La produzione artistica del ‘900 ha messo in discussione il concetto di “durata” con cui l’opera d’arte si restituisce al nostro tempo e alla nostra percezione, l’idea di eternità che l’arte classica ci ha tramandato, e il modello stesso d’intervento conservativo.
Il restauro è un atto critico di “riconoscimento dell’opera d’arte” (C.Brandi 1977), una riformulazione testuale dell’opera che condensa le molteplici stratificazioni di cui quest’ultima, con la propria storia, è espressione. Per questa ragione il rapporto con l’arte contemporanea diventa problematico: la vocazione all’effimero può tradursi nell’adozione di materiali deperibili; il restauro identificava, nell’opera d’arte antica, abrasioni, crettature, alterazioni del colore, bruciature come segnali inconfondibili di alterazione, ora, si deve confrontare criticamente con una materia che nasce già usurata. 

Un’osservazione di Sandro Lazier introduce il problema del rapporto tra Arte Contemporanea ed esigenza conservativa: “La stessa idea di conservazione non è spiegabile senza il presupposto della mutazione cui sono condannate le cose e le persone. Conservare le cose è sempre stato un grande problema dell’umanità, dal cibo alle case, dai ricordi alla storia, gli egizi conservavano persino i morti. Ma se voglio conservare la frutta devo mutarla in marmellata e, allora, l’oggetto della conservazione non è più l’ingrediente ma il ricavato (ci si preoccupa di conservare la marmellata, non la frutta). Perciò ci si illude di rifare marmellate nel modo dell’antica tradizione, ma si scorda che i frutti sono sempre nuovi.”
Un atteggiamento protettivo e sacrale può rivelarsi dannoso, mentre è conveniente che l’atto critico che il Restauro vuole proporre sia percepibile come interrogazione costante sull’opera d’arte, sull’uso poetico di materiali destinati a consumarsi, sull’intenzione artistica che sta all’origine di eventi effimeri, consapevole che trasformare un frutto in una marmellata equivale a modificare l’essenza dell’opera; s’impone una durata che è più un surgelamento (basti pensare all’ipotesi di congelare le opere di Roth!) che un intervento di conservazione. 

L’abbandono della rappresentazione, l’adozione dell’oggetto quotidiano, dell’elemento tecnologico, lo sconfinamento del “fare arte” nella registrazione di eventi-arte legati al tempo dell’accadere, pongono le premesse per un restauro che sia estensione di un atto critico, la ricerca di un’intenzione, prima che ipotesi sullo stato della materia.
I ready-made di Duchamp sono opere nate dalla manipolazione di oggetti industriali, prelevati dalla realtà quotidiana, che impongono la propria presenza materiale in un contesto, quello museale, in cui sono immesse grazie ad un gesto che le seleziona; strappandole dal contesto quotidiano per collocarle in quello dell’arte: l’artista ne reinventa il “pensiero”. 

L’opera diventa, a questo punto, una domanda, non più solo un oggetto fisico: “Che cos’è l’arte?”; una serie di indicazioni, come nel caso di Etant donnés: 1° la chute d’eau, 2° le gaz d’eclairage, in cui l’artista ci mostra un’opera allo stadio di progetto da realizzare in un secondo momento, da altre persone. Per questa ragione, “la replica di un ready-made trasmette il medesimo messaggio dell’originale”. Questo è un punto essenziale anche per le conseguenze sul piano conservativo, in quanto introduce il tema controverso dell’“identità” dell’opera in rapporto alla sua riproducibilità. L’opera può ammettere di essere sostituita, per intero, o in alcune sue parti, per esigenze di conservazione, senza perdere il suo significato? Il Grande Vetro di Duchamp, ad esempio, è il risultato di ricostruzioni operate sia dal Museo di Philadelphia, proprietario dell’opera, che dall’artista stesso.
Nel caso di opere con una predominante valenza concettuale, capaci di un’ identità autonoma rispetto all’oggetto, come di opere costituite dall’assemblamento di materiali industriali, che presentano parti deteriorate, disturbando la fruizione e la funzionalità dell’opera, si ammette la sostituzione di parti, fino alla replica dell’intero esemplare, qualora ogni intervento di restauro, anche minimo, presuppone un’alterazione dell’intenzione dell’artista. Paradossalmente, questo genere di operazione difende il messaggio artistico e quindi l’identità dell’opera a scapito dell’ originalità dei materiali. 

Nei lavori Liane, Trappola Chiusa, Ponte, di Pino Pascali, realizzati con pagliette di ferro, l’operazione conservativa ha previsto la sostituzione di alcune pagliette di ferro alterate, con delle copie, in quanto il restauro delle originali avrebbe falsificato la “povertà” del materiale. I Bachi da setola, del 1968, sono costituiti da spazzoloni di plastica blu, rossi e verdi, assemblati in una struttura di ferro. I vari esemplari dell’opera hanno subito diversi gradi di alterazione; tuttavia, in questo caso, la sostituzione non è avvenuta poiché i materiali costitutivi dell’opera sono fuori produzione, una condizione molto diffusa per opere che si servono di materiali industriali in continua mutazione.
L’altra serie di opere di Pascali, le vasche di lamiera di ferro verniciata, riempite di acqua colorata nel corso degli allestimenti, presentano casi di corrosione dovuta all’azione dell’acqua, materiale costitutivo dell’opera e principale elemento estetico. L’ipotesi è di sostituirle, conservando le originali, restaurate, come documentazione.
Anche le opere di Arte Cinetica o VideoArte, costituite da motori, congegni meccanici, elettronici, monitor, possono richiedere la sostituzione di alcune parti.
Nel Laboratorio di Restauro della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma è stata restaurata Strutturazione pulsante, un lavoro del 1959 di Gianni Colombo. Si tratta di un restauro di particolare interesse perché prevede una soluzione conservativa che nasce da una lettura attenta dell’intenzione artistica supportata dalla conoscenza profonda dei materiali.
Un muro di novanta mattoni bianchi, costituito da “poliestere espanso”, contenuto da una cassa di legno, si anima elettromeccanicamente dando l’impressione di un crollo imminente. I mattoni, sostenuti da uno strato di velatino a trama fitta, subiscono delle spinte alternate da due tubolari metallici collegati ad un motore elettrico. Tra polistirolo e velatino si pongono verticalmente dei fili di orlon rivestiti in plastica bianca, messi in tensione da molle di acciaio, in corrispondenza delle traverse orizzontali ed alla base. La struttura era coperta da un foglio di gommapiuma, che doveva contenere il movimento di spinta. Ogni gruppo di mattoni era sormontato da rettangoli di cellofan trasparente, per attenuare l’attrito degli elementi che dal retro spingono i mattoni.
I danni che l’opera aveva riportato ponevano un problema di difficile risoluzione: ripristinare i materiali originari, “poveri”, con un loro significato nell’opera, a scapito del movimento, non più realizzabile a queste condizioni, o intervenire con delle sostituzioni che avrebbero ripristinato il movimento, e quindi il recupero della sua funzionalità? Le indicazioni dell’artista vivente possono fornire un aiuto importante al Restauratore. Gianni Colombo, in un’intervista afferma, a proposito delle sue opere, che lo stesso effetto di movimento potrebbe essere ottenuto impiegando mezzi tecnologicamente più aggiornati e materiali più resistenti, ma questo “non porterebbe a ricostruire la stessa operazione”.
L’intervento conservativo, doveva ripristinare il movimento, attraverso una sostituzione parziale delle parti alterate, ma non apportare miglioramenti tecnologici.
I Restauratori della G.N.A.M. hanno cercato di utilizzare gli stessi materiali scelti dall’artista, sebbene, a distanza di anni, molti prodotti sono andati fuori-produzione e quindi sono stati sostituiti con prodotti analoghi ma più stabili chimicamente: il filo di orlon, non più in commercio, è stato trovato al mercato di Porta Portese, anche la gommapiuma non si produce più e quindi è stata sostituita con poliuretano espanso che presenta le stesse caratteristiche, possiede lo stesso aspetto ed è più tenace; al posto del cellofan è stato usato il più resistente P.V.C..
La gommapiuma, materiale di origine vegetale, utilizzata anche da Piero Gilardi per realizzare i Tappeti-Natura, non è stata più introdotta sul mercato perché è soggetta ad un rapido deterioramento (è fotosensibile ai raggi ultravioletti) ed è stata sostituita con il più stabile corrispettivo sintetico: il poliuretano espanso flessibile, derivato del petrolio. Il materiale che si ottiene è stato apprezzato da molti artisti per la sua duttilità, si può tagliare in pezzi, può essere lavorato singolarmente e poi assemblato.
Sulla fragilità del poliuretano si è soffermato invece Michelangelo Pistoletto: “I lavori che ho realizzato con il poliuretano nascono già con questo problema e in altre parole come far durare un materiale di per sé fragilissimo che ha la fortuna di essere così leggero, delicato e morbido, da potersi scolpire con una rapidità che è ben diversa dai tempi lunghi richiesti per i materiali più pesanti e tradizionali. In questo caso, dunque, il restauro è già insito nella nascita dell’opera, per la necessità di ricercare immediatamente soluzioni per la sua protezione.”
Per Pistoletto, il restauro si configura come una questione esistenziale: interviene nel momento in cui la perfezione del mondo naturale, che ricicla tutto e quindi non si può restaurare, si confronta con il mondo prodotto artificialmente. La Venere degli stracci, eseguita con materiali “poveri”, vuole proporre la sostituzione come condizione possibile anche per i prodotti umani, purché realizzati con materiali intercambiabili. In questo modo l’opera vive una sorta di rigenerazione continua: nonostante la loro labilità, gli stracci ci saranno sempre, basta trovare il modo per fissarli. 

I suggerimenti dell’artista si rivelano utili non solo quando s’interviene in modo invasivo sull’opera, ma anche nei casi di ordinaria manutenzione. Molti danni che le opere riportano, sono determinati da una cattiva conservazione: spesso non si conoscono le modalità del loro mantenimento e le intenzioni dell’artista sono fraintese o disattese; come nel caso della pulitura dei Quadri Specchianti di Pistoletto, necessaria per non alterare i valori del rapporto tra immagine fissa e figure riflesse, mentre c’è chi insiste a voler conservare la patina brunita che si forma in presenza di smog ed altri fumi.
Per Giulio Paolini la sostituzione dei calchi di gesso, nelle opere costituite dall’assemblamento di sculture classiche, è letta come un’operazione di manutenzione, necessaria quando è compromessa la stessa lettura dell’opera. Le statue, trattandosi di calchi di sculture antiche, non possono risultare invecchiate, devono apparire sempre nuove e bianchissime.
Un comportamento analogo si tiene verso le opere eseguite con lastre di plexiglas, in cui il materiale è nato insieme all’opera, ma non è in grado di conservare nel tempo le qualità (trasparenza assoluta) per cui era stato scelto dall’artista.
Un’altra importante sfida per la Conservazione è legata al rapporto con l’arte “effimera”: happenings, Land-Art, performance, installazioni temporanee, il cui ricordo è affidato esclusivamente a riprese filmiche o fotografiche.
La condizione “straordinaria” di intrasportabilità, compromette la consuetudine secolare di conservare le opere nei musei e altera i meccanismi di promozione e diffusione commerciale dell’opera.
Il mantenimento della memoria di questo genere di arte rappresenta una sfida per la conservazione proprio in ragione dell’impossibilità di restaurarla.
L’unico atteggiamento auspicabile è una documentazione attenta ed esaustiva dell’evento e un’attenta conservazione, questo sì, dei supporti che lo riproducono. La preoccupazione che tali supporti non siano adeguatamente conservati è palesata dalle affermazioni di Michele Cordaro: “…a dimostrare, che tale tipo di documentazione dell’esperienza artistica più recente, in assenza dell’oggetto, allunga di poco la vita dell’evento, non lo assicura certo per periodi abbastanza lunghi da consentire almeno la storicizzazione e la messa in prospettiva, in una scala di relazioni e di valori interna all’epoca che lo produsse, dell’evento stesso. Si consideri infine che l’utilizzazione di tali supporti è, in tendenze tutt’altro che trascurabili dell’esperienza artistica contemporanea, un’assunzione diretta e una scelta determinata, come accade per i film d’artista, o nei video, spesso realizzati con strumentazioni amatoriali, o nell’uso diffusissimo dei media fotografici nelle composizioni figurate fino all’uso di apparecchi a sviluppo e stampa immediati del tipo della macchina “polaroid”, e nell’ambito della Computer Art e dell’elaborazione elettronica dell’immagine.”
Un’altra tendenza che si richiama all’effimero, e che arriva a progettare la distruzione dell’opera, è la cosiddetta Eat Art. Dieter Roth utilizza materie commestibili (cioccolata, zucchero, pane…) per realizzare un discorso intorno all’idea di metamorfosi, al quale lo spettatore assiste. Questi materiali, collocati all’interno di una teca, sono divorati da insetti e microrganismi: l’evento consiste nel fatto che la materia muta progressivamente la propria forma. Ogni intervento di prevenzione del degrado comporterebbe solo la distruzione dell’opera. L’intervento conservativo, è partito dallo studio delle caratteristiche di fabbricazione e degrado del materiale scelto, per individuare le condizioni ambientali ottimali per conservarlo, e stabilire i metodi di pulitura più consoni e il sistema migliore per eliminare gli insetti. Un’altra ipotesi conservativa che è stata accolta, prevede il congelamento dell’opera che eviterebbe il trattamento di disinfestazione e quindi l’utilizzo di prodotti tossici. L’intervento minimo, invece, potrebbe salvaguardare la semplice “percezione” di commestibilità del materiale che la costituisce senza impiegare metodi invasivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Alberto Burri, Grande Rosso, 1964

Marcel Duchamp, Grande Vetro, 1915-1923

Piero Gilardi al lavoro

Pino Pascali, Bachi da setola,1978, Photo (c) Giorgio Colombo, Milano

Gianni Colombo,Strutturazione Pulsante (Muro), 1959

Michelangelo Pistoletto,Venere degli stracci, 1967

Robert Smithson, The Spiral Jetty, 1970