I recenti incontri svolti nell’ambito del progetto Doppio filo. Arte e moda al MACRO, a cura di Rossana Buono (Università degli Studi di Roma Tor Vergata) e Tiziana Musi (l’Accademia di Belle Arti di Roma), ci hanno regalato una concreta riflessione su una prassi artistica contemporanea, di stampo prettamente femminile, cui abbiamo il dovere di dare un’adeguata risonanza in senso storico-critico.

La prima nota di merito va, senza alcun dubbio, all’artista Lydia Predominato, pioniera della Fiber Art in Italia, che ha aperto il secondo incontro, incominciando proprio dalla definizione del termine Fiber Art ovvero: “pratica artistica che si distingue per l’uso di materiale quale fibre, filamenti e tessuti, avvalendosi di molteplici tecniche di produzione”. In ambito americano – spiega la Predominato – troviamo esperienze nel campo della Fiber Art, già negli anni Sessanta, nel Black Mountain College; in ambito europeo alcuni sviluppi della Fiber Art possono essere individuati negli ambienti della Bauhaus, scuola celebre per il proprio programma di ricerca incentrato sulla promozione del connubio arte ed artigianato. Il fatto fondamentale, in entrambi i casi sopra citati, è che l’uso del termine “Fiber Art”, per la prima volta, intendeva riferirsi ad un prodotto artistico. In Italia il termine ha iniziato a riferirsi alla pratica artistica solo negli anni Settanta, mentre in passato con esso si indicava la realizzazione degli arazzi. Negli anni Settanta, nonostante fosse storicamente considerata sostenitrice di un lavoro di matrice manuale, la Fiber Art superava l’evidente contrasto insorto nei confronti della Conceptual art, tendenza invece nota per la sua ferma volontà nell’attuare la smaterializzazione dell’oggetto artistico. La dialettica manuale e concettuale sembrava essere ormai insormontabile fino a quando, il percorso di ricerca dell’artista Lydia Predominato, ha saputo conciliare i due aspetti contrastanti inserendo la profondità e l’impegno concettuale all’interno della sua arte, tessendo un nuovo rapporto tra le due pratiche artistiche, ricco d’inedite potenzialità. In tal senso alcune sue opere hanno dimostrato un profondo interessamento alla tendenza concettuale sia perché in esse è stato attuato il superamento dell’uso di materiali tradizionali, propri della Fiber Art, sia per la volontà di sostenere, in maniera sempre originale, all’interno della propria ricerca artistica, la basilarità e la centralità del concetto. Grazie ai viaggi compiuti all’estero, in particolare in Francia ed in America, la Predominato ha avuto la possibilità di entrare in contatto in anticipo, visto la situazione delle arti in Italia, con la Fiber Art. Infatti, mentre in Italia si parlava ancora di arazzi, all’estero si dava vita alle prime vere e proprie “installazioni tessili”. Questa esperienza condusse l’artista a sperimentare il dialogo con i mezzi di maggiore avanguardia. La prima opera in assoluto, realizzata in questa direzione di ricerca, è stata: Tessuti televisivi, risalente al 1977 (fig. 1). In essa un vecchio telaio era collegato al monitor di un televisore attraverso dei fili di rame che l’artista filava. Tessendo si trasmettevano degli impulsi che modificavano l’immagine televisiva. L’immagine televisiva, a sua volta fotografata, e quindi estrapolata dal monitor, veniva stampata su delle stoffe il cui risultato è stato alquanto sorprendente. Il connubio tra tessitura e multimedia è stato la chiave di volta dei seguenti lavori della Predominato. Un anno dopo l’artista ha realizzato gli Interventi tessili su fotocopia che consistevano, come indicato nel titolo, in una serie di pagine o meglio di fotocopie, aventi come soggetto la geometria delle trame dei tessuti artigianali, chiamate appunto “pagine tessili”. Queste fotocopie furono, in alcune occasioni, appese al muro a mò di arazzo (fig. 2). In quest’opera è presente una forte tautologia che ricorda da una parte la logica della celebre One and Three Chairs realizzata da Kosuth nel 1965. Del 1985 è la realizzazione di una macchina che stampa le parole pronunciate su un microfono ad essa collegato. Le parole, in questo caso pronunciate dall’artista, riguardano tutte il mondo della tessitura come: filo, trama, tessitura, ecc. I risultati, riportati su un grafico stampato, sono resi visibili nell’opera Solid-Speech Puzzle risalente al 1984 ed esposta alla Biennale di Losanna (fig. 3).

Interessante la serie del 1998 intitolata Anime: autoritratti realizzati attraverso una tela fotosensibile che registra in immagini, con vari colori, il diverso calore emanato delle varie parti del corpo del soggetto ritratto a cui l’artista ha aggiunto degli inserti tessili (fig. 4).

Il lavoro, di respiro internazionale, della Predominato si è avvalso dell’utilizzo di molteplici piani espressivi, tra i quali anche la performance e la videoinstallazione, ed inoltre è sempre caratterizzato dalla volontà di spingere la Fiber Art al di là dei suoi mezzi, battezzando ciò che ella ha definito una dimensione prettamente artistica della Fiber Art, ovvero “off-loom”, fuori dal telaio.

