a Palermo nel tentativo di restituire dignità a quartieri, Librino, e luoghi, il fiume Oreto, segnati dal degrado e da una cattiva gestione pubblica. Soprattutto a Librino è possibile ritrovare un singolare discorso di progressiva riabilitazione sociale perseguita attraverso la bellezza veicolata dall’arte e dalla cultura. Quartiere periferico di Catania, progettato dall’architetto Kenzo Tange, costituisce il fallimento di quell’idea, su cui è stato concepito, di quartiere innovativo, ed è la desolazione dei suoi spazi vuoti a restituire le mancanze della progettazione urbanistica. È in questo contesto di violenza che Presti ha portato, e continua a portare avanti, il grandioso progetto di una diffusione dell’arte e della bellezza, in un lavoro sulle coscienze che parte dai bambini nelle scuole, nell’ambizione di un recupero del territorio e di un riscatto sociale. Progetti che, mai animati da uno spirito di marketing territoriale, si incardinano in concetti innovativi e rivoluzionari: bambini e bellezza sembrano essere il binomio vincente per forgiare nuove anime, attraverso percorsi d’arte che divengono viatico identitario. “LIBRINO È BELLO” uno dei semplici slogan che racchiude la sua grande verità, verità su cui Antonio Presti ha scommesso la vita.

Elena Federici: Da una sua precedente intervista ne emerge come lei consideri l’architettura di oggi totalmente politicizzata e di come, cito, “un’architettura asservita ad un potere politico rappresenta un fallimento per l’architettura”. A suo avviso la stessa sorte di politicizzazione è toccata anche all’arte? In che modo l’arte può trovare una sua legittimazione? È possibile il superamento di questa dicotomia?

Antonio Presti: A mio avviso l’arte deve riuscire a liberarsi dall’autoreferenzialità. L’autoreferenzialità di essere opera in quanto opera d’arte diviene un qualcosa che comporta solamente aggiungere materia senza mai contattare il lato spirituale. Per esempio, pensando alle periferie italiane, la difficoltà più grave, attualmente, è la presenza di una terza generazione che per esistere è stata educata soltanto al “chiedere” e non al “fare”. Ne emerge un problema di educazione, di un sistema che si muove sempre con questo spirito della mera richiesta, della sottomissione, della necessità. Lo stato, il comune, la chiesa, la scuola, tutto sembra elevato a rischio, come condizione intendo. È la condizione esistenziale di questi luoghi: se tu nasci a Librino, a Scampia, a Corviale sei già connotato in quell’essere a rischio. Vieni educato che per esistere devi chiedere e non devi fare. Le periferie delle grandi città sono figlie di una speculazione politica degli anni Sessanta, le città nuove, città del futuro affidate a grandi urbanisti: Kenzo Tange, Vittorio Gregotti, Renzo Piano hanno disegnato le città, che sono poi state affidate ad una speculazione edilizia in cui il potere ha esercitato un suo stato di connivenza, creando una cultura dell’abusivismo. Si è assistito ad un incedere celere della cultura dell’illegalità, con una consegna progressiva di questi spazi al degrado.

E.F.: Luoghi che, senza retorica, sembrano esser stati consegnati ad una macchina del malessere…Anche se va comunque ricordato che spesso sono state attivate politiche sociali ad hoc…

A.P.: Sì è vero, ma si tratta di politiche sociali datate, costruite sul recupero della devianza: “Sei nato a Librino? Allora sei a rischio e io ti devo recuperare”. È tutta una catena del male che un sistema sembra aver alimentato. In queste periferie si sono create delle parti più sane con situazioni di valore e di bellezza che sono i condomini delle cooperative sociali. Negli anni Ottanta cominciarono a costituirsi questi condomini di impiegati, commercianti, artigiani con un’urbanizzazione più sana che ha però creato una dicotomia all’interno del quartiere: una fascia più alta e una più a rischio, con la risultanza di due mondi che sono stati costretti a convivere, anche in uno stato di abbandono e di negatività.

E.F.: È anche vero che spesso in queste periferie si innescano meccanismi politici complessi, e non è raro sentirne parlare come notevole bacino di “voti facili”… Anche Librino sembra rientrare in queste logiche, e lei sa cosa intendo.

