I partecipanti al progetto “Orchidea” sono numerosi, interessanti ed appartengono ai diversi Paesi dei Balcani. I due più drammatici autori di questa manifestazione (peraltro di grande qualità soprattutto tra i giovani) sono stati Ilija Soskic, pioniere della performance e video arte dell’Est Europa – potremmo dire – e Jusuf Hadžifejzović, interessante artista croato che vive tra Sarajevo ed il Belgio.
Cetinje era la capitale del Montenegro, dove nel 1896 il re Nicola Petrovic, padre della regina d’Italia Elena, aveva fondato il Museo Nazionale. Qui René Block, direttore del Fredericianum di Kassel ed amico della Jugoslavia, ha stimolato anche al riconoscimento di artisti ormai nomadi per il mondo ma che il loro Paese, per la situazione disastrata della Federazione Jugoslava, tarda a riconoscere e sostenere pienamente.
Petar Kugovic, direttore del Museo Nazionale di Montenegro, all’interno dell’ampio ed internazionale progetto per la V Biennale, ha creato il progetto “Orchidea” dedicandolo a Nero Wolfe, detective che in Italia fu interpretato dall’attore Tino Buazzelli in una celebre serie TV trasmessa in 10 episodi dal 1969 al 1971. Nero Wolfe, come tutti sappiamo, era nato dalla fantasia dello scrittore statunitense Rex Stout (1886 – 1975) il quale l’aveva immaginato originario proprio del Montenegro.
È interessante subito notare questo accento post moderno e questo understatement che ha connotato il nome, non più ideologico, della manifestazione artistica di Cetinije.
In questo senso uno dei progetti che Ilija avrebbe voluto realizzare era proprio in sintonia con questo accento de-ideologizzato: l’artista aveva infatti pensato di dedicare a quel geniale detective-gourmet che era Nero Wolfe, una riedizione della ricetta specifica del goulash che Wolfe faceva magistralmente. E l’avrebbe fatta, ci diceva Ilija, nella cucina del carcere…
Veniamo dunque al luogo in cui si è svolta la mostra e le performance, che è uno dei luoghi ormai più tetri della città: il carcere di Cetinije, abbandonato da quando la Jugoslavia si è sfasciata ed il Montenegro ha maturato la propria indipendenza confederandosi recentemente con la Serbia.
Il carcere è stato scelto da Petar Cukovic: dunque la scelta primaria non è in verità post-moderna. A vederlo è piccolo e terribile. Prima i nazisti e poi i comunisti hanno imprigionato, torturato, interrogato, affamato, dissidenti di qualsivoglia colore.
Entrare nel carcere è stato un colpo al cuore. In contrasto con il vissuto di Cetinije che il giorno dell’inaugurazione sembrava di grande allegria e disinvoltura. Ma torniamo a questi due artisti citati, non dimenticando di dire che anche l’ideatore di “Orchidea” e il curatore della Biennale hanno realizzato una loro installazione in questo spazio.
Ilija ha realizzato altri due progetti.
In uno degli ambienti, ha realizzato un opera intitolata Out?. In verità questa di Ilija, una bellissima installazione tipo Arte Povera nella quale mescola una bicicletta, due lunghi pali di legno legati strettamente alla canna della bicicletta con un filo di ferro – di quelli da campo di concentramento o da trincea. La bicicletta è puntata verso un muro della stanza come a voler aprire/sfondare un luogo. Out? ci parla della condizione difficile di molti dei grandi artisti poverissimi e transfughi per l’Europa in quanto pacifisti durante quella terribile guerra che i recenti barbari fatti in un altro Oriente ci hanno fatto dimenticare!
Il terzo progetto di Ilija, che è stato realizzato in occasione del suo compleanno il 2 agosto, si intitola Ceneri e fa parte del suo più ampio progetto Traphos, progetto nato dalla metà degli Anni Ottanta e inteso come “nutrimento originario della mente di un individuo” che si mostra nel tempo attraverso una serie di opere o azioni ambientali.
Dunque Ilija ha in qualche modo soggettivizzato ed insieme universalizzato questo luogo, con uno sguardo più occidentale e sicuramente non più ideologico.
Ma cosa proveranno autori e persone di fronte a questo fatto così apparentemente inserito nella tradizione della neo avanguardia, ma un fatto tuttavia improvviso, incredibile in sé svelatore di coscienze? Sin dall’inizio, il giorno dell’apertura, si sentiva un’aria euforica ed emozionata insieme.
Ogni giovane artista che ha partecipato ad “Orchidea” ha sottolineato in modo diverso, come si può vedere dalle immagini, una questione di oggi analoga a quella antica: il rapporto tra soggetto/individuo e potere/poteri.

