NOTE:
(1) Qualità di legno comunemente impiegato nella costruzione di imbarcazioni. Cfr. A. ROMANO, “Il ruolo della xilologia nello studio delle opere d’arte contemporanea”, in E. CRISTALLINI, (a cura di), Parco letterario e delle arti Canale Cardello, quaderni PLACC, Gangemi, Roma, 2003, p. 50.
(2) Si tratta del progetto Immaginare Corviale, tenutosi nel giugno 2004, che ha visto la partecipazione di diversi artisti: Osservatorio Nomade/Stalker; Mario Ciccioli, Cesare Pietroiusti, Matteo Fraterno, goldiechiari Armin Linke, e la collaborazione della Facoltà di Architettura dell’Università “Roma Tre”. L’evento, che puntava al coinvolgimento dell’intera cittadinanza di Corviale, prevedeva una serie di esplorazioni/mappature dei luoghi simbolo di Corviale, individuati da gruppi di architetti/artisti. Nell’ambito della manifestazione Ciccioli ha tenuto un laboratorio didattico con i bambini della scuola elementare e media Mazzacurati. Durante il laboratorio i bambini hanno imparato a costruire ed usare strumenti ricavati da materiali di recupero che suonano con il vento. Lo stesso Ciccioli ha eseguito una performance sonora. Cfr. www.romaperiferie.it
(3) Collettivo composto da artisti e architetti, attivo dal 1995, che compie ricerche e azioni sul territorio urbano, con particolare attenzione alle aree periferiche e alle zone in via di trasformazione. Di base a Roma, Stalker e’ noto per aver condotto una serie di attraversamenti esplorativi a piedi di Milano, Torino, Parigi, Berlino e Miami. Il gruppo ha partecipato alla Biennale di Tirana (2001), alla VII edizione della Biennale di Architettura di Venezia (2000), a Manifesta 3 (Lubljiana 2000), a Mutations (Bordeaux 2000). Cfr. www.stalkerlab.it.
(4) “ON è un progetto transdisciplinare di ricerca. […] La modalità di intervento proposta è sperimentale, fondata su pratiche spaziali esplorative, di ascolto, relazionali, conviviali e ludiche, attivate da dispositivi di interazione creativa con l’ambiente investigato, con gli abitanti e con gli archivi della memoria. […] La modalità operativa descritta, oltre ad essere un inedito strumento di conoscenza, potrà contribuire a promuovere la diffusione di una maggiore consapevolezza della popolazione nei confronti del proprio territorio e quindi ottenere più efficaci feedback di partecipazione creativa nella gestione delle problematiche territoriali e urbanistiche”. Cfr. www.osservatorionomade.net.
(5) Dal latino ferula. Così il dizionario: “La bacchetta usata un tempo per castigare gli scolari, infatti in senso figurato indica strumento di correzione o costrizione. Il pastorale del vescovo, bastoncino del cerimoniere nelle funzioni pontificali. Sostegno ortopedico per la temporanea immobilizzazione di una frattura”. Cfr. G. DEVOTO, G. C. OLI, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 2002, sub voce.

BIBLIOGRAFIA:
E. Cristallini (a cura di), Parco letterario e delle arti Canale Cardello, PLACC quaderni, Gangemi, Roma, 2003

NOTIZIE UTILI:
Ubicazione: Tuscania (VT), via di S. Maria 20. Ingresso: gratuito, visita per appuntamento.
Tel. 0761 443034; fax 0761 444170

Alle spalle delle basiliche romaniche di Tuscania si erge il colle del Rivellino, dalla cui sommità si domina la campagna tuscense. Non essendoci una vera e propria via d’accesso pubblica, ascendervi non è agevole; del resto, nei tempi recenti questo ha preservato l’aspetto secolare del sito dal rischio di violazioni. Qui sopra, a ridosso del fianco imponente della vecchia e diruta torre medievale che dà il nome al colle, Mario Ciccioli sale a posizionare le sue opere, le Arpe eolie; secondo una consuetudine che ha avuto inizio nel 1984 casualmente, per abrupta rivelazione.

Ciccioli abita in una casa addossata alla collina e questo fa di lui frequentatore privilegiato del luogo e ottimo conoscitore dei suoi tratti distintivi e caratteristici. Dalla sua abitazione è possibile salire sul colle per un breve quanto impervio sentiero tra la vegetazione selvaggia; per il visitatore tale percorso è preambolo catartico che, polarizzando l’attenzione sul paesaggio, predispone l’animo all’incontro con le Arpe eolie. L’evento non si concede immediatamente allo spettatore, ma esige di essere cercato: l’intento dell’autore è, infatti, fornire non un oggetto da osservare, ma una situazione da esperire, ponendo le precauzioni affinché questa sia unica, irripetibile, sempre diversa ad ogni nuovo incontro.