A.P.: Certo, a voti facilmente acquistabili: il potere di Catania ogni anno si stabilisce a Librino. Qui 100000 voti sono facilmente intercettabili. Pensiamo per esempio al banco alimentare e al grande potere di sottomissione di clientela che può esercitare. Un banco alimentare che gestisce il mangiare di 400-500 famiglie ha già un potere non da poco. C’è un male all’origine che il potere sembra non vedere…o forse gli conviene mantenere questo stato di cose. Proprio quel potere, infatti, non tiene conto del fatto che a Librino ci sono 12000 bambini nelle scuole, e che in base a come li educhi, li cresci, possono diventare una risorsa per la città, oppure un pericolo. Senza retorica e per un discorso di lucidità e di chiarezza che io posso sostenere, dopo ormai 10 anni di lavoro sul quartiere, penso che tutto sia organizzato così e forse tutto deve rimanere così.

E.F.: …e l’arte in tutto ciò? Dove e come si colloca?

A.P.: L’arte che si propone come oggetto, come feticcio, come opera materiale installata e designata come simbolo di armonia, non costituisce certamente il modo appropriato di restituire bellezza a tali luoghi. La parola d’ordine, etica che si deve affermare in queste periferie è il senso del restituire. In questi territori una società civile non dovrebbe agire con l’intento di recuperare, ma di rispettare, in prima istanza, e, dopo il rispetto, che a sua volta porta rispetto, deve necessariamente, come condizione, restituire bellezza; una bellezza che è stata negata ad un luogo fin dal suo concepimento da una politica scellerata che ha scelto di creare buchi sociali costituiti sulla devianza e sul malessere. Dobbiamo intendere l’arte non come riscatto, ma condivisione, un percorso dato come strumento di conoscenza a queste nuove generazioni. In questo senso io ho applicato una disciplina culturale che non vuole essere autoreferenziale, in quanto prodotto di un oggetto, di un’opera, ma in quanto prodotto di un processo formativo, educativo ed emozionale. Ciò che in questi luoghi è molto grave, infatti, è la condizione spirituale interiore. Si tratta di luoghi di grande depressione connotati da una condizione particolare dell’anima.

E.F.: Ha vissuto queste condizioni per contatto diretto?

A.P.: Certo, le vivo ogni giorno, ma non le guardo con gli occhi della pietas, le guardo con gli occhi del fare, di un rimodulare un progetto dell’azione, un’azione fatta in condivisione con loro.

E.F.: Lavorando in rapporto stretto con la comunità…

A.P.: Credo sia un dovere lavorare con la comunità, creare insieme a loro un qualcosa. Penso alla Porta della Bellezza che è un’opera condivisa con 2000 mamme e 2000 bambini. Tutto è nato dalla presenza di un muro nel quartiere, una ferita di tre km, in merito al quale le posizioni estetiche possibili erano solamente due: l’abbattimento o la trasformazione. Noi abbiamo scelto la seconda. Per trasformare il muro in Porta si è reso necessario un processo di oltre due anni dove tutti hanno lavorato, impegnandosi, mamme, bambini, maestre, preti. Gli abitanti hanno visto l’opera manifestarsi come valore di bellezza universale, ed è anche per questo che ho voluto dedicarla alla Grande Madre che abbraccia universalmente Librino, compiendo la trasformazione con il suo sentire. L’ascolto universale come valore di trasformazione: il muro si è trasformato in Porta e quando un muro si trasforma in una Porta della Bellezza, assume il valore del divenire, del futuro. Quando l’opera è stata inaugurata è stata oggetto di critiche, di discussioni. Io ho però la certezza di aver fatto una scelta etica: quella di non aver voluto accedere a contributi pubblici. Questo perché nel momento in cui proponi un percorso di questo tipo la rivendicazione sociale vira sempre su istanze materiali: il rifacimento della strada, la fogna, il posto di lavoro e sembra quasi che tu, attraverso la scusa dell’arte e della cultura stia cercando un modo per intercettare soldi senza pensare alle necessità primarie di una periferia. Per questo nel momento in cui fai la scelta etica di non prendere quel contributo, anche per non essere asservito politicamente, fai una scelta culturale di differenza. A me non interessano i 100000 voti di Librino, mi interessa semmai elevare quel voto da uno stato di necessità, educando i cittadini ad un’esistenza non del chiedere, ma del fare. È il fare che ti dà la libertà, non la richiesta. La scelta arbitraria dei 100000 voti elevati a coscienza è un percorso lungo, è un percorso che trova anche dei momenti ostativi quando a subentrare è l’interesse particolare di chi sta dentro il sistema.