 

Trap = Traphos

di Simonetta Lux

“Trap=Traphos” è una fossa circolare nella terra: si mette sotto la paglia, dentro cose e/o cibi da conservare, altra paglia, fino a costruire un “Monte emisferico” di terra. La mezza sfera di Iljia diventa così un elemento come 
cosa imprigionata
cosa salvata
cosa tutelata.
Dialoga così il nomade Soskic con i luoghi che trova in modi sempre diversi. “Traphos” vuol dire “nascondere qualcosa dentro di sé” anche.

 

La V Biennale di Cetinije 

di Simonetta Lux

La V Biennale di Cetinje 2004 dal titolo generale Love it or Leave it, seconda parte della “Trilogia dei Balcani”, è un progetto iniziato dalla Kunsthalle Fredericianum di Kassel. Si svolge in 3 città: Cetinje, Dubrovnik, Tirana, ed è presieduta da Nikola Petrovic Njegos. I curatori generali solo Rene’ Block e Natasa Ilic. A Dubrovinik, Croazia, si è svolta in senso stretto Love it or Leave it dal 17 luglio al 20 agosto. La manifestazione “Orchidea” si svolge a Cetinje, Montenegro, dal 20 luglio al 19 settembre ed è progettata da Petar Cukovic. L’organizzazione di Dubrovnik è di Art Radionika Lazaretti (Dubrovnik).

 

Jusuf Hadžifejzović 

di Simonetta Lux

Ora del tramonto, poca luce, stanze abbandonate, doppio cortile, ferri divelti del cemento armato di questo carcere che fu di stile razionalista, sassi in terra, dolci di miele offerti.

                                                            

La performance Double Jack di Jusuf Hadžifejzović

Proprio in questo momento, nel cortile del carcere, si è svolta l’azione di Jusuf Hadžifejzović, Double Jack.
Oltre a un’installazione in una delle stanzette del carcere, l’artista ha tirato fuori i suoi strumenti di azione significante ed ha donato al tetro luogo carico di memorie, una parte del suo corpo: con freddezza, davanti a tutti, si è fatto estrarre un dente sano ed ha visualizzato in una smorfia quello che si può provare di fronte a un luogo misterioso ed improvvisamente svelato.
La visione della performance mi ha inorridito. Nei minuti successivi ho iniziato a parlare con un bambino che aveva assistito all’azione, chiedendogli che impressione gli avesse fatto. “Ottimo. Ottimo!” mi ha esclamato. Poi mi ha detto “Noi capiamo. Ci fa ricordare tante cose”.
Di fronte a una cosa del genere ti viene un grande malessere, ma anche un forte bisogno di sapere in questo nuovo millennio come ci si misuri con la memoria. Sappiamo che ricordare è impossibile. Non dimentichiamo che Primo Levi si è suicidato dopo aver scritto “Se questo è un uomo” e gli altri suoi libri di meditazione sulla violenza dell’uomo. A mio parere le ferite psichiche determinate della violenza dell’uomo sull’uomo sono insanabili, anche quelle apparentemente meno gravi come quelle della cacciata dei bambini da una scuola per ragioni etniche e per una politica razzista.
Il giorno successivo, durante la mia conferenza, sono intervenute molte persone tra cui molti non addetti ai lavori. Tra questi la figlia di qualcuno che negli anni Quaranta era stato portato in prigione. Questa ragazza raccontava il ricordo terrorizzante della sua attesa in una sala d’aspetto della galera per una visita al padre. E di come questa galera le era sembrata un luogo potente, invincibile. Per questo, raccontava, non aveva più osato avvicinarsi a questa parte di Cetinije dove c’era la prigione. L’apertura di questo luogo al pubblico, con l’arte, con tanti uomini dentro ed in questa diversa situazione, le ha prodotto un improvviso sollievo. Si è anche detta: “era tutto qui?”.