Il mixaggio tra media ed artigianato torna nella tessitura “spaziale” di Federica Luzzi. In questo caso l’opera è realizzata grazie alla tecnica del Macramé ovvero l’annodamento di corde, altrimenti definito un merletto a nodi. Il risultato, rigorosamente monocromatico, è un tessuto tridimensionale che ricorda le forme organiche d’origine vegetale, con lontane assonanze e richiami all’ultimo Anthony Cragg, in particolare nelle sculture in cui le modalità spiraliformi e serpentinate assurgono il ruolo di protagoniste (fig. 5). Ogni scultura tessile è scansionata fotograficamente dall’artista stessa, la quale produce insieme all’opera una documentazione sulla propria ricerca, unica nel suo genere.

Conclude l’incontro dedicato alle artiste della Fiber Art l’italo-americana Claudia Sbrissa, la quale mostra il suo lavoro, stavolta incentrato in pieno su una dimensione di matrice installativa. Nei suoi Wrapped Pillars, (2007) ovvero pilastri avvolti dai nastri cuciti dall’artista, il lavoro manuale dell’uncinetto s’interseca con la struttura architettonica espositiva, creando un ambiente intriso di un cromatismo vivace che capta l’attenzione dello spettatore, il quale è invitato ad entrare nell’opera e a girarvi intorno (fig. 6). In questo caso il termine “Wrapped” ci riporta alla mente il lavoro, basato sullo stesso principio, dei coniugi Christo, potenzialmente definibili “proto-fiber-artisti”, noti soprattutto per le opere realizzate con grandi porzioni di tessuto, per imballare monumenti o addirittura luoghi naturali. Infine le alte colonne formate da bobine di nastri, con colori che sfumano dal rosso al rosa: Ruins (2010), sono create dalla Sbrissa con la precisa volontà di inserire un significato nella scelta del colore dei tessuti che compongono il suo lavoro: “il colore è segno di una riflessione costante nei confronti dell’identità femminile, per questo adotto colori generalmente riconducibili all’universo femminile”. Anche se non presente all’incontro, una riflessione va all’artista femminista Joana Vasconcelos. Il suo lavoro può essere inserito, a questo punto, proprio perché attinente alla dimensione installativa della Fiber Art. Presente alla Biennale di Venezia nel 2005, con il suo enorme lampadario fatto di oltre 25.000 tamponi intimi della celebre marca OB intitolato The Bride (fig. 7), l’artista ritorna a Venezia nel 2012, stavolta a Palazzo Grassi, con una altrettanto gigantesca installazione tessile: Contamination (2008-2010) (fig. 8 ).

L’installazione/contaminazione consiste in un patchwork, assemblato in maniera totalmente anarchica, che invade l’architettura, articolandosi per le sale, l’androne, le scale e la facciata esterna di Palazzo Grassi. Costruito con materiali realizzati sia manualmente dall’artista, che raccolti durante le sue visite in diversi paesi, la contaminazione accresce costantemente: Vasconcelos aggiunge nuovi elementi al suo lavoro, ogni qual volta viene esibito, realizzando un’opera site-specific. Il titolo scelto implica il concetto di proliferazione, come quella di una diffusione virale, e presuppone un rapporto conflittuale con le altre opere in mostra, con cui l’installazione, invadendo gli spazi espositivi, viene inevitabilmente ad interagire. I mezzi utilizzati, da Vasconcelos e le sue assistenti, per assemblare l’opera: cucito, maglia ed uncinetto, hanno fatto sì che la critica conferisse al suo lavoro una dimensione più artigianale che artistica. Essendo considerato un lavoro di artigianato tipicamente “femminile”, è stato di conseguenza sottovalutato.

Questi episodi di fiber-artiste riassumono le diverse potenzialità nascenti dalla contaminazione ormai in atto tra cultura tessile e arti visive. La prassi artistica adottata, ponendo l’accento su una dimensione performativa ed installativa, a seconda del procedimento prescelto per la realizzazione del lavoro, ha dato vita ad una tendenza ancora oggi poco storicizzata, ma sempre e costantemente presente nell’arte contemporanea.

Il ciclo di incontri ha fatto emergere i passi compiuti, negli ultimi decenni, dalla Fiber Art la quale non solo ha gradualmente abbandonato i tradizionali strumenti della tessitura ed adottato metodologie “off-loom”, ma ha rifiutato la classica collocazione spaziale, attribuitagli in passato, staccando la propria opera dal muro per penetrare, in maniera sempre più innovativa e rivoluzionaria, nell’ambiente espositivo.

Dall’alto:

Lidia Predominato, Tessuti televisivi, 1977

Lidia Predominato, Pagine tessili, 1978

Lidia Predominato, Solid-Speech Puzzle, 1984

Lidia Predominato, Anime, 1998

Federica Luzzi, Shell, 2012

Claudia Sbrissa, Wrapped Pillars, 2007

Joana Vasconcelos, The Bride, 2005

Joana Vasconcelos, Contamination, 2012