Io credo: al suono astratto, alla tecnica senza ostacoli, all’illimitatezza dei suoni. Perciò ogni sforzo deve tendere a che sorga verginalmente un nuovo inizio. Ferruccio Busoni (1866-1924)

Tra le prime iniziative cui l’Archivio storico della musica contemporanea (Asmc) di Roma ha offerto la propria collaborazione si situa la tavola rotonda svoltasi a Roma, il 5 novembre 2002, al fine di inaugurare la mostra “Homeart. Computer Art di Pietro Grossi”, a cura di Ida Gerosa, presso la Sala A del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza” di Roma. L’occasione espositiva, inserita nel più vasto progetto di ricerca sull’applicazione delle nuove tecnologie multimediali all’arte contemporanea, ha dato l’opportunità di presentare per la prima volta a Roma un piccolo campionario dei risultati conseguiti da Grossi nel settore della “Homeart”, vale a dire di un’ “arte creata da e per se stessi, estemporanea, effimera, oltre la sfera del giudizio altrui”. La mostra ha proposto “una serie di opere che vanno dalle elaborazioni al computer realizzate nel corso degli anni sino alle animazioni: [È] una grande opera dal titolo Alfabeti, alcune immagini montate su pannelli neri dal titolo Attimi di Homeart ed una serie di pubblicazioni ad esemplare unico dalla serie Homebook, editoria personalizzata realizzata con programmi messi a punto dall’artista stesso”. [1]
La recente scomparsa del maestro veneziano [ma fiorentino d’adozione] ha imposto il ripensamento di una vicenda biografica e artistica certamente inusuale nel panorama della musica contemporanea italiana e la ricostruzione/contestualizzazione di un percorso di ricerca sganciato dalla tutela delle grandi istituzioni e in buona parte eccentrico rispetto agli standard formativi e operativi degli artisti d’avanguardia in Italia, e non solo in Italia. [2]
L’intento celebrativo delle iniziative romane dell’autunno 2002, pur riguardando direttamente gli esiti più recenti dell’attività artistica di Pietro Grossi – vale a dire la sua produzione grafico-pittorica degli anni Novanta – ha richiamato l’attenzione sull’intera esperienza creativa di questo artista schivo e operoso, nonché sugli esiti della sua precocissima vocazione elettronica; in altre parole, non è stato possibile fare a meno di considerare anche la sua dedizione al visuale (quell’accostamento alla computer art che ne ha illuminato ed esaltato l’ultima stagione creativa) quale espressione della sua intera vicenda di musicista, certamente sui generis, come ha efficacemente raccontato il suo allievo e collaboratore di vecchia data Albert Mayr:

I processi grafici che Grossi produce si concretizzano in immagini anziché in idee sonore ma sono in realtà frutto della stessa linea estetica che ha caratterizzato l’attività precedente del compositore veneziano. Si tratta di semplici programmi, scritti in un linguaggio di programmazione comunissimo, caratterizzati ognuno da poche istruzioni all’interno dei quali viene dato spazio alle procedure pseudo-casuali nell’ambito di un’idea artistico-compositiva unica, sviluppata poi in una miriade di variazioni grafiche. [3]

Nel corso dell’incontro romano non si è potuto prescindere dal sottolineare la solidissima formazione musicale di Grossi, il lungo apprendistato sfociato poi in una brillante carriera concertistica, coincisa di fatto con gli anni giovanili (gli anni di studio a Venezia e poi a Bologna presso il Conservatorio “G. B. Martini”) e con quelli della sua prima maturità (1936-1966). Vale la pena di segnalare le tappe della storia della musica d’avanguardia e degli albori della musica elettronica in Italia che hanno avuto Grossi come protagonista e che gli assegnano quei primati che egli stesso non ha mancato di sottolineare nelle tante interviste concesse nel corso del tempo ai suoi allievi ed ai suoi estimatori:

1961 fonda a Firenze l’associazione “Vita musicale contemporanea” (1961-1967)
1962 compie le prime esperienze nel campo della musica elettronica
1963 crea a Firenze lo Studio di Fonologia musicale di Firenze S 2F M
1965 trasferisce lo Studio di Fonologia all’interno del Conservatorio di Firenze ed ottiene l’istituzione della prima cattedra di musica elettronica all’interno dei Conservatori italiani 1966 abbandona l’attività di violoncellista
1967 cura insieme a Domenico Guaccero una trasmissione radiofonica per conto della RAI sulla musica elettronica
1968 viene inciso il primo disco a 45 giri per l’etichetta General Electric GE -115 con musiche realizzate presso lo Studio S 2F M
1968 partecipa alla organizzazione del Convegno internazionale Centri Sperimentali di Musica elettronica, svoltosi a Firenze nell’ambito del XXXI Maggio Musicale Fiorentino
1969 inizia l’attività di ricerca nel campo della computer music presso il CNUCE dell’Università di Pisa, dando vita alla sezione musicologica tuttora operativa (Grossi vi lavora sino al 1994) 1970 compie la prima esperienza italiana di telematica musicale in collegamento diretto tra Pisa e Rimini. [4]

Questa cronologia essenziale, relativa agli anni 1961-1970 (grosso modo un decennio), sintetizza le tappe salienti della svolta clamorosa verificatasi nel percorso musicale di Grossi, vale a dire quel graduale ma inesorabile passaggio di stato dalla carriera esecutiva (mi riferisco all’interprete brillante, concertista virtuoso e di chiara fama, con cariche prestigiose al suo attivo) a quella compositiva con l’impiego via via sempre più esclusivo del mezzo elettronico e l’adesione totale e incondizionata alla produzione del suono artificiale. L’esperienza di “Vita musicale contemporanea” ha fatto verosimilmente da tramite tra uno stato e l’altro, coincidendo proprio con l’avvio delle prime esperienze nel campo della musica per generatori di suono elettroacustico: Grossi, come tanti altri giovani compositori della sua generazione o di quella di poco successiva, sente il bisogno di impegnarsi in prima persona anche nel campo dell’organizzazione musicale e di affiancare al cresciuto impegno compositivo quello propositivo, a Firenze proprio all’interno delle strutture conservatoriali.
Il 1962 segna il punto di non ritorno, l’anno della scoperta del suono artificiale, delle sue infinite potenzialità tutte da immaginare e da esplorare. L’iniziazione, anche per Grossi, è a Milano presso lo Studio di Fonologia della RAI, la formidabile invenzione di Luciano Berio e di Bruno Maderna, coadiuvati da un gruppo di tecnici solidali e di dirigenti illuminati (oltre che interessati). L’esperienza milanese, così cruciale per l’apprendistato elettronico di tanti musicisti italiani, costituisce per Grossi una sorta di punto d’arrivo, ove depositare le tensioni e le inclinazioni già emerse nella sua più recente produzione con l’impiego di procedimenti matematici destinati a governare il divenire della composizione per strumenti acustici (si veda, in particolare, la serie delle Composizioni, dalla 3 alla 12, ivi incluso il pezzo n. 11 di natura puramente concettuale).
Se a Milano in un certo senso si raccolgono e si solidificano alcune esperienze sonore in forma conclusiva rispetto all’itinerario compositivo precedente, il vero e proprio punto di inizio di questa storia, il nuovo corso dell’attività compositiva di Grossi, coincide con la creazione dello studio S 2F M a Firenze, inizialmente presso l’abitazione privata e poco dopo presso i locali messi a disposizione dal Conservatorio “L. Cherubini”. La nascita dello studio è senz’altro una clamorosa novità, accompagnata perlopiù nei dintorni da analoghe iniziative a Torino, ad opera di Enore Zaffiri, e a Padova grazie a Teresa Rampazzi (“i tre cavalieri solitari della musica elettronica”, così Grossi definirà in seguito i tre pionieri dell’elettronica in Italia). [5]a novità, in buona parte condivisa dalle iniziative segnalate, sta proprio nella dimensione ‘privatistica’ che contraddistingue queste esperienze, tutte risolte in ambiti distanti dagli enti radiotelevisivi generalmente coinvolti in Europa in questo genere di imprese. Naturalmente lo studio S 2F M prende vita dall’esperienza milanese ove Grossi attua una “prima indagine o ricerca compiuta con strumenti elettronici che doveva dare inizio ad un processo operativo in totale opposizione agli altri preesistenti a causa della sua finalità: acquisizione di eventi sonori diversi tra loro e, quindi, ‘musica come ricerca’ e pregnanza del messaggio grazie agli strumenti logici impiegati per lo svolgimento dell’analisi”: [6] realizza così la sua prima composizione elettronica Progetto 2-3, ascoltata in seguito a Ferrara, nel 1962, nel corso di una performance artistica del pittore Maurizio Bonora. Già a Milano Grossi intravede la possibilità di gestire in proprio le macchine elettroniche (lo studio S 2F M viene dotato sin dagli inizi di un banco di oscillatori, di un generatore di rumore bianco, di alcuni banchi di filtri, di un frequenzimetro, di alcuni magnetofoni) e di organizzare a casa sua uno studio privato, ma aperto alla sperimentazione da parte di altri musicisti interessati (come ha raccontato più recentemente: “Essendo io di natura introversa, vidi in questi strumenti la possibilità di lavorare privatamente. Ho la tendenza a vedere l’uomo in una vita conchiusa, completa in sé”). [7]
L’evoluzione rapidissima della tecnologia, l’incremento in forma esponenziale delle potenzialità anche musicali dei computer ha continuato ad alimentare lo stupore di Grossi dinanzi all’esperienza elettronica degli inizi e l’interesse del musicista nei confronti di un vasto campionario di operazioni praticabili: la possibilità di ascoltare immediatamente il proprio lavoro compositivo, senza la complessa e faticosa mediazione esecutiva, lo aveva esaltato al pari della straordinaria velocità di gestione di tutte le procedure immaginate. Con queste parole egli lo ha efficacemente raccontato nel corso di una recente intervista:

Il secondo giorno più importante [della mia vita] è stato quando ho fatto la mia prima esperienza al computer. Lei pensi a cosa possa voler dire per un artigiano della musica come me. Un bel giorno, inserito questo pacco di schede nel computer, il computer ha suonato subito alla perfezione il testo che gli ho dato. Cioè, sulla base delle mie indicazioni, e non c’erano errori. Questo per me era un salto, un salto incredibile. E’ stata un’emozione straordinaria. Per me è stato uno choc; si aprivano nuovi orizzonti, potevamo fare quello che volevamo, naturalmente non era vero, nel senso che i limiti erano parecchi, era il suono più brutto del mondo, ma per me era il più bello del secolo. [8]
 

Tra le acquisizioni importanti dello studio fiorentino sin dagli anni sessanta vanno segnalate: la sistematica, radicale adozione di un principio operativo ‘aperto’, in continuo divenire (ogni lavoro può essere ulteriormente elaborato, dal suo autore o da altri, ed è suscettibile di infinite trasformazioni); l’abbandono della “proprietà intellettuale” e l’avvento dell'”anonimato compositivo” (i lavori di nuovo conio vengono presentati con la sigla dello studio, senza alcuna indicazione nominativa, e soprattutto progettati per nuovi contesti di fruizione, anche attraverso alcune consistenti anticipazioni della nozione di installazione sonora all’interno di ambienti opportunamente selezionati, gallerie, musei, spazi architettonici particolari); l’applicazione di procedimenti che rendono automatica la composizione e che consentono una sorta di “moto perpetuo informatico”. [9]
La tipologia delle sperimentazioni condotte da Grossi e dai suoi collaboratori configura l’intera operazione in termini di clamorosa rimozione, di totale azzeramento dei cardini della cultura musicale occidentale: si vedano, in particolare, il concetto di opera quale oggetto confezionato una volta per tutte, la nozione di autorialità del soggetto che compone e si assume la paternitˆ dell’oggetto, infine la manipolazione del repertorio quale causa/effetto della perdita di quell’alone auratico che configura l’opera come monumento a partire dall’epoca classico-romantica. E’ facile immaginare le riserve e la diffidenza che hanno accompagnato nel corso del tempo il lavoro di Grossi, la comparsa dei lavori più radicali dello studio e l’enunciazione di una dottrina estetica non facilmente condivisibile, sul piano concettuale, nemmeno dai più avanzati esponenti dell’avanguardia musicale italiana.
Grossi ha cercato sostanzialmente di immaginare un nuovo status del compositore, proprio a partire dalle metodiche compositive di recente esperite: dall’anonimato compositivo, legato alla nuova dimensione sperimentale del comporre, si è accostato via via alla definizione di una nuova figura di compositore-artigiano quale didatta delle scienze. Questo ‘abito’ si è rivelato per varie ragioni particolarmente congeniale alla sua indole: da vero maestro non ha mai rinunciato ad insegnare i prodigi che via via andava toccando nel corso della sua esperienza con i computer e le sue composizioni, ove più ove meno scopertamente, declinano quell’attitudine di tipo didattico-divulgativo di chi nell’affrontare l’esercizio creativo non ne vuole tacere gli artifici, ma amplificarne la conoscenza proprio per agevolarne la comprensione.
In questa veste di apostolo delle scienze, di sereno e fiducioso sostenitore della modernità totalmente immune da nostalgie e passatismi (“solo chi guarda innanzi ha lo sguardo lieto”, aveva scritto Busoni nel ’21, riprendendo un celebre motto del suo Dottor Faust; [10] “sono un fautore del guardare sempre avanti”, dirà Grossi nell’ultimo scorcio della sua esistenza, contestando “l’eccessivo amore per il passato” ), [11] di formidabile divulgatore delle nuove conoscenze acquisite e delle nuove potenzialità emerse (si pensi alla più recente progettazione di una rete mondiale di calcolatori in grado di scambiarsi informazioni musicali), lo abbiamo conosciuto qui a Roma, in più d’una occasione di incontro e di riflessione, e così lo ritroviamo nella bella video-intervista curata da Paolo Bernardi, oggi disponibile presso l’Asmc all’interno del Museo Laboatorio d’Arte Contemporanea della “Sapienza”.
I legami molteplici con l’ambiente dei musicisti romani, o romani d’adozione, consolidatisi proprio nel corso degli anni sessanta grazie alle iniziative fiorentine animate da Grossi e al coinvolgimento in esse di alcuni compositori attivi a Roma (in primis Vittorio Gelmetti, Mauro Bortolotti, Domenico Guaccero, ecc.), giustificano l’esecuzione a Firenze, nel corso delle stagioni di “Vita musicale contemporanea”, di composizioni di autori di area romana; la realizzazione di una trasmissione radiofonica sulla musica elettronica, curata da Grossi in collaborazione con Domenico Guaccero nel 1967; l’esecuzione a Roma, sempre nel ’67, di Composizione 3 nel corso del quarto festival dell’associazione per la musica contemporanea “Nuova Consonanza”; infine, in anni più recenti, la presenza a Roma del compositore per lezioni-concerto e conferenze nell’ambito di alcune manifestazioni indette dalla medesima associazione. [12]

Tra gli eventi che consolidano il longevo sodalizio tra lo studio fiorentino e gli artisi di area romana mi piace segnalare una delle prime audizioni di Musica programmata a Roma: nel 1966 Pietro Grossi, annunciando una precocissima dedizione al visuale, offre la propria collaborazione ad un’importante iniziativa espositiva svoltasi presso la Galleria Numero di Fiamma Vigo. E lo fa aderendo, in perfetta sintonia di intenti, alle linee programmatiche enunciate nel suggestivo catalogo della mostra dei pittori Lucia Di Luciano e Giovanni Pizzo e sotto l’egida di uno storico e critico dell’arte, quale Giulio Carlo Argan, che firma le note introduttive alla mostra annunciando i fondamenti teorici e filosofici della “ricerca combinata, ma non parallela, di Pizzo e Di Luciano”, senz’altro oggi “[È] nel campo dell’immagine, la più esplicita, rigorosa ed avanzata analisi strutturalistica e operazionistica”. [13] Quei fondamenti erano stati al centro di un dibattito assai vicace e piuttosto affollato, svoltosi all’incirca due anni prima, sempre a Roma, presso la libreria delle Messaggerie Musicali sul tema “La metodologia della ricerca scientifica nelle tecnice artistiche” e su quei fondamenti si è intrattenuta a lungo Simonetta Lux nella sua disamina degli albori di un pensiero creativo, quale quello della Lucia Di Luciano, legato all'”idea di una anti-metafisica”, all'”idea di una nuova costruttività e possibilità di controllo o enunciazione del fare artistico”, ove “[É] ciò che si chiama scientifico è in verità il far apparire come assiale della creazione la procedura, o meglio lo svelamento del codice proprio e liberamente istituito per ogni opera o serie di opere”. [14]
La realizzazione delle musiche per la mostra romana di pittura operazionale si inserisce nel periodo iniziale di funzionamento dello studio fiorentino e accoglie gli esiti più attraenti della sperimentazione elettronica di Grossi, tra l’altro in un momento particolarmente delicato di incontro e di con-fusione di metodiche artistiche e scientifiche. Con pacata lungimiranza e grande consapevolezza di mezzi e di intenti il compositore fa il punto sul suo lavoro del ’66: vale la pena di trascrivere ancora una volta il breve testo di Grossi, redatto per il catalogo della mostra, dal momento che non se ne trova traccia in alcun altro documento dell’epoca né, tanto meno, in quelli relativi agli anni successivi di attività del compositore veneziano:

il pensiero e gli strumenti da esso prescelti per esprimersi permettono oggi alla musica il recupero di un pesante ritardo e l’affiancamento alle discipline più avanzate nell’opera di indispensabile trasformazione dell’ambiente in cui vive l’uomo.
il recupero esige, però, l’abbandono del terreno di lavoro circoscritto entro i muniti confini estetici erettivi intorno dal passato. il valore dei mezzi e dei canoni operativi ivi contenuti subiscono, infatti, una continua ed allarmante erosione mentre la misura del loro impiego compromette in modo direttamente proporzionale la forza, la validità, il significato delle esperienze più ardite e affascinanti.
È a queste esperienze, però, che dobbiamo la rottura del compatto fronte della conservazione e anche il nascere e il consolidarsi di una visione chiara e lungimirante, confortata dal dinamismo delle discipline consorelle e di quelle scientifiche, e, soprattutto, dal saldo sostegno del pensiero filosofico.
Accettati in musica tutti i mezzi elettronici disponibili e bruciati su di essi – tavolta gloriosamente – i residui di estetiche preesistenti, s’è fatta luce l’esigenza di programmare; di qui l’adozione di algoritmi, formule combinatorie, elementi di calcolo delle probabilità, queste predeterminate escursioni nell’ambito udibile, progettate a ciclo chiuso o a durata illimitata, si rendono disponibili per fruizioni che esorbitano dai canali d’informazione consueti.
Alla futura automazione il compito di sviluppare e portare a risultati imprevedibili queste prime esperienze. [15]

È interessante segnalare che negli anni di lavorazione di quel nastro (oggi disponibile in copia rimasterizzata su CD presso l’Asmc di Roma, unitamente alla copia anastatica del catalogo della mostra del ’66), Grossi andava elaborando una personale nozione di musica algoritmica, così sintetizzata dall’autore alcuni anni dopo: “Si trattava di sequenze di fasce sonore che obbedivano ad alcune leggi del calolo combinatorio, leggi che venivano calcolate da un computer e che servivano per stabilire le durate, le dinamiche e le altezze: si poteva ipotizzare che durassero all’infinito. Il ricorso al computer serviva meramente per lo sviluppo delle regole combinatorie, mentre la realizzazione fonica era di tipo analogico”. [16]
L’esperienza romana del ’66, condotta nel solco dell’intersezione concettuale e operativa fra le arti del segno e del tempo, annuncia un tratto assai tipico del primo decennio di vita della musica elettronica in Italia, la sua particolare inclinazione verso il segno e la figura, la necessità di coniugarsi con la materia visuale nel divenire più o meno fluido dei suoi complessi processi di elaborazione, il bisogno di specchiarsi in una materia assai meno volatile, ma col tempo divenuta altrettanto mobile e cangiante. Se all’una spetterà l’acquisizione di una nozione di spazio quale parametro del suono rimasto troppo a lungo latente, se non addirittura silente, nella storia della musica occidentale, all’altra toccherà l’assimilazione di processi e strutture del divenire capaci di mettere in movimento la materia e di suggerire percorsi nuovi con cui interagire in maniera creativa. Sono lieta di annunciare che tra le recenti acquisizioni dell’Asmc figura inoltre una copia del primo disco, intitolato Computer Concerto e inciso nel 1968 dalla Olivetti General Electric in collaborazione con lo Studio S 2F M di Firenze (sigla: GE – 115), grazie ad una donazione da parte del maestro Mauro Bortolotti, assiduo frequentatore dello studio fiorentino negli anni sessanta. Nella facciata 1 del disco sono incise le trascrizioni di tre canoni ricavati dall’Offerta Musicale di J. S. Bach e del Capricccio n. 5 di N. Paganini; nella facciata 2 tre lavori originali prodotti nello studio, rispettivamente “Mixed Paganini, ovvero un brano ottenuto dalla sovraposizione incrociata di tre esecuzioni, a velocità diversa, dello stesso Capriccio, Permutazioni di 5 suoni [Permutations of life sounds] e Continoous, una particolare interpolazione di scale ascendenti e discendenti emesse dal calcolatore [É]”. [17]
Sin dagli inizi una parte consistente del lavoro svolto da Grossi mediante le macchine elettroniche ha riguardato la rilettura/trascrizione/manipolazione del repertorio della cosiddetta musica d’arte e non è azzardato affermare che la sua sperimentazione in questo ambito abbia raccolto frutti altrettanto consistenti, se non addirittura più sorprendenti, rispetto al settore della musica di nuovo conio. L’epigrafe busoniana collocata in cima a questo scritto impone a questo punto un rimando più sostanzioso a quell’Abbozzo di una nuova estetica della musica, la cui versione definitiva risale al 1916, e ai luoghi ove si accenna, tra l’altro, al nodo cruciale in musica della notazione/trascrizione. Censure moltepici aveva raccolto il povero Busoni per le sue geniali trascrizioni pianistiche di celebri pagine bachiane e a tal proposito, e con straordinaria lungimiranza, non aveva potuto fare a meno di segnalare che “[É] ogni notazione è già trascrizione di un’idea astratta. Nel momento in cui la penna se ne impadronisce, il pensiero perde la sua forma originale. L’intenzione di fissare l’idea con la scrittura impone già la scelta della battuta e della tonalità. Il mezzo formale e sonoro [sic!] – per il quale il compositore deve pur decidersi – determinano sempre più via e limiti” e di aggiungere alla metafora antropomorfica (musica=organismo umano), quale giustificazione del fatto che il divenire della materia vivente non distrugge la forma originaria, la seguente suggestiva annotazione:

Anche l’esecuzione di un pezzo è una trascrizione, e anche questa non potrà mai far sì che l’originale non esista – per quanto libera ne sia l’esecuzione. Giacché l’opera d’arte musicale sussiste intera e indenne prima di risuonare e dopo che ha finito di risuonare. E’ insieme dentro e fuori del tempo, e la sua essenza è quella che ci può dare una tangibile rappresentazione del concetto dell’idealitˆ del tempo, altrimenti inafferrabile. [18]

Se si prescinde dall’approdo mistico della riflessione busoniana, [19] certamente ancorata ai dettami della dottrina filosofica tedesca di derivazione tardottocentesca (si veda in particolare Il regno della musica, quell’epilogo della nuova estetica aggiunto in forma di commiato alla seconda edizione dell’Abbozzo nel ’16), in conformità con le ascendenze busoniane dichiarate proprio dai pionieri dell’elettronica e naturalmente fatte salve le novità dello scenario europeo ed italiano della seconda metà del Novecento rispetto agli inizi del secolo, sarà possibile risalire ad un’analoga e meno scoperta matrice del pensiero di Pietro Grossi, tale da legittimare sul piano concettuale la manipolazione consapevole e mirata del repertorio tradizionale alla ricerca di nuove e più attuali configurazioni di quei manufatti a-temporali, appartenenti alla storia solo in ragione della “via” e dei “limiti” impiegati per la loro riproduzione.

NOTE: 1 Homeart. Computer art di Pietro Grossi a cura di Ida Gerosa, comunicato stampa a cura del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza”, Roma, 2002. Colgo l’occasione per ringraziare a nome di tutto lo staff del Museo Laboratorio la vedova del compositore, Marcella Chelotti Grossi, per aver donato all’istituto la seguente opera grafica di Grossi: Libro d’artista/ 1999/ elaborazione grafica in linguaggio informatico del manifesto della musica futurista di Luigi Russolo/Stampa ad aghi/ Dimensioni: foglio A4 modulare continuo (già proprietà dell’artista).
2 Pietro Grossi nasce a Venezia nel 1917. Si diploma in violoncello nel 1935 e dal ’36 sino al 1966 è primo violoncello dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Agli inizi degli anni quaranta si diploma in composizione ed avvia la sua attività in questo campo scrivendo alcuni lavori da camera e per orchestra. Reduce da un importante soggiorno di studio a Milano presso lo Studio di Fonologia della RAI, Grossi organizza nel 1963 presso la sua abitazione lo Studio di Fonologia musicale di Firenze (S 2F M), poi trasferito nel 1965 all’interno del Conservatorio “Luigi Cherubini”, ove verrà istituita la prima cattedra per l’insegnamento della musica elettronica in Italia. A partire dal ’66, abbandonata la carriera di violoncellista, si dedica in maniera via via sempre più esclusiva alla ricerca nel campo della musica per generatori di suono elettroacustico, grazie anche all’importante collaborazione con il CNUCE, il centro di calcolo dell’Università di Pisa. Negli anni settanta nascono alcune importanti serie di pezzi (Polifonia, Monodia, Unending music e i vari Sound life) e vengono realizzati da Grossi alcuni esperimenti nel campo della telematica musicale, dell’informatica musicale con esemplificazioni frequenti nel corso di incontri, conferenze e manifestazioni varie. A partire dagli anni ottanta allarga il suo campo di interessi alla grafica e alla computer art, avviando l’esperienza della “Homeart” e, successivamente, degli “Homebook”. Muore improvvisamente il 21 febbraio 2002.
3 ALBERT MAYR, note di copertina , in Computer Music di Pietro Grossi, CD, Edizioni musicali Edipan, 1990. Cfr. FRANCESCO GIOMI – MARCO LIGABUE, L’istante zero. Conversazioni e riflessioni con Pietro Grossi, Firenze, Sismel / Edizioni del Galluzzo, 1999.
4 Le parole sono di Pietro Grossi , in Home Art. Computer Music e oltre, video-intervista a cura di P. Bernardi (Asmc). Cfr., inoltre, FRANCESCO GIOMI, Scuole storiche italiane di musica elettronica, in Musica e tecnologia domani. Convegno internazionale sulla musica elettroacustica, a cura di R. Favaro, Quaderni di “Musica/Realtˆ” n. 51, Lucca, LIM, 1999, pp. 73-91: 75-81.
5 PIETRO GROSSI, Musica senza musicisti, a cura i L. Camlleri, F. Carreras, A. Mayr, Pisa, CNUCE/CNR, 1987, anche in GIOMI, Scuole storiche italiane cit., p. 76.
6 La felicità di Pietro Grossi. Intervista al grande vecchio della computer music, a cura di T. Tozzi, “Konsequenz. Rivista di musiche contemporanee”, 7 VII (2000), n. 3-4 (nuova serie), pp. 92-97: 94.
8 GIOMI, Scuole storiche italiane cit., pp. 76-77.
9 FERRUCCIO BUSONI, Abbozzo di un’introduzione alla partitura del “Dottor Faust” con alcune considerazioni sulle possibilità dell’opera, in Lo sguardo lieto, a cura di F. d’Amico, Milano, Il Saggiatore, 1977, pp. 126-130: 129. 10 PIETRO GROSSI, Videointervista cit.
10 Cfr. DANIELA TORTORA, Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea a Roma (1959-1988), Lucca, LIM, 1990. Questo l’elenco delle partecipazioni di Grossi alle manifestazioni di “Nuova Consonanza”: “Computer music. Musica al terminale” (in collaborazione con il CNUCE di Pisa) nell’ambito della manifestazione “Computer e arte. Mostra di pitture e sculture. Conferenze, musica, film” (Roma, Palazzo Odescalchi, 1971); “Indagine sperimentale sull’interazione tra spazio e musica [É] Interazione tra musicisti ed elaboratore” (XIV festival di “Nuova Consonanza”, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1977); “Possibilitˆ attuali e future dell’informatica musicale”, una conferenza-concerto di Pietro Grossi nell’ambito della manifestazione “Musica tra scienza e tecnologia” (Roma, 1981).
12 GIULIO CARLO ARGAN, senza titolo, in Per una ricerca estetico-operazionale come metalinguaggio, presentazione della mostra di Lucia Di Luciano e Giovanni Pizzo presso la Galleria Numero, Roma, 1966, anche in SIMONETTA LUX – DOMENICO SCUDERO, Lucia Di Luciano. L’alba elettronica, Roma, Lithos, 2002, p. 7.
13 SIMONETTA LUX, Una lettera/manifesto, in LUX – SCUDERO, Lucia Di Luciano cit., pp. 13-40: 20.
14 PIETRO GROSSI, senza titolo, in Per una ricerca estetico-operazionale cit., anche in LUX – SCUDERO, Lucia Di Luciano cit., p. 38.
15 GIOMI – LIGABUE, L’istante zero cit., p. 41.
16 GIOMI – LIGABUE, L’istante zero cit., p. 39.
17 FERRUCCIO BUSONI, Abbozzo di una nuova estetica della musica, in Lo sguardo lieto cit, pp.39-72: 52. E’ singolare segnalare che non sono mancate le accuse di misticismo anche alla poetica di Grossi: vi fa riferimento il musicista stesso nella video-intevista più volte citata.

Pietro Grossi, Homeart, stills dal video