Per le sue installazioni sonore l’artista mutua liberamente il nome di Arpe eolie da quello di antichi strumenti a corde metalliche, che suonavano al passaggio di correnti d’aria. Le Arpe di Ciccioli sono oggetti semplici nella loro concezione, ma sapientemente evocativi: sagome lignee, fogli di compensato “marino” (1), dagli elementari profili geometrici, sospese in tensione su lunghe corde di nylon, diventano, tramite l’azione plasmatrice degli agenti atmosferici, potenti risonatori acustici. Congegni che vivono in osmosi con lo spazio circostante, di cui amplificano, traducendolo in emissione sonora, il respiro. Con sembianze di navi extraterrestri fluttuanti a mezz’aria, le Arpe diffondo tutt’intorno a loro, anche a decine di metri di distanza, un suono prolungato, vibrante e mutevole, in grado di riattivare memorie ancestrali.

Esse registrano le seppur lievi variazioni delle condizioni ambientali, anche a scapito della propria integrità fisica, perché l’essere soggette a deformazioni e degrado, spesso irreversibilmente, è utile alla rappresentazione del divenire dell’esistente, nella traiettoria circolare di nascita, vita e decadimento.

Non di rado le Arpe si compongono di pezzi di recupero, come bottiglie di plastica: la prassi operativa di Ciccioli prevede, infatti, la semplificazione demistificatoria dei mezzi dell’artista e la rivalutazione di materiali umili, secondo una implicita critica ai modelli di comportamento sociali volti al consumo. La giustapposizione di un’opera, che ostenta parti di recupero, in un ambito naturale, per di più arricchito da persistenze storiche, genera, nel processo di ricezione dello spettatore, una feconda frizione di significati, che impone una ulteriore riflessione sulle ragioni profonde di tale scelta.

Del resto, l’interesse dell’autore per lo spazio naturale non vuole essere rinuncia al confronto con la realtà urbana. Tutt’altro. E’ proprio grazie all’azione in situazioni metropolitane, come a Corviale (2) (quartiere periferico di Roma, da sempre emblema di distorta visione urbanistica) con il gruppo Stalker (3), nell’ambito del progetto Osservatorio Nomade (4), che l’interesse di Ciccioli comprova la sua ragione d’essere.

Il colle, nella sistemazione data da Ciccioli, riflette il bisogno di riappropriazione dei momenti dell’esistenza colpevolmente negletti; è un tentativo di ripristinare l’esatta convergenza di uomo e natura, liberando dalle tensioni causate dal progresso.

Con questa determinazione l’artista nel 1994 costruisce, tra gli alti e ispidi cardi che proliferano sulla collina, la Capanna sonora, un tepee di rami sopra un giaciglio di foglie di alloro; sul vertice della Capanna un dispositivo eolico propaga all’interno un’onda acustica, esplicito invito alla meditazione. Luogo energetico e di raccoglimento, si offre come rifugio dalle inquietudini. Il materiale, legno di ferula (5), pianta dalla spiccata valenza simbolica, già utile a Prometeo per trafugare il fuoco, attesta la volontà di Ciccioli di riconnettersi con facilità alle radici dell’operare umano, là dove più evidente è il legame con la natura.

Ritroviamo la stessa esigenza di ritorno alle origini nelle performances condotte da Ciccioli con gli strumenti arcaici, quali il corno o la conchiglia; oggetti di rudimentale liuteria da lui stesso prodotti con resti di animali. Il suono delle opere di Ciccioli rinvia ad una dimensione anteriore alla musica; è il ribadire una attitudine creativa innata che accomuna gli uomini e li vincola alla Terra.

Gli esiti del lavoro di Ciccioli convergono tutti verso il concetto di opera-evento; le pratiche che la instaurano hanno i connotati di un rito che, preparato dall’artista, arriva a compimento solo con la partecipazione attiva dello spettatore, che interagisce con l’opera, spesso in emulazione dell’artista, e sperimenta un accadimento.

Conversazione con Mario Ciccioli

Paolo Martore: Quale l’idea è alla base degli interventi sul colle del Rivellino?
Mario Ciccioli: L’idea di creare un parco sonoro con installazioni permanenti, ma rinnovabili; anche perché spesso queste installazioni si valgono di elementi naturali: l’acqua, il vento, la luce del sole e cose del genere. Questo collina di due ettari e mezzo non è di mia proprietà ma del comune di Tuscania, il quale andrebbe indirizzato, prima che ci metta panchine o lampioni.

P.M.: L’idea di un parco sonoro sarebbe quindi praticabile?
M.C.: La cosa interessante di questo luogo è il fascino della rovina, fascino tipico del panorama italiano, quantomeno della nostra zona. L’idea di rovina in un contesto assolutamente naturale, dove la natura si è riappropriata del proprio luogo e fa da cornice al manufatto umano. Dal mio punto di vista, un parco sonoro qui avrebbe lo stesso valore di una basilica romanica. Un ipotetico viaggiatore, in visita a Tuscania, potrebbe prima visitare le chiese romaniche e poi un luogo, che si propone come sito naturale e di ascolto. Questa è una delle vallate più integre dell’alto Lazio; non è un luogo qualsiasi: qui Pasolini ha girato Uccellacci e uccellini, da qui c’è una delle viste più belle di tutto il paesaggio della Tuscia. Solo qua ci sono cardi alti tre metri insieme ad un simile scorcio dall’alto su San Pietro. Qui la collina mantiene la sua vegetazione naturale, che è la stessa del Trecento.

P.M.: La collocazione dell’Arpa eolia in un simile contesto, di vegetazione spontanea e rovine monumentali, ha una ragione specifica?
M.C.: L’Arpa eolia è qualcosa che viene prima degli strumenti musicali. Per quanto io ci sia arrivato in maniera del tutto casuale. Volevo tirare un filo dalla torre di San Pietro alla torre del Rivellino; era un gesto che mi serviva semplicemente per smaltire un malumore, in un epoca, il 1984, in cui l’insofferenza non era solo mia, ma di tanti altri artisti, che incominciavano a lavorare con il paesaggio. Si trattava di un gesto fisico, materiale: collegare due punti nello spazio, con un filo di nylon della cui esistenza avrei saputo solamente io.

Quando sono arrivato sulla spianata, dinanzi alla basilica, il filo, nella bobina (il pezzo di ferula nel quale era avvolto), si è messo a suonare. Da allora ho realizzato che il filo ad una certa tensione suona; per cui ho cominciato a ricercare e sperimentare delle forme che, da una parte, avessero un loro valore estetico, dall’altra amplificassero il suono. Chiaramente io non sono un liutaio e, se costruissi una cassa di risonanza con le caratteristiche di quella di un violoncello, il suono, di sicuro, ne guadagnerebbe, ma sarebbe già un altro lavoro. Sicuramente m’interessa che l’oggetto svolga la sua funzione, ma anche che abbia un suo valore estetico, intrigante a seconda del contesto in cui viene inserito.

È un’opera che si autoforma, si autogenera. Molte delle installazioni che ho collocato qui precedentemente, partivano dall’idea di montare due superfici piatte che, messe in tensione con dei lunghi fili di nylon, per opera degli agenti atmosferici, della pioggia, del secco, del caldo, si aprivano a poco a poco come due valve di conchiglia. Da un oggetto bidimensionale, ne veniva fuori uno tridimensionale, creando nello stesso tempo la cassa acustica. Una scultura che si forma nella natura, come le piante. All’inizio non hanno una voce, o quantomeno il suono è sporco, vibrato, non ha la schiettezza di due legni che si sono asciugati e hanno perso con il sole tutta loro umidità. Prendono gradualmente, invece, la loro forma dalla tensione data dai fili, diventando un corpo elastico, assolutamente risonante.

P.M.: Queste opere hanno un titolo?
M.C.: Sono Arpe eolie; tra l’altro, io utilizzo questo nome, ma, sul dizionario degli strumenti musicali, l’Arpa eolia è uno strumento ben definito, identificato: una sorta di salterio, un astuccio di legno rettangolare con delle corde di metallo. Posto in prossimità di correnti d’aria, accanto ad una finestra, ad esempio, lo strumento porta all’interno dello spazio dei suoni fascinosi, aleatori come quelli che ascoltiamo ora, ma metallici. Io stesso ho utilizzato l’Arpa eolia classica.

P.M.: Lo stretto legame con gli elementi naturali ti crea impacci quando devi agire in un contesto fortemente antropizzato? Cambiano i termini del tuo operare?
M.C.: Semplicemente, in tal caso viene fuori la forza del contrasto, nel senso che portare un suono di corno o di rombo all’interno, per esempio, di Corviale significa mettere accanto punto di partenza e punto attuale. Cosa che crea sicuramente uno spiazzamento e quindi un’attenzione, un interesse o un coinvolgimento. Suonare dei corni o dei rombi dentro una costruzione in cemento armato, che ha una risonanza particolare, è come verificare un’esperienza assolutamente arcaica in un contesto assolutamente moderno, fatto che io trovo di particolare interesse. Interesse che è anche dello spettatore, del fruitore o dell’esecutore; perché il concetto da cui parto è che, rispondendo a gesti elementari, assolutamente semplici, queste opere possono essere utilizzate da chiunque abbia voglia di provare.

P.M.: Dunque punti ad un approccio spontaneo?
M.C.: Si. Conto su di un approccio il più spontaneo possibile, con dei mezzi assolutamente elementari, semplici. L’idea di ritornare all’origine, sia nel materiale, sia nel procedimento. Ho usato me stesso come metro per stabilire il diametro di questa capanna. I sassi che ho utilizzato per creare un punto di appoggio erano sparsi qui attorno, per il prato. Prediligo un arte in cui sono in grado di trovare il materiale per strada, oppure in uno spazio naturale dove ho tutto quello che mi occorre a portata di mano. Mi piace guardarmi intorno, prendere quello che mi serve e nell’arco di mezzora mettere in piedi il mio giocattolo; mi piace preservare l’attitudine ludica, di gioco.

Dall’alto:

M. Ciccioli, Arpa Eolia M. Ciccioli al lavoro