Luxflux si fa carta e si presenta con una mostra evento

Lunedì 19 gennaio 2004 è stato presentato il primo numero della rivista “luxflux / proto-type” arte contemporanea. La rivista nata nella redazione del sito “luxflux.net”.La rete reale-virtuale dell’arte contemporanea e diretta da Simonetta Lux e Pietro Barcellona per le edizioni Gangemi, si presenta con una veste grafica innovativa – progetto di Paolucci & Statera – e propone un nuovo “format” di piccole dimensioni, interamente a colori e di facile leggibilità.
Nel programma editoriale si individuano orientamenti all’immediata contemporaneità e alle sperimentazioni interdisciplinari, notizie sull’arte sottratte alla cronaca e ridefinite nella consapevolezza di rappresentare un sicuro collante fra l’azione diretta della sperimentazione e la storia nella sua autorevole identità di scienza umanistica. Nella redazione Lucrezia Cippitelli, Elisabetta Cristallini, Fabrizio Lemme, Patrizia Mania, Augusto Pieroni, Domenico Scudero, Carla Subrizi.
In questo primo numero sono proposti articoli monografici e tematici che spaziano dai Luoghi dell’arte – Palais de Tokyo, Biennale di Venezia, Galleria Casagrande – ad Art in Theory, Regiones, Photage, Partiture, Protocollo Critico con la presenza tra le altre, di interviste a Jacopo Benci, Sukran Moral, Tomàs Ochoa, Daniel Spoerri.
La presentazione della rivista ha avuto luogo a partire dalle ore 17 presso i locali della Gangemi Editore, Piazza San Pantaleo 4, con un dibattito inaugurale a cui hanno partecipato il segretario culturale dell’IILA Irma Arestizabal, l’editore Fabio Gangemi, il direttore di “Luxflux” Simonetta Lux, il Consigliere R.L. Biagio Minnucci, Anna Mattirolo, Direttore generale Darc, il regista Stefano Scialotti.
Alle ore 19 è stata inaugurata una mostra evento presso lo spazio dell’IILA -Istituto Italo Latino Americano-, con lavori ed azioni di Sükran Moral, Roberto Perciballi, Tomàs Ochoa, una video installazione di Jacopo Benci e la proiezione del documento video realizzato durante la Biennale di Venezia del 2003 e prodotto in collaborazione con Luxflux/MLAC_Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma, sul Padiglione americano e sullo pseudo-Padiglione irakeno, per la regia di Stefano Scialotti, l’autore di Sotto il cielo di Baghdad.

 

BULBUL, o della necessità e dello strazio dell’esperienza interiore, nella performance di Sükran Moral
di Patrizia Mania

La performance di Sükran Moral, intitolata BULBUL ha rappresentato il momento più emozionante della serata. Nel buio appena rischiarato dalle luci che colpivano, sfiorandola, la grata di una gabbia di ferro, l’artista, chiusa proprio dentro quella gabbia, ha rotto il silenzio mettendosi a cantare una canzone di origine turca tratta dal repertorio melodrammatico tradizionale. Una canzone triste che narra di un impossibile amore lontano che genera dolore ma che resta nel cuore e non si riesce ad allontanare. Come un usignolo – BULBUL in turco significa usignolo – messo dentro una gabbia, l’artista cerca con questa melodia di sedare l’ansia della prigionia, del non poter librare in volo. Fin dall’antico Egitto l’uccello in ogni sua specie era considerato simbolo dell’anima, un’anima qui costretta alla prigionia e a tentare con il canto una possibile via di fuga. L’usignolo nella simbologia tradizionale turca è l’uccello dell’amore che accompagna le vicende amorose. Il suo canto fa da cornice e sfondo alle traversie e alle gioie d’amore. Ma, ovunque, è dai poeti ritenuto cantore dell’amore, della felicità estatica che l’amore procura e dell’intollerabile sofferenza dell’abbandono e della morte. Tanto più inaccettabile nel chiuso di uno spazio angusto, di un recinto, che inibisce di esplicare il desiderio di libertà. La gabbia, l’uccelliera riduce e limita le possibilità d’azione amplificando nel contrasto l’energia liberatoria e a tratti straziante del canto. Questa gabbia, è la gabbia nella quale ognuno di noi è racchiuso, imprigionato da ruoli, convenzioni, obblighi, o vorrebbe forse essere racchiuso, per entrare dentro sè stesso, fare capolino, esplorare le proprie intime risorse, fortificarsi anche per poi poter tentare di uscire. La gabbia in sé è non trovare una via d’uscita. Ed il canto prosegue l’intento di rompere le catene ed uscire fuori. Solo la voce può, infatti, senza infrangere l’ostacolo, proiettarsi all’esterno, consentire una relazione con il mondo ed un legame che si propaga nello spazio, una potenzialità di libertà effettivamente perseguita e capace di collocarsi ovunque.
A farle da contrappunto, una voce quasi di disturbo, più monotona, interpretata virtuosisticamente da David Barittoni, ha, durante la performance, raggiunto altri spazi e interferito con la melodia d’amore riportando il dramma a ritmi più quotidiani, a richieste più pragmatiche, a presenze consuete anche se ossessivamente compulsive. Là, dove non sembra poter trovare posto e possibilità la pena, la felicità ed il delirio d’amore. È l’esperienza interiore nelle sue pieghe più ricche di pathos e vero a farsi strada e ad urlare, non espressionisticamente ma con quel troppo d’umano che ci inquieta e disorienta, una contemporanea e sferzante necessità.

 

Dall’alto:

Alcune immagini della performance di Sükran Moral