L’8 maggio 2009, in via Volturno 37 a Roma, si è tenuta la conferenza La Mala Educaciòn: Software libero cinema e net art come strumenti di consapevolezza, interamente dedicata al movimento del Software Libero e con particolare attenzione alle sue implicazioni in ambito scolastico ed educativo. L’evento si è svolto presso il centro sociale Volturno occupato, ex teatro e cinema a luci rosse ed attualmente spazio autogestito, che proprio in questi giorni organizza le ultime attività; il 28 maggio, infatti, sarà messo all’asta. Alla conferenza è intervenuto Richard Stallman, padre della Free Software Foundation ed ospite d’onore della giornata, insieme a numerosi altri professionisti del settore, tra cui il collettivo artistico Estereotips -active tools for artists-, il cui intero lavoro è basato su programmi rilasciati sotto licenza G.P.L.

Serena Pisano: Il suo intervento alla conferenza di oggi riguarda in modo sostanziale il rapporto che dovrebbe instaurarsi tra Free Software e scuola. Perchè pensa che il software proprietario sia inadeguato in un contesto educativo?
Richard Stallman:  È inadeguato il suo funzionamento. Il software proprietario è un attacco alla libertà delle persone, è ideologicamente un problema sociale e lo è ugualmente il suo utilizzo. Se la scuola spinge deliberatamente i propri ragazzi in un problema sociale significa che viene meno alla missione della scuola. La scuola non deve mai supportare il software proprietario, perché il senso della sua missione è quello di insegnare agli studenti ad essere buoni cittadini di una società libera e questo implica, fra le altre cose, l’insegnamento del Free Software.
Il software libero rispetta la libertà dell’utente e vi si trovano quattro libertà specifiche: la libertà 0, far girare il programma secondo i propri desideri; la libertà 1, quella di studiare il codice sorgente e di cambiarlo per far fare al programma quello che si vuole; la libertà 2, quella di aiutare il proprio vicino, cioè la libertà di ridistribuire i codici e la libertà 3, quella di distribuire copie della versione modificata. Se il programma permette queste quattro libertà, allora il sistema sociale di distribuzione e uso è un sistema etico. Così si rispetta la libertà degli utenti e quella della comunità.
Lo sviluppo di questo tipo di software è buono e contribuisce al bene della società. Se manca una di queste libertà il programma impone un sistema non etico ai suoi utenti e perciò non dovrebbe esistere.
Questa non è una questione tecnica, non è una questione di cosa c’è nel codice: la questione è quale sistema sociale il programma impone ai suoi utenti, se uno etico oppure no. Il software non libero impone un sistema di potere in cui gli sviluppatori hanno potere sugli utenti. Lo sviluppo del codice è un business, lo scopo del programma proprietario è quello di attrarre la gente sotto questo potere, se il programma ha delle caratteristiche attraenti queste servono per trarre in trappola. Perciò il software proprietario non dovrebbe esistere e le scuole assolutamente non dovrebbero insegnare alla gente ad usarlo. Una scuola che voglia insegnare un buon modo di vivere dovrebbe dire: “nessun software proprietario. Non è consentito qui, noi non lo vogliamo”.

S.P.: Mi piacerebbe sapere se lei considera più importante rendere la gente conscia dei valori civili contenuti del Free Software oppure insegnare ad usare il free software…
R.S.: C’è bisogno di fare entrambe le cose. Al momento stiamo facendo molto per insegnare alle persone ad usare il software libero e molto meno per insegnare alla gente l’idea di libertà.
Significa che, se vogliamo aiuto, bisogna aiutare la gente insegnandole cos’è la libertà.
Porre attenzione solo alla questione pratica, rinunciando a diffondere le idee, è sbagliato. Nella strutturazione della comunità che andiamo a creare, se non diamo alle persone le basi ideologiche sulle quali la comunità si fonda, questa diviene precaria e vulnerabile e la gente può facilmente tornare al software proprietario, perché non vede ragioni per non farlo. Perciò io mi focalizzo sul comunicare alla gente le idee. Mi dedico a quest’importante lavoro che molta gente non fa.

S.P.: Cosa pensa riguardo la specifica capacità di programmare?
R.S.: Abbiamo bisogno anche di quello e molta gente lo fa.
Io non programmo più, ma molte persone che usano free software lo fanno. Perciò, la comunità, oggi, non ha bisogno di me in veste di programmatore, ma ha bisogno di attivisti che insegnino alle persone quali sono le loro libertà così che non le gettino via

S.P.: Perché il Free Software è così importante per la nostra libertà?
R.S.: Il Free Software è  importante per la libertà di coloro che usano un computer. Chi non usa un pc non ha il problema di essere sotto il potere degli sviluppatori di software che, se invece usi il pc, possono controllare quello che fai e dividerti dalle altre persone, dicendo che non ti è consentito condividere con loro, che condividere è male. Se non usi un computer sei al sicuro da questo problema, ci sono milioni di persone che non lo usano, non se lo possono permettere, potremmo dire che sono poveri. Ma avranno anche loro questo problema man mano che i computer diventano più economici.
Comunque, non voglio dire che questo del Free Software sia il più importante obiettivo di libertà del mondo. Altri obiettivi di libertà sono tremendamente importanti. Si può comparare l’importanza del Free Software con quella della stampa libera e delle elezioni libere.
Ogni diