Giorgia Calò: Il sito www.elasticgroup.com è parte integrante del vostro percorso artistico. Oltre a presentare tutti i lavori che avete realizzato fino ad ora, è esso stesso concepito in quanto opera interattiva e multimediale. Il sito è formato da molti link e aree sensibili che permettono di accedere alla visione di video, performance, installazioni e nuovi progetti. Le immagini quindi si trasformano costantemente: personaggi che fluttuano, creature elastiche in continuo movimento ora si moltiplicano, ora scompaiono per poi riapparire. È quindi anche molto divertente da visitare; personalmente gli do un 10 e lode per la usability.                                             Elastic Group: Il nostro sito è stato candidato per due volte all’ Italian web award e abbiamo avuto la nomination in tutte e due gli anni. È stato interamente disegnato da noi e quindi è vero che rispecchia, dal punto di vista estetico e concettuale, quello che è il mondo elastic. Per noi è fondamentale il mondo della rete, ci permette di avere costanti contatti col resto del mondo, e se calcoli che in percentuale facciamo molte più mostre all’estero di quante ne facciamo in Italia…

G.C.: Per quale motivo? Secondo voi l’Italia, rispetto all’estero, non è ancora pronta alla videoarte?                       E.G.: Il pubblico italiano è pronto eccome, ma all’estero c’è molta più democrazia: abbiamo fatto mostre con Bill Viola e con Pipilotti Rist, in Italia sarebbe impensabile mettere allo stesso livello un artista giovane ad uno “storico”. Siamo gli unici italiani che hanno partecipato all’ultima mostra di Nam June Paik a New York.

G.C.: I vostri lavori vanno di pari passo con la ricerca tecnologica, quindi in qualche modo siete dipendenti dalle macchine digitali e dall’obsolescenza di cui spesso queste soffrono. Come vi rapportate con questa condizione di “sottomissione”.                                                                                                                                               E.G.: In realtà non è una sottomissione, è piuttosto un adattarsi, uno stimolo. Più la tecnologia si evolve più hai strumenti che ti permettono di esprimere maggiormente quello che vuoi trasmettere. Naturalmente più la tecnologia va avanti più i lavori si semplificano, e qui c’è il rovescio della medaglia perché con l’abbattimento dei costi l’approccio al mezzo tecnologico è alla portata di tutti, anche di coloro che magari non hanno un background tecnico e culturale.

G.C.: I vostri lavori spaziano dalle installazioni multimediali site specific ai video digitali, dalle performance alle fotografie, adattando generi e linguaggi diversi. Le vostre creazioni parlano quindi un linguaggio pluridisciplinare, eterogeneo, adattato quasi sempre al mezzo video. Perchè tendete a privilegiare questa nuova forma di arte contemporanea? Secondo voi cos’ha di più la videoarte rispetto alla pittura tradizionale?  E.G.: Siamo tutti figli dell’immagine. Oggi il mezzo di comunicazione fondamentale è la televisione, è l’immagine in movimento, al punto tale che viene esasperata e portata su ogni mezzo. Tu adesso ci stai intervistando con un Ipod dove potresti anche vedere dei video, delle immagini. Questo perché il video ha la capacità di trasmettere più emozioni rispetto all’immagine statica, è multimediale: ha suono e movimento, interpreti e azioni, inquadrature e fuoricampo… è uno spazio all’interno di un altro spazio. Di conseguenza il linguaggio video lavora su più strati.

G.C.: Partendo dall’Etant Donné di Marcel Duchamp, uno dei primi casi di voyeurismo artistico, in molte delle vostre opere viene spesso ribaltato il ruolo dello spettatore: da voyeur a “visto”, o meglio spiato, come ad esempio è accaduto nel public art Eye/I Recorder , realizzato nel 2001 sull’architettura degli Ex granai Lorenesi a Firenze, dove occhi giganti scrutavano i movimenti dei passanti.                                                                               E.G.: In quel caso c’era senz’altro un ribaltamento delle parti: sguardi notturni infrared osservavano gli spettatori facendoli diventare l’opera. Normalmente è il visitatore che guarda l’opera e non il contrario. Per Eye/I Recorder siamo partiti da un’idea progettuale che volevamo sviluppare in quello spazio preciso, è stato quindi un lavoro site specific. Dopo aver visto le arcate degli Ex granai Lorenesi le abbiamo automaticamente immaginate animate; a quel punto dovevamo dargli una vita propria, animando l’architettura.

G.C.: Avete notato delle reazioni da parte del pubblico sentendosi guardato da questi megaocchi?                       E.G.: Il gigantismo dell’occhio ciclopico acquista già una sua imponenza, in più se lo porti all’estremo attraverso l’infrarosso, quindi con una pupilla svuotata della sua profondità e dilatata, diventa ancora più inquietante. Essendo un’installazione non sonora, era l’immagine stessa a creare il ritmo attraverso lo scandire di battiti, di aperture e di chiusure, di movimenti seriali.

G.C.: Quanto è importante nei vostri lavori il sonoro?                                                                                                       E.G.: Nel nostro lavoro l’importanza del sonoro è al 50% con l’immagine video, e viene creato nello stesso momento. Non è una colonna di accompagnamento all’immagine ma diventa parte integrante del lavoro stesso che vogliamo proporre. Il nostro è un lavoro multitraccia.

G.C.: Parliamo ora delle video-creature che animano il mondo Elastic. Abitano un mondo tecnologico, virtuale, ciononostante riescono a conservare qualcosa di umano: a volte l’aspetto fisionomico, altre volte le movenze e i comportamenti. Sono esseri dall’aspetto post human in un immaginario di fantascienza postmoderna. Creature fatte di pixel al posto della carne, partorite dal ventre artistico degli Elastic Group (penso in questo momento a Video Solo, Oporto, 2003). Non a caso le vostre creature emergono sempre dal buio, da un luogo-non luogo prenatale, e fluttuano verso la luce.                                                                                                       E.G.: Nel momento stesso che un performer viene acquisito dall’occhio elettronico della telecamera, subisce una “trasformazione”, acquista una vita “altra” al di fuori del personaggio reale e concreto che ha lasciato la propria immagine. Il pubblico quindi inizia ad avere una relazione individuale altra rispetto all’immagine fisica e concreta. Spesso si istaura un rapporto empatico tra il pubblico e la videocreatura.

G.C.: A cosa vi siete ispirati per la creazione dei vostri videopersonaggi?                                                                         E.G.: Attingiamo molto dalla mitologia greca. Guardando indietro, abbiamo notato che attraverso la mostruosità, per riflesso, si è in grado di recuperare una parte di umanità. Le nostre creature sono i centauri dell’era contemporanea: metà video metà uomini. In Video Solo viene raccontata, ironicamente, la genesi della videocreatura.

G.C.: I contesti urbani, le città, spesso fanno da “contenitore” ai vostri lavori site specific . Gli ambienti che prediligete (che non sono semplici scenografie ma parti integranti del vostro lavoro) sono quelli urbani dove spesso viene sottolineato l’aspetto metropolitano, altre volte quello archeologico, quasi a voler penetrare l’identità storica della città. Il tutto è spesso giocato sulle condizioni spazio-temporali e sonoro-visive che creano un effetto sorpresa agli occhi dello spettatore.                                                                                                          E.G.: Il tema della città ci sta molto a cuore, ma non lo intendiamo come una documentazione narrativa classica. Abbiamo un progetto che si intitola Mapping the city , dove vengono create delle mappature delle città. Abbiamo già realizzato Amniotic city che è la città amniotica, la città ideologica e non contestuale specifica di un determinato spazio, dove si gioca su un’enorme quantità di messaggi metaforici. In altri lavori, come Subliminal Wien , rientra nello specifico la città e i suoi abitanti. Lavoriamo spesso anche con i linguaggi urbani, come la segnaletica stradale ad esempio. Questi segnali sono una sorta di linguaggio “geroglifico”, simbolico, di facile e immediata interpretazione. Abbiamo in programma di fare un lavoro su Roma, anche se è decisamente più complicato lavorare sulla città in cui abiti perché l’occhio si è abituato a vedere quotidianamente determinati spazi.

G.C.: Prossimi progetti?                                                                                                                                                           E.G.: Stiamo sperimentando l’idea del riflesso, dello specchio che diviene video e viceversa. Abbiamo cominciato lo scorso anno con Inside the Mirror presentato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, e porteremo un lavoro simile quest’anno a Milano, alla galleria Ierimonti, su invito di Carla Delia Piscitelli . L’installazione intitolata Video Portraits è costituita da due video-specchi messi l’uno di fronte l’altro genernando un infinito spaziale, mentre frontalmente allo spettatore un monitor a parete mostra un trittico video tutto giocato sul riflesso visivo (Narciso) e sonoro (Echo) e uno specchio schermante a terra sprofonda nell’architettura dell’interno.

G.C.: Quindi partite dall’idea del doppio riflesso: lo spettatore, respinto dalla parte specchiata del video, è nella triplice condizione di vedere/essere visto/vedersi.                                                                                                          E.G.: Esattamente, si tratta di vedere oltre e vedersi, nell’alterità e nello spazio. La riflessione è diversa dalla proiezione poiché la proiezione è una apparenza, un’immagine, mentre la riflessione è qualcosa che sta dentro, in uno spazio altro che si rivela. Il tema del riflesso è un’evoluzione naturale del nostro interesse sulla video-infra-realtà. In molti lavori (Carillon, Flow, Insomnia, Video Intimacy) abbiamo spesso usato gli infrared in quanto permettono di vedere quello che di solito rimane invisibile, cerchiando di far uscire la parte subliminale.

G.C: Avete appena pubblicato un libro, Strati Mobili: Video contestuale nell’Arte e nell’Architettura, che presenterete all’interno della fiera MiArt prossimamente.                                                                                             E.G.: Strati Mobili (Edilstampa, 2006) è una riflessione sul linguaggio stratificato dell’immagine elettronica e la sua capacità di ridefinire lo spazio architettonico, dandogli anche una collocazione storica, a partire dalle origini radicate nelle ricerche dinamiche delle prime avanguardie artistiche del Novecento fino ad arrivare agli ambienti interattivi e alle ultime esperienze di piazze telematiche. Alle applicazioni delle tecnologie avanzate dei new media, alla ricerca artistica sulla elasticità delle videosuperfici e alla possibilità di ripensare e ridimensionare l’esperienza dello spazio attraverso l’uso dell’immagine in movimento sono dedicati invece gli ultimi capitoli del libro che si presenta come una scrittura in rete, una finestra sulle nuove ricerche  per aprire nuove frontiere di operatività. Infatti il libro è costruito a scatole cinesi con interventi di diversi critici e curatori che sono stati interpellati. Micaela Giovannotti, responsabile per gli USA di Tema Celeste ha intervistato per esempio sul futuro della public video art  Marc –Olivier Wahler, all’epoca direttore del Swiss Institute di New York e attualmente nuovo direttore del Palais de Tokyo, Lauren Amazeen di Vanguard Visions e Anne Pasternak, Direttrice di Creative Time. E poi ci sono gli interessanti contributi degli architetti Maria Sieira , Gabriele Mastrigli e Stefano Bruno , per finire con un bellissimo epilogo del critico Vincenzo Trione. L’approccio Elastic è stato quello di creare un libro che si assomigliasse a un forum, un blog, una chat in rete, un libro corredato di immagini colorate che riprendessero la logica dei link e delle finestre di un website. Un libro con forte impronta progettuale.

G.C.: Analizzando tutti i livelli di significato nella società contemporanea…                                                                    E.G.: Sì, in particolare un’analisi sulla rivoluzione informatica e su come tutte le nuove tecnologie hanno cambiato e continuano a cambiare (elasticamente!) lo scenario delle nuove città.

Roma, 2 marzo 2006

 

 

Dall’alto:

Amniotic City, video installazione, 2003 ELASTIC Group of Artistic Research Courtesy XIV Quadriennale di Roma

Subliminal Wien, video installazione, 2005 ELASTIC Group of Artistic Research

Inside the Mirror, video installazione, 2005 ELASTIC Group of Artistic Research, Courtesy Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma

Video Solo, video performance, 2003 ELASTIC Group of Artistic Research, Courtesy Balleteatro Oporto

Eye/I Recorder Zap Simulacra, public video art, 2001 ELASTIC Group of Artistic Research

Self Mirror, video installazione, 2006 ELASTIC Group of Artistic Research, Courtesy Ierimonti Gallery