Agnieszka Zakrzewicz: Negli anni Ottanta, parallelamente con il neo-espressionismo europeo, anche sulle rive della Vistola si sviluppò la pittura dei “nuovi selvaggi” includendo la Polonia nelle carte geografico-culturali dell’Occidente. Invece nella seconda metà degli anni Novanta una nuova generazione di artisti, pur avendo assorbito pienamente il postmoderno ed i suoi linguaggi, in un certo senso ha rinnegato il parallelismo Est-Ovest. Che cosa è successo nell’arte polacca postcomunista?
Anda Rottemberg: Nell’epoca postcomunista l’arte polacca ha presentato un volto completamente nuovo. Dopo la caduta del muro di Berlino, sulla scena locale si è affacciata una nuova generazione di artisti influenzati dal Post-human, che abbandonò la pittura sull’esempio dell’Occidente. Questa generazione, figlia della globalizzazione, aveva assorbito l’arte americana dominante anche in Europa Occidentale. Molto presto però al suo interno si è formata una corrente che giudica, sentenzia il mondo, guardandolo coscientemente, rappresentata da artisti ormai famosi come Zbigniew Libera, Katarzyna Kozyra, Artur Zmijewski, Joanna Rajkowska e Alicja Zebrowska. Prima di tutto diventò evidente anche un altro fenomeno – una fortissima presenza di donne-artiste, giovani, rigorose, acute e molto radicali. Come esempio si può citare Alicja Zebrowska e la sua equivoca e forte opera video “Il peccato originale” (simulazione del parto di una bambola Barbie). Quella corrente l’ho chiamata ironicamente “Gruppo Bello”. Ma sono da segnalare anche altri artisti come: Grzegorz Twierdnia e Robert Maciejuk. Quell’ultimo ha subito una evoluzione molto lunga fino ad arrivare al suo segno attuale partendo dalla lezione di Modzelewski e del costruttivismo polacco.
Personalmente sono molto contenta per due cose accadute nella Polonia postcomunista. La prima è che gli artisti continuano ad essere legati alla propria tradizione, la seconda è che cercano modelli non solo nelle arti plastiche, ma anche nella filosofia, letteratura, teatro e cinema. Si rivolgono alla pittura di Andrzej Wròblewski, alla scrittura di Witold Gombrowicz e Witkacy ed all’Unismo di Stanislaw Strzeminski richiamato espressivamente da Leon Tarasewicz. Non cercano oltreoceano. Invece all’America guarda la società polacca, che dopo l’abbattimento della cortina di ferro è diventata molto liberista, consumista e cinica. L’arte polacca ha reagito a ciò che stava succedendo nel paese. L’inondazione di giocattoli aveva ispirato Zbigniew Libera nella sua produzione seriale: bambole Barbie vecchie e grasse chiamate “La zia di Ken”, gli attrezzi sessuali per il prolungamento del pene, la ricostruzione con il LEGO del campo di concentramento Aushwitz (opera che scosse un pubblico mondiale). L’arrivo dei beni del consumo di massa e l’invasione degli ipermercati stranieri ha indotto l’artista Joanna Rajkowska alla produzione industriale di bevande in lattine e vasetti di cosmetici, contenenti entrambi componenti organici del proprio corpo.
Katarzyna Kozyra – artista polacca già affermata sulla scena internazionale – ha cominciato dalla propria leggenda, cioè dalla sua malattia mortale, dall’angoscia paranoica per il degrado del proprio corpo. Queste erano le radici di “Olimpia” – la drammatica rilettura del quadro di Manet. Dopo il superamento del cancro, Kozyra ha cominciato ad analizzare i contesti nei quali funziona il corpo umano – il contesto fisico e quello sociale. Ha indagato sulla morte, sulle disfunzioni e le imperfezioni corporee, ha lavorato con i malati di Aids discriminati socialmente, fino ad arrivare al superamento del mistero del sesso nell’opera “Il bagno turco”.
La seconda corrente che si formò in Polonia dopo il 1995 si occupò dell’altro tabù nazionale – la religione. Artisti come Robert Rumas e Jacek Markiewicz hanno suscitato un grande scandalo e reazioni molto violente, perchè con le loro opere provocatorie hanno interagito con l’ipocrisia della società polacca che dal comunismo è scivolata in un altro sistema di controllo sociale.

A.Z.: L’esperienza del corpo post-organico e delle identità fetish si è definitivamente conclusa e la nostra analisi ha unicamente uno scopo storico. Però dobbiamo constatare che malgrado la Polonia abbia vissuto alla fine del XX secolo una stagione artistica particolarmente interessante, non sia riuscita ad affermarsi sulla scena internazionale. La body-art estrema in salsa polacca non è piaciuta all’Occidente, che con Orlan e Stherlack ha preferito occuparsi di chirurgia plastica e della fusione dell’uomo con la macchina, indagando sullo scenario del post umano. Può spiegarne le ragioni?
A.R.: Gli artisti occidentali operavano con il loro corpo, nel vero senso della parola. Gli artisti polacchi lo trattavano soltanto simbolicamente. Grazie a ciò queste operazioni simboliche sono diventate intellettuali. I Polacchi come sempre hanno unito il corpo allo spirito, attraverso il dolore.
Negli anni 70, quando si affermò la body-art, anche noi abbiamo avuto artisti che operavano con il proprio corpo, come Robakowski, che indagava sulla resistenza di esso, oppure Struszkowski il quale si feriva. Un corpo così inteso esiste all’esterno dell’artista che fa di esso il materiale della sua arte. Invece per l’ultima generazione di artisti polacchi il corpo non è materia ma luogo di sensazioni e ricerche. Nè Rajkowska, nè Zebrowska, nè Kozyra, nè Zmijewski, nè Althamer (l’artista più maturo che fece da ponte fra due generazioni), hanno mai usato il proprio corpo come materia creativa. Lo hanno usato invece in modo esistenziale, non fuori, dall’esterno come oggetto, ma dentro come soggetto. Essi hanno affrontato i problemi di sofferenza del corpo e la sua funzione esistenziale, affermando nell’arte il senso della bruttezza e dando risalto alla malattia ed alla minorazione fisica. Questo modo di intendere la fisicità ha certamente le proprie radici nel teatro di Kantor e di Grotowski.
Tale visione è legata al funzionamento sociale del corpo, alla sfera della timidezza, alla falsità, al tabù, alla religione. Il tema è estremamente attuale ancora oggi nelle diverse culture. Ci sono i paesi musulmani nei quali il corpo è tabù molto più che nella Polonia cattolica. Quando vediamo artiste come Shirin Neshat, ci rendiamo conto che la loro attività è  legata ad un grandissimo coraggio. In quei paesi i problemi sociali sono molto complessi e le artiste combattono per la loro posizione di donna in una società maschilista e patriarcale. Diventano terroriste visive, rivoluzionarie del costume.

A.Z. È interessante sottolineare la differenza nell’approccio con il corpo che si è delineata in Occidente e nell’Est postcomunista alla fine del XX secolo. Ma l’arte polacca, dove il corpo umano diventa un simbolo del corpo sociale, porta in sè un messaggio angoscioso. È un ritratto del corpo sociale malato, handicappato, che abbia avuto un ritardo nello sviluppo?
A.R. Si, è lo specchio di una società che abbia avuto sicuramente un certo ritardo evolutivo a causa dei pregiudizi del passato legati finora alla visione e alla funzione del corpo in un paese radicato nel cattolicesimo. Dopo la caduta del muro di Berlino la Polonia fu allagata dalla pornografia, che portò il modello dei corpi femminili e anche maschili straordinari, perfetti, attraenti. Corpi di silicone ben palestrati, divenuti perfetti prodotti commerciali. La società finalmente libera di consumare ha acconsentito a far vedere il corpo, però in un determinato modo. Un corpo irreale, che le persone ordinarie non possiedono, perciò esso diventa un concetto, un sinonimo del bello.
Invece, quando Kozyra fece vedere per la prima volta il corpo vecchio o malato, oppure quando Althamer ed Zmijewski mostrarono i corpi deformati e storpi, toccarono un’altra sfera della vita, il problema dei cittadini di seconda categoria, che inconsciamente viene messo fuori dalla nostra memoria collettiva ed individuale. Non ci si vuole ricordare di questi esseri umani perchè danno un senso di colpa, di disgusto o di sconforto. Gli artisti polacchi hanno scoperto alcune regioni della realtà che nessuno vuole vedere nè in Polonia, nè ovunque nel mondo. Questo ci lega fortemente ai russi, anche loro mettono a nudo gli aspetti più vergognosi dell’esistenza umana, familiarizzano con le condizioni umilianti imposte della vita. I russi ci sono vicini in quel loro modo di guardare, nella capacità di non fingere che qualcosa non si veda.
Il Gruppo Bello certamente aveva parlato di cose molto tristi, dolorosi, spiacevoli, perciò si chiama “bello”. La loro arte fu percepita dalla società polacca come perversa. Negli anni Sessanta, con uguali difficoltà veniva accolta anche Alina Szapocznikow, la quale parlò per prima di funzionamento del corpo femminile come feticcio che diventava obiettivo della manipolazione sociale.

Anda Rottenberg è considerata una fra le più autorevoli critiche d’arte e curatrici polacche. Per anni ha diretto La Galleria Nazionale “Zacheta” a Varsavia e ha ricoperto vari incarichi, quali quello di curatore del padiglione polacco alla Biennale di Venezia. Nel 2001 fu costretta a dimettersi perchè espose “La nona ora” di Maurizio Cattelan.

Dall’alto:

Artur Zmijewski, 140 cm, 1999

Artur Zmijewski, 140 cm, 1999

Zbigniew Libera, La zia di Ken, 1995

Pawel Althamer, Autoritratto, 1997

Katarzyna Kozyra, Olimpia, 1996

Joanna Rajkowska, Lobster Lovers, 1996

Joanna Rajkowska, L’amore dell’uomo chiamato il cane, 1997-98