Espongono a La Serpara:
Thomas Baumgartel, Bruno Ceccobelli, Res Ingold, Wilhelm Koch, Daniel Kufner, Attilio Pierelli, Reini Ruhlin, Pavel Schmidt, Daniel Spoerri, Ursula Stalder, Paul Wiedmer.

Bibliografia

E. Weddigen, Museo del Fuoco, Galerie am Marktplatz, Buren 1993.
H. Baumann, Paul Wiedmer. Civita.1995, P. Wiedmer, Burgdorf, 1995.

 

Sono state la fama degli Etruschi e la bellezza del paesaggio di questo angolo remoto del centro Italia che hanno indotto Paul Wiedmer e Jacqueline Dolder a stabilirsi presso la Serpara.
Siamo a pochi chilometri da Civitella d’Agliano, un piccolo centro agricolo del versante viterbese della valle del Tevere a forte vocazione vitivinicola, situato nel cuore dell’Etruria. Qui le rosse rupi tufacee si ergono su forre profonde e appaiono come isole sul biancore lunare della Valle dei Calanchi. Ci troviamo a metà strada fra la città di Orvieto e Bomarzo, il piccolo borgo dove Vicino Orsini creò con la grigia lava dei massi erratici il Sacro Bosco, un suggestivo quanto insolito giardino di sculture che ancora oggi affascina gli artisti di tutto il mondo e che è stata la fonte a cui molti giardini d’artista si sono ispirati.
La Serpara, luogo dal toponimo certamente intrigante che evoca in noi l’idea di una vita brulicante in un ambiente sicuramente caldo ed umido come si conviene alla vita dei rettili, è un vero e proprio angolo di paradiso: una valle verdeggiante ricca di acque sorgive, incisa nel tufo dal millenario scorrere del Rio Chiaro. Esposta in direzione est-ovest, e quindi coperta ai gelidi venti invernali che in questa zona spirano frequentemente, essa possiede un microclima che vi rende la natura assai rigogliosa in ogni stagione dell’anno.
Piccole strutture rurali, appartenute ad un piccola comunità contadina che ancora vi viveva quando i Wiedmer vi si trasferirono, si susseguono lungo la stradina che sale longitudinalmente alla valle e costituiscono i vari ambienti dove l’artista vive e lavora.
In questo luogo la presenza umana, pur evidente, rimane in sordina rispetto alla dominante naturale, nello stesso modo le sculture che la abitano vi si inseriscono con discrezione, la stessa discrezione con la quale Wiedmer, soltanto dopo un percorso di vita vissuta, fatta di conoscenza reciproca e di integrazione fra l’uomo, l’artista e l’ambiente, ha maturato l’idea di costruirvi un giardino. Ponendo in esso dei segni, egli non cercava un nuovo sfondo per le sue sculture, desiderava creare relazioni fra esse e l’ambiente naturale, sperimentare nuovi stimoli, nuove sinergie.
Emerge una ricerca che mira ad annullare la staticità dell’opera d’arte scolpita ponendola in un contesto vivo e mutevole, ma anche di rendere partecipe lo spettatore fronte ad essa. Lo constatiamo nel momento in cui, iniziando il percorso, percepiamo la nostra posizione duplice di attori e fruitori, completamente e consapevolmente immersi in questa opera globale e tuttavia segmento necessario per renderla viva ed attiva.
A mano a mano che ci addentriamo nel giardino, le sculture, spesso celate volutamente dalla vegetazione, ci sorprendono animandosi al nostro passaggio. Una fiamma rossastra guizza dalle superficie rugginose, accendendosi grazie ad una cellula fotoelettrica, e ci coglie di sorpresa procurandoci un attimo di emozione.
Queste opere tradiscono così la loro apparente staticità rendendo esplicita parte della vita che le ha create: permane in esse una doppia energia, quella creativa, scaturita dalla mano dell’artista, prolungamento ideale della sua mente, che genera la loro forma, e l’energia naturale che viene dal fuoco, come elemento creatore per eccellenza, al quale vuole rendere omaggio questo parco. Fu il fuoco dei vulcani che plasmò queste terre parecchi milioni di anni fa, e vi lasciò i segni del suo passaggio nel rosso del tufo. Il fuoco fu principio di vita per l’uomo che lo scoprì e seppe sfruttarne l’energia, come ha fatto l’artista per lavorare il ferro che è la materia da lui prediletta. Da sempre infatti Wiedmer si misura con questo materiale, sia utilizzando materiali di recupero, sia fondendolo lui stesso. Un materiale difficile, pesante, al quale la mano esperta dell’artista ha saputo dare vita in modo inconsueto, ed i cui ossidi di superficie si inseriscono con grande naturalezza nell’ambiente, del quale riprende i caldi toni rossastri. La stessa cosa è avvenuta nel 1995, quando egli ha sperimentato per la prima volta questa relazione ambientale in un contesto eccezionale, quello di Civita di Bagnoregio. Nel paese che muore, nato da un eruzione vulcanica in mezzo al mare che bagnava milioni di anni fa i calanchi di oggi, Wiedmer ha riacceso con le sue opere fiammeggianti la memoria della nascita, creando con le sue sculture una installazione che interessava gli spazi dell’intero paese.
La vena nordica dell’artista, talvolta forte e provocatoria in certe opere costituite da assemblaggi ferrosi, a contatto dell’ambiente naturale si era, già allora, stemperata e classicizzata accogliendo in sè l’intrinseca sacralità della natura. Aveva quindi realizzato templi e palazzi a più colonne che poi pose nella valle. Durante il giorno la luce solare che li attraversa disegna geometrie sul terreno, di notte la luce rossa della fiamma ne svela fugacemente le forme, nelle notti di luna piena una luce argentea filtra dai fori del soffitto che diviene cielo stellato.
Questo moderno Efeso venuto dal Nord non somiglia affatto a quella divinità mediterranea, troppo azzurro è lo sguardo e possente il fisico. Ma di quell’antico dio, tanto ombroso di carattere quanto invece è cordiale l’artista, egli ha ereditato la perizia nel lavorare i metalli, riconosciuta da altri artisti con i quali egli ha collaborato in passato. Lo sottolineò Daniel Spoerri che in uno dei nostri incontri nel suo giardino di Seggiano mi disse: “E nessuno sa lavorare il ferro meglio di Paul Wiedmer”. Spoerri possiede nel suo giardino, che segue di poco l’apertura della Serpara, una scultura dell’artista, un enorme drago coperto dal verde di un rampicante che sputa fuoco al passaggio dei visitatori, come qui alla Serpara, un gigantesco rospo, ben ambientato in questa valle umida, sembra colpirci con la sua lingua vischiosa al nostro avanzare. E’ l’omaggio che l’artista ha voluto esplicitamente rendere al Sacro Bosco di Bomarzo che, fra gli esempi del passato, sembra essere la fonte più feconda.
Anche Wiedmer possiede una scultura di Spoerri nel giardino, una testimonianza dell’antica amicizia che li lega fin da quando nel 1977 realizzò con lui, Tinguely, Niki de Saint Phalle e Bernhard Luginbuhl, presso il Forum del Centro Pompidou a Parigi, il Krokrodrome par Zig et Puce, un enorme drago abitabile dove gli artisti, come in un museo, esponevano in modo provocatorio le proprie opere.
Altre sculture di artisti invitati da Wiedmer occupano la valle, creando un percorso pieno di stimoli per il visitatore, perfettamente in tono con lo spirito del giardino dove prevale questo senso di sorpresa e di ironia.
Inoltre la valle della Serpara è anche spazio botanico dove ogni essenza, sia locale che importata, trova un suo spazio ed una sua importanza pari alle opere d’arte : il percorso botanico si incrocia e si svolge sotto i nostri occhi accanto alle opere dell’artista, in un armonico alternarsi di artificio e natura come nei giardini antichi.
Sul nostro sentiero troviamo indicazioni didascaliche sulle piante locali ma anche sulle innumerevoli piante di bambù provenienti da tutte le parti del mondo, di cui il giardino è ricco: diverse tonalità di verde e tipologie di portamento si accostano alle piante locali, a volte discreto, oppure tanto elevato da essere ombroso ed intricato come una foresta.
L’amore dell’artista per questa pianta nasce dal soggiorno cinese del 1991. Egli la utilizza a scopo pratico nel giardino in diverse occasioni, e vi ha persino realizzato una scultura luminosa, in occasione dell’esposizione degli alberi di natale, a Ginevra nel 2002. E’ la versatilità della pianta che affascina Wiedmer, la sua forza contrapposta a flessibilità e duttilità che in un certo senso lo rendono complementare al metallo. Inoltre i germogli di bambù costituiscono un autentica specialità culinaria servita agli ospiti quando, ogni anno, la notte di Pentecoste, la valle diviene lo scenario di una bellissima festa all’aperto. Nell’oscurità le fiamme si accendono regalando visuali inconsuete agli ospiti che, degustando i suoi prodotti, sperimentano ogni sfumatura sensoriale di questo luogo. Si compie così quel percorso ideale di cui il giardino diviene metafora, come luogo dove i contrasti eterogenei raggiungono quel raro equilibrio, che lo rendono crocevia in cui la storia si incontra con il mito, l’arte con la natura, la sorpresa con l’ironia.

 

Paul Wiedmer, Albero di fuoco, ferro, 1980

Paul Wiedmer, Tempio a ventuno colonne, ferro, 1987

Paul Wiedmer, Palazzo, ferro, 1984

Paul Wiedmer, Colonne di fuoco, ferro, 1981

Paul Wiedmer, Scultura di fuoco , ferro, 1975