Gary Hill (1951, Santa Monica – California) è tra i più importanti creatori della scena artistica internazionale. Nasce come scultore, prediligendo l’uso dell’acciaio. Dagli anni Settanta l’artista americano diviene il pioniere della sperimentazione della video arte e delle video installazioni. Negli anni Ottanta il suo interesse si sposta verso l’aspetto processuale, indagando la forza semantica delle nuove tecnologie e coinvolgendo le infinite combinazioni tra elementi visivi, sonori e verbali. Alla Biennale di Venezia del 1995 Hill è il vincitore del Leone d’oro per la scultura. Nel 2005 l’artista californiano riceve la laurea ad honorem della Academy of Fine Arts di Poznan in Polonia. Attualmente vive e lavora a Washington.

Ester Coen è docente di storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi dell’Aquila. Si interessa dell’arte del Novecento, con particolare attenzione alle avanguardie storiche e alle espressioni artistiche degli anni Sessanta e Settanta. Ha curato importanti mostre di arte contemporanea tra le quali la recente Metafisica (Scuderie del Quirinale di Roma, 2004).

Giorgia Calò si è laureata in storia e critica del cinema. Nel 2004 ha pubblicato il libro Trilogia d’artista. Il cinema di Mario Schifano (Lithos editrice). Scrive su riviste cinematografiche e d’arte contemporanea. Attualmente è responsabile della comunicazione presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza”. Vive e lavora a Roma.

Nell’aprile-luglio 2005 Gary Hill ha realizzato all’interno del Colosseo e del Tempio di Venere la mostra Resounding Arches – Archi risonanti, a cura di Ester Coen e Giuliana Stella.
Hill è stato il primo artista contemporaneo a confrontarsi con l’imponente monumento, quasi a voler penetrare l’identità storica di Roma, creando un inedito connubio tra antichità e contemporaneo, tutto giocato sulle condizioni spazio-temporali e sonoro-visive. Hill ha rivestito la parte interna del Colosseo con le proiezioni di corpi nudi a grandezza naturale, ibridi a metà tra il reale e la simulazione al computer. Ogni corpo, che emergeva dal buio del monumento archeologico ed in movimento verso la luce, teneva in mano uno strumento “meta-mitologico” che all’emissione del suono creava una nuova percezione, carica di simbologie arcaiche. Queste figure-sculture sono divenute personaggi reali di un grandioso spettacolo-performance realizzatosi l’11 giugno sul piano dell’arena del Colosseo, adibita come fosse la scena di un teatro interattivo/sperimentale. Un progetto quindi scandito in più momenti, un work in progress atto ad indagare il passato attraverso la ricerca multimediale. Come spiega Giuliana Stella nel catalogo (Gary Hill. Resounding Arches – Archi risonanti, Mondadori Electa, Milano 2005, euro 25,00): “All’interno di questa enunciazione vi sono gran parte dei temi che hanno informato la ricerca artistica di Hill, rendendolo protagonista della scena internazionale da più di trent’anni”.
L’intervista che segue è stata realizzata con Ester Coen qualche giorno dopo la chiusura dell’evento nel tentativo di ripercorrere alcuni momenti della mostra.

Roma, 9 agosto 2005
Giorgia Calò – Ester Coen

Giorgia Calò: Mi ha colpito la scelta di inserire un artista contemporaneo all’interno di uno spazio storico, creando così un particolare e innovativo rapporto tra presente e passato. Questa idea è stata dettata dalle preferenze artistiche di Hill oppure voi curatrici avete pensato ad una location che più poteva “adattarsi” alle opere dell’artista americano?
Ester Coen: L’idea è nata da un incontro avvenuto circa due anni fa con l’allora soprintendente archeologico, Adriano La Regina, che mi chiese di immaginare una mostra per la Curia, al Foro Romano. Nel giro di pochi mesi il suo si trasformò in un vero e proprio invito formale a sviluppare, stavolta per il Colosseo, un progetto legato all’arte contemporanea. Lo spunto mi è sembrato subito straordinario: uno spazio archeologico che poteva essere rivissuto in senso moderno e soprattutto la rara opportunità di ragionare su possibili e inattese assonanze tra un presente così vicino e un passato carico, invece, di narrazioni così remote. Ho cercato allora di pensare, come prima cosa, a quale fosse la tecnica capace di “sopportare” un luogo, nella realtà e nel pensiero, illimitato per vastità, quale l’Anfiteatro Flavio. Individuata nella videoarte uno sconfinato potenziale di penetrabilità spaziale e, allo stesso tempo, un’insita “leggerezza”, la mia scelta è poi caduta su Gary Hill per la duttilità con la quale usa il video. Prefiguravo in questa scelta minori occasioni, per un artista non europeo, di lasciarsi intimorire dalla storia e soccombere allo stregante fascino dell’antichità.

G.C.: Il Colosseo è uno spazio fortemente caratterizzato, invadente e invasivo così come lo sono le opere di Hill. Quale è il punto di contatto fra queste due realtà?
E.C.: Il contemporaneo e l’antico si incontrano su piani diversi. L’intervento di Hill è stato piuttosto silenzioso da un punto di vista visivo. Quello che invece emergeva in maniera travolgente era il suono arcaico, primitivo, quasi ancestrale, che sembrava provenire dall’interiorità del luogo e rimbalzare attraverso i suoi archi. Direi che nella leggerezza dell’apparizione, negli esili passaggi tra reale e virtuale, le immagini che si solidificavano e dissolvevano sui mattoni dei fornici sui quali erano proiettate davano l’idea di esser sempre appartenute a quel luogo e a quel tempo.

G.C.: Nasce così la scelta di proiettare i video direttamente sulle strutture architettoniche del Colosseo?
E.C.: Esattamente. Solo all’interno di un fornice abbiamo dovuto inserire un pannello in legno per l’intensità della luce esterna che schiacciava la figura, senza lasciarla affiorare.

G.C.: A proposito delle immagini proiettate. Fin dagli anni Settanta Hill ha realizzato opere in cui si combinano video, performance, sculture, audio, testi orali e scritti. Ci può spiegare nello specifico cosa viene proiettato in questa mostra e se ci sono delle novità rispetto alle installazioni precedenti?
E.C.: Si tratta di simulazioni costruite con il computer partendo da modelli tridimensionali, sui quali sono applicati e tessuti dettagli di corpi fotografati nella realtà, movimentati poi attraverso tecnologie particolari, quali la motion capture. Per la prima volta Gary Hill ha sperimentato questa complicatissima tecnica, come si può vedere da alcune immagini che documentano nel catalogo la fase di lavorazione 3-d.

G.C.: La scelta di dislocare le installazioni in vari punti del monumento ha immerso lo spettatore in un tripudio visivo e sonoro, catapultandolo dentro una realtà “altra” contemporanea e tecnologica.
E.C.: Con Hill abbiamo fatto tantissimi sopralluoghi negli spazi del Colosseo. Abbiamo cercato di capire prima di tutto dove era possibile collocare proiettori e apparecchiature per la diffusione del suono senza troppo impossessarsi della superficie archeologica. E allo stesso tempo creare una concatenazione di segnali giocati su misteriose risonanze tali da generare brevi ma intense epifanie; innalzare inoltre il livello di ambiguità così da sovrastare il possibile interesse o la curiosità da parte del pubblico nei confronti di fenomeni di natura squisitamente tecnologica.

G.C.: Anche la scelta di posizionare l’immagine così in alto ha provocato un effetto sorpresa agli occhi dello spettatore che tutto poteva aspettarsi eccetto sentire trombe, sirene stridenti e immagini fugaci rinchiusi nei fornici bui del Colosseo.
E.C.: Vedere queste figure da una prospettiva sorprendente significava per Gary Hill esprimere con la massima semplicità una loro insita, segreta facoltà evocativa, come a richiamare un’impenetrabile trasparenza metaforica.

G.C.: Il fatto di creare delle video installazioni sonore anche al di fuori del Colosseo, fino ad arrivare ad un momento di maggior tensione che si è risolto nella performance dell’11 di giugno, per poi ridimensionarsi all’interno del monumento archeologico, mi fa pensare ad un movimento sinusoidale molto simile alle stesse immagini rappresentate: figure che appaiono dal buio, si illuminano accompagnate da suoni primigeni, per poi scomparire e riapparire successivamente.
E.C.: C’è stato un momento in cui si è dato inizio a quell’ermetico moltiplicarsi di figure e di architetture risonanti nello spazio; le immagini sono poi “uscite” dal Colosseo per disporsi all’esterno, nell’abside del Tempio di Venere e nelle sostruzioni dando vita a una complessa opera semantica, per tornare poi all’interno dell’anfiteatro e, nell’invasione fisica di quell’antica architettura, quasi un atto politico oltre che visivo, toccare il punto di massima apicalità. Un’apoteosi di sincronie dove tutti i linguaggi dovessero convivere in una strana rete di interferenze fino a disegnare una mappa di sensazioni, idee, visceralità, emozioni di ampiezza impressionante.

G.C.: La descrizione della mostra da lei raccontata mi lascia pensare che Hill abbia voluto rappresentare una sorta di evoluzione umana. Mi spiego: dall’emissione di un rumore primordiale si passa all’apparizione di un’immagine. In seguito Hill sembra quasi voler dare la parola a questi esseri che ha creato per poi farli svanire di nuovo.
E.C.: Questa potrebbe essere una delle tante, affascinanti chiavi di lettura.

G.C.: I lavori di Hill sono quindi sospesi in una sorta di “eterno presente”, un pò come lo è il Colosseo. Sulla base di questo potremmo dire che, almeno concettualmente, l’installazione visivo-sonora e il monumento che la ospita non sono poi così distanti.
E.C.: Gary Hill parla oggi attraverso la sua sintassi visivo-sonora di riecheggiamenti di memorie, turbamenti, disorientamenti connaturati al generico concetto di un’umanità, il cui istinto primario è rimasto inalterato, al di là di qualsiasi interruzione o frattura con il passato.

Dall’alto:
Installazione sonora Gary Hill. Resounding Arches –      Archi risonanti.                                                                     Fotografie di Claudio Abate