Intervista a Boris Groys a cura di Eva Frapiccini, Elisa Tosoni e Massimo Marchetti per UnDotv.                                                Camera e editing Eva Frapiccini, voce e traduzioni Elisa Tosoni. 4 giugno 2011.                                                                       Trascrizione dal video di Simonetta Lux.

Trascriviamo il testo in italiano dalla rubrica Video Pool-immagini in movimento sul confine fra arte e documento, di “Undo Net” (una rivista on line che è una vera e propria creazione di Chiarandà), l’intervista a Boris Groys, docente di Filosofia e Teoria dell’arte all’Accademia di Karlsruhe, curatore del Padiglione russo alla 54 Biennale di Venezia, dove presenta Empty Zones di Andrei Monastyrski e the ‘Collective Actions’ Group (Nikita Alexeev, Elena Elagina, Georgy Kizevalter, Igor Makarevich, Andrei Monastyrski, Nikolai Panitkov, Sergei Romashko, Sabine Hänsgen).

È particolarmente interessante, per il tono da under statement – in un momento in cui in Russia come in altri paesi post-east neo-autoritari i giornalisti scompaiono o vengono uccisi e dove artisti vengono minacciati di morte. Paesi nei quali, come nella Russia di Breznev, il grande Dmitri Prigov recentemente scomparso (che è ora presentato a Venezia all’Università di Cà Foscari, nell’ambito di una collaborazione con “The Dmitri Prigov Foundation for the Advancement of Innovative Art, Literature and the Humanities”) passò anni tra prigione e internamento in manicomio.

Interessanti la idea dell’arte come “zona franca” e l’idea del permanere di attualità del progetto diciamo “antisistemico” di oltre trenta anni fa di Andrei Monastyrski, del suo carattere quasi di modello per le ultime generazioni.

D. In Russia, l’arte contemporanea come interseca la politica?

R. Direi che in Russia l’arte è una delle zone franche della discussione politica e pubblica.

Sai, questo titolo “artista“ o il termine “arte” in molti modi, protegge gli artisti e le opere d’arte dalla censura, perché se tu sei l’artista, nei mass media ti devi confrontare con pratiche che influenzano la gente, e il mondo dell’arte è visto come qualcosa più per specialisti sì, qualcosa di più chiuso… e questo dà all’arte la possibilità di esistere praticamente senza censure . E se si guarda al mondo dell’arte in Russia, è un luogo, un territorio di dibattiti politici molto intensi, e questo di certo influenza la società e i media.

D. Quindi in tal senso, ritieni che gli artisti debbano scendere a qualche compromesso nella loro pratica, o non del tutto?

R. Penso che gli artisti debbano scendere a compromessi con il fatto che vivono nel mondo, questo è davvero un enorme compromesso perché certo è meglio essere – come abbiamo già detto – fuori dal mondo… la “pura luce”… quindi nel momento in cui sei nel mondo, devi conoscere e fare i conti anche con cose poco piacevoli, come l’economia, il denaro, delle condizioni lavorative non proprio buone, il fatto che sia troppo caldo o troppo freddo… sai tutte queste cose… il mondo è una gran seccatura, ma poi dall’altra parte il mondo è un ottimo materiale grezzo!

Come farebbero gli artisti se non avessero il mondo come materia prima? E poi la politica, una qualche forma di censura, un certo tipo di repressione, e un certo tipo di pressione economica sono tutti materiali grezzi per l’arte…

Quindi si tratta di una relazione fortemente ambivalente.

D. Ora un’altra domanda sugli artisti russi: ci chiedevamo se potessi parlarci, o meglio, individuare un cambiamento nell’ultimo decennio in come gli artisti si relazionano alle problematiche politiche in Russia?

R. Sì assolutamente! Direi che nell’ultimo decennio l’intera scena artistica si è spostata verso sinistra, prima era diverso… non che fosse di destra o qualcosa del genere, piuttosto mancava un interesse pronunciato per la politica… vi era un interesse nel costruire un sistema artistico come infrastruttura nella società russa, in quanto tale fenomeno non era presente a livello sociale… ma nell’ultimo decennio, essendosi ormai formato un sistema, l’arte contemporanea ha un forte orientamento a sinistra, una sorta di reazione a quelle pressioni, disuguaglianze… L’avere a che fare con un capitalismo multi classista produce ovviamente molta tensione, d’altro canto, in Russia abbiamo una lunghissima esperienza dell’operare oltre il mercato dell’arte sotto le condizioni tipiche del socialismo, quindi c’è questa nostalgia che è molto forte e un certo impegno di sinistra.

D. Ritieni che questo impegno sia onesto? Ritieni che gli artisti siano abbastanza coerenti rispetto al messaggio che offrono?

R. Sì beh, non è molto conscio, né molto teoretico. Non è che abbiano dei modelli, più che altro tendono a dar voce a certe proteste contro il mercato, contro, sai, le pressioni legate al mercato e alla commercializzazione e mercificazione dell’arte. E questo è nuovo per la Russia, molto nuovo… poi penso che sia presente un certo tipo di disuguaglianza economica che è anche nuova e non era sviluppata così. Quindi è una sorta di reazione psicologica ed emotiva che una visione propriamente teoretica, o per dire un discorso alla Rancière o alla Badiou… Ovviamente poi queste persone leggono Rancière e Badiou…

D. L’ultima domanda concerne la scelta degli artisti per il tuo padiglione, ci chiedevamo se potessi dirci qualcosa a riguardo…

R. Certamente. Andrei Monastyrski iniziò la carriera artistica nella metà degli anni Settanta, ancora ai tempi dell’Unione Sovietica: cercava di creare spazi pubblici alternativi, modalità alternative per individuare diverse possibilità anche per la distribuzione dei propri lavori, di scritti, di pubblicazioni non ufficiali, eccetera. È interessante per me il fatto che lui non sia cambiato molto attraverso gli anni. Ancora oggi, nonostante tutti quegli stravolgimenti, opera al di fuori del mercato dell’arte. Appena prodotto un video, lo carica su You Tube, per un pubblico commerciale, non generico… è un esempio di artista che ha attraversato molti cambiamenti sistemici rimanendo però sempre fedele a se stesso e al suo progetto iniziale, e penso che sia interessante guardare alla sua posizione come significativa.

D. Intendi guardarlo come un modello… anche per la generazione più giovane?

R. Sì, in un certo senso. Ad esempio. Hai visto, Claire Bishop ha scritto un testo su di lui. Le interessa molto l’arte partecipativa, e direi che per lei, come per molti artisti coinvolti in essa, direi che può essere considerato come una figura paterna in quanto ha iniziato questo tipo di pratica artistica molto presto in un modo ben formulato e seguendo un buon format. All’epoca c’era qualche esempio ma non molti, anzi, pochissimi se effettivamente si analizza quel periodo. Certo, non è un artista molto conosciuto nell’Occidente, non avendo mai esposto in grandi mostre qui, ma a mio parere è estremamente contemporaneo!

D. Perfetto, ti ringrazio molto.