E.F.: Cosa ne pensa di questo metodo di lavoro a contatto diretto con la comunità: quali sono i limiti e le potenzialità?

A.P.: C’è una gioia, una condivisione, c’è l’innocenza, la verginità, non ci sono quelle sovrastrutture di pensiero che può avere una società più ammalata come quella che viene chiamata civile, ma che di civile conserva ben poco. Io credo che a Librino continuando per altri dieci anni con processi di questo tipo possa venir fuori un potere nuovo della città di Catania, e proprio dai ragazzi di Librino. Io vedo più forte un ragazzo di Librino che assume posizioni di potere piuttosto che un ragazzo del cosiddetto centro. Questi ragazzi hanno bisogno di strumenti, di codici della conoscenza, questo è il lavoro che deve svolgere la cultura.

E.F.: Un lavoro il suo che non cerca mai di imporre qualcosa ma tenta di dare delle chiavi per leggere la vita…

A.P.: È vero. Quando per esempio abbiamo fatto la Porta qualcuno avanzò la certezza quasi matematica che la fragile opera in terracotta sarebbe presto stata vandalizzata. Sa quale è oggi la parola d’ordine nel quartiere “Guai a chi la tocca!”. La Porta è diventata identità per il quartiere in quanto Porta di Bellezza, e ormai a Librino gli appuntamenti se li danno proprio lì, questo perché è riuscita a divenire un luogo di identità, a livello collettivo. L’opera viene rispettata e protetta. Se il collettivo di Librino manifesta questo pensiero significa che la Porta educa alla bellezza.

E.F.: Lo ritiene dunque un progetto riuscito?

A.P.: Sì, anche se parlerei non tanto di progetto quanto di percorso, fatto e che continua con quello della fotografia. Dopo la Porta, attraverso la quale ho educato questi bambini alla politica del fare, ora intendo fargli percepire un’altra sensazione, un’emozione molto forte: che il diritto alla cittadinanza si acquista attraverso l’affermazione dell’essere bello. Tutti coloro che hanno affermato IO SONO BELLOLIBRINO È BELLO, slogan apparsi in giro per il quartiere, ora passano alla pratica, perché sono gli stessi abitanti a riconoscersi in un processo identitario di bellezza, attraverso l’uso della fotografia come processo creativo. Stiamo lavorando alla realizzazione di un archivio socio-antropologico di un modulo di 30000 persone che non afferiscono solamente a Librino, ma che appartengono a tutta la città di Catania. Ho coinvolto le scuole e ho realizzato lavori iconografici sulla bellezza della Costituzione, sulla presenza dell’associazione. Bambini insieme a giovani fotografi hanno fotografato i protagonisti di questa rete sociale che parte dalle famiglie e arriva fino alle scuole. Librino diverrà produttore di un grande archivio socio antropologico, e ciò è già un fatto storico, con 30000 persone fotografate ufficialmente, con liberatoria: un archivio-identità della città. Librino si proporrà a livello nazionale ed internazionale attraverso il discorso della fotografia come valore di bellezza universale e di diritto alla cittadinanza che passa attraverso questo archivio condiviso.

In una seconda fase le immagini saranno proiettate sulle facciate cieche dei condomini del quartiere, con l’idea di trasformarlo in un museo all’aperto, dove gli abitanti, la notte, vedendo queste loro immagini, e attraverso le loro storie, i loro racconti, possano riconoscersi in questa loro bellezza. Uno specchio maieutico, uno specchio dell’anima.

E.F.: Un processo lungo e complesso in cui lei conduce per mano gli abitanti portandoli da una fase teorica ad una fase pratica…

A.P.: Sì, tutti gli slogan IO SONO BELLOLIBRINO È BELLO passano ora alla pratica, perché devono essere gli stessi abitanti a riconoscersi in un processo identitario di bellezza, attraverso l’uso della fotografia come processo creativo. Uno specchio dell’anima, ricordando che l’anima non ti giudica mai come delinquente, come qualcuno da recuperare, ma l’anima afferma sempre la tua bellezza. Se un ragazzo figlio di quella devianza, si guarda, si riconosce in quella bellezza e afferma ogni giorno a se stesso “io sono bello”, ecco che siamo davanti ad un processo educativo molto forte che parte non dalla conoscenza, ma da puri stati emozionali. Quindi lavorando sugli stati emozionali, contattandoli come valore di bellezza, quel ragazzo che magari quel giorno aveva spacciato o scippato, nel momento in cui deve affermare a se stesso, di fronte alla sua anima, “io sono bello”, potrebbe sentir scattare un qualcosa, in un ribaltamento verso altre condizioni. Questo processo della fotografia proiettata sulle facciate attraverso questo laboratorio sperimentale credo sia un altro tassello dopo la politica del fare….

E.F.: Nel corso dei progetti che in questi anni ha portato avanti, il confronto-scontro con le amministrazioni pubbliche è spesso stato problematico, penso chiaramente alla Fiumara d’Arte. A Librino che situazione ha riscontrato in merito?

A.P.: Sto facendo un’altra politica, ho scelto anche eticamente. Io provengo come generazione da una cultura che ti imponeva di scegliere se essere mafioso o anti mafioso. In questo momento non ha più senso nemmeno parlare di antimafia, perché, sotto un certo punto di vista è tutta una mafia, un potere che ha trovato nella borghesia il suo valore criminale. C’è una situazione di continuità, di connivenza allo stato mafioso. Io l’antimafia l’ho fatta alla Fiumara per venti anni. Adesso a Librino non nomino nemmeno la parola mafia; in questo non stimo il lavoro e la strumentalizzazione che alcuni stanno facendo di Scampia, ci leggo una connotazione più di autoreferenzialità. Anche io avrei potuto farlo a Librino, ma ripeto non ho mai nominato la parola mafia, anzi Librino, come museo, alla fine lo donerò ufficialmente alla mafia…

E.F.: Una scelta etica al contrario…

A.P.: Io sto cercando di destrutturare tutto il potere compresa quella mafia. Ecco preferisco donare il tutto alla mafia come valore di futuro, preferisco andare nelle scuole e fare un discorso di educazione e di conoscenza…la mia è tutta un’altra politica. Questo è il mio percorso dell’onestà, dell’innocenza, dell’utopia, sono percorsi del valore del sogno di futuro che certamente non può pensare chi costruisce la propria vita solo sul potere e sul denaro.

E.F.: È consapevole di essere un innovatore ed un unicum? Mi chiedo se lei conosca altre realtà in Italia o altrove, che seguono questa logica…

A.P.: No non credo ci siano. La questione non è la mancanza di realtà sulle quali agire, ciò che manca è forse lo spirito, prima di tutto dell’utopia, che rappresenta ciò che ti alimenta durante il percorso. Esiste inoltre un valore di coscienza, di valore di differenza, che ti viene dato dalla praxis, dal processo, e non da un istinto personale innato, di essere o non essere un innovatore. Io tutto quello che ho fatto, sto facendo e continuerò a fare a Librino lo capisco soltanto mentre lavoro, nell’in fieri, interpretando volta per volta le necessità del quartiere, della gente, del come si può ridisegnare un futuro.

E.F.: Lei fa progetti che si reggono sull’idea di bellezza, che mantengono costantemente questo sostrato, però nello stesso tempo sono pragmatici e attivi sulla popolazione. Da cosa nasce questa volontà di connettere queste due realtà che appaiono differenti, la bellezza da una parte e il fare dall’altra? Forse scaturisce dal fatto che la bellezza allude a qualcosa di utopico e il fare a qualcosa di radicato?

A.P.: La base è costituita da progetti esistenziali, anche la poesia, come poiesis è fare, un fare che contatta il suo valore nell’emozione, nell’anima. Penso che coniugare la bellezza con l’azione sia un’azione di bellezza, ed è in quel momento che tu divieni conduttore di bellezza, veicoli bellezza. Ciò che oggi abbiamo perso è il senso di essere opera universale, ed è questa che sto perseguendo nella seconda parte del progetto a cui sto lavorando. In prima istanza proietterò le immagini delle 30000 persone che diventeranno il popolo della bellezza, statuto acquisito guardandosi e riconoscendosi come valore di bellezza. Questo popolo chiamerà il suo popolo, se di partenza sono 30000 con l’indotto, parenti e amici, saranno forse 60000, 90000 ed arriverà quindi altro popolo figlio dello stesso popolo che guarderà quel popolo elevato a bellezza prendendo coscienza di come è diventato bello. Sarà però ancora popolo che arriverà a chiedersi “ma io come posso fare per diventare bello?”, inteso chiaramente sempre come sentimento, come condizione. Credo sia una delle azioni più rivoluzionarie che si possano applicare come disciplina in questo momento contemporaneo: la rivoluzione del popolo del popolo, popolo chiama popolo, il popolo libera il popolo. Questo popolo che viene chiamato dal popolo della bellezza è un popolo che chiede anch’esso dignità, statuto di bellezza. Per elevare anche questo popolo sto elaborando un’idea molto bella, che vede il coinvolgimento di tutte le attività commerciali di Librino. All’interno dei negozi mi farò cedere degli spazi liberi che accoglieranno al loro interno mostre fotografiche di grandi autori internazionali, facendo divenire le attività gallerie fotografiche, museo nella vita. Ed è ora che subentra la sezione che io definisco “magma”, intesa come fuoco sotterraneo che trasforma: entrando nel negozio di turno come turista del museo chiederai “dove è l’opera?”. E ti risponderà l’abitante di Librino “signora ma lei cosa cerca ancora? Forse se lo è dimenticato o forse non l’ha capito. Lei non deve chiedere dove è l’opera lei deve ricordarsi che è lei l’opera!”. Quando tu ricevi questa risposta e trovi un abitante di Librino che ti dice che tu sei l’opera universale già si crea una comunicazione emozionale molto positiva. Vedi caro popolo ora ti ho dato la possibilità di diventare pubblico, e sei tu il pubblico che mi interessa, non l’abituale pubblico dell’arte. Trasformando il popolo in pubblico gli chiederò di occuparsi personalmente di questo museo, con senso di responsabilità. Il pubblico avrà il dovere della coscienza dell’azione, io esigo un pubblico militante a Librino, un pubblico attivo. Nel momento in cui tu sei l’opera ed hai compreso di esserlo che significa? Che in quanto opera universale devi portare e restituire bellezza attraverso l’attività, la legalità il lavoro ed io ti lascio libero. Così tu divieni un pubblico attivo, tu cambi Librino.

E.F.: Un inedito pubblico dell’arte…

A.P.: Io è al popolo che voglio dare la dignità di pubblico e il popolo diviene pubblico se agisce per res publica. Farai il giro dei negozi e quando tornerai da Librino racconterai di questo luogo. Dirai che qui si è manifestata la bellezza: quella foto iniziale del bambino che è stata proiettata ti avrà fatto compiere un processo accompagnandoti alla meta, un processo che ti ha condotto a capire che l’opera d’arte sei tu, sei tu il conduttore di bellezza. Questo sarà l’elemento scardinante..

E.F.: Di rottura totale…

A.P.: Sarà allora che parlerò ai mafiosi dicendogli di guardare ciò che riescono a creare gli onesti, cosa fanno gli utopici. Non esiste che tu mi chiedi i soldi di estorsione o connivenza, ma sono io che ti porto i soldi direttamente a casa. Ma te li porto con la legalità con il lavoro. Forse per i ragazzi capendo tutto questo potrà essere più utile vendere un panino al turista piuttosto che spacciare…allora da questo punto di vista penso che sulla politica del restituire bellezza si ponga la questione civile. Io riconosco un valore al mio popolo. Quando farò il museo chiederò al pubblico il valore dell’azione. Questo pubblico che vedrà Librino dovrà assolvere solo questo compito e tu tornerai dicendo che hai visto la manifestazione della bellezza. Questo è il dovere di ognuno di noi…ribadisco non serve la pietas ma l’azione. In questo modo penso che Librino possa avere un suo futuro di bellezza.

E.F.: È questo quindi il futuro che immagina per Librino…

A.P.: Sì e non ci sarà nessun potere, né della mafia, né della politica né della chiesa a poterlo fermare perché macchina universale circolare di bellezza, un percorso di onestà e di utopia…

E.F.: Nonostante le realtà complicate e dure che ha vissuto il mondo non è riuscito a scalfire il suo entusiasmo…

A.P.: Io sono la testimonianza di una Sicilia contemporanea viva, con me il potere ha perso. Se ho fatto un discorso politico di battaglia la mia battaglia è stata vinta. Se c’era un sistema da sconfiggere, con me loro hanno perso, ed hanno perso pubblicamente. L’ultima arma del potere, e sotto la quale sono caduti personaggi ed artisti, è, una volta che ha perso, quella del riconoscimento: quando quel potere ti riconosce quello è l’ultimo atto di assassinio che intacca la tua anima. Dopo che hai lottato tutta la vita ed hai sconfitto il potere devi ancora lottare per non essere riconosciuto da quel sistema. Il mio dictat è non riconoscerlo e non farmi riconoscere. Stanco ma felice di essere ancora conduttore di un pensiero puro, di un pensiero altro.

E.F.: Scegliere di non essere riconosciuto significa scegliere di non rimanere inglobato in esso…

A.P.: È scegliere di non morire spiritualmente. Se il potere ti riconosce diventi quel potere. Io al potere rispondo con Librino partendo dalla gente e dando al pubblico azione rispetto a quel potere.

E.F.: Una cosa molto bella che lei ha affermato in merito alle periferie è che parlandone “si parla sempre di malessere della materia ma mai del malessere dello spirito”

A.P.: È questo spesso l’atto di presunzione di chi si avvicina alle periferie. L’agire sulla materia, ma agire sulla materia significa agire su nulla. Significa lasciare le persone inerti. Io sono invece certo che quelle 2000 persone che hanno realizzato la Porta ogni volta che passano di lì si sentono semplicemente felici.

E.F.: Come desidera essere ricordato dagli abitanti di Librino?

A.P.: Come un amico…un amico che poi trova il senso nell’istituire…

E.F. Per concludere…la sua è una missione, lei ha più volte dichiarato di voler portare benefici con la creatività…In una precedente intervista concludeva il discorso ricordando l’importanza dell’imparare a ringraziare, un suo leitmotiv. Da quell’intervista è passato qualche anno. A quel valore di allora, oggi, che altro valore si sente di aggiungere…

A.P.: Confermo quello del ringraziamento. È che noi siamo in questo momento in grande crisi come società contemporanea perché non diciamo più grazie e grazie non è solo un gesto di cortesia è una condizione spirituale…Ora dopo tutto ciò che ho fatto e che continuo a fare io devo soltanto ringraziare, è questo che mi dà la forza per fare ancora. Nell’acquisire sempre di più la regola del ringraziamento credo di poter pensare ad un futuro di bellezza, sempre di più…

E.F.: A questo punto sono io che le dico “GRAZIE” non in maniera retorica, ma di cuore, davvero.

 

Tratto da E. Federici (2013), Public art. Teorie e prassi, tra riflessioni critiche e riqualificazioni urbane. Casi studio europei. Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia.


Dall’alto:

Mauro Staccioli, Piramide 38° parallelo, Fiumara, 2010, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte

Tano Festa, Monumento per un poeta morto (La Finestra sul mare), Fiumara, 1989, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte

1 KM di tela a Librino, Librino, Catania, 2002, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte

Librino è bello, Casa d’Arte Stesicorea, Catania, 2002, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte 

La Porta della Bellezza, Librino, Catania, 2009, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte

La Porta della Bellezza, Librino, Catania, 2009, Courtesy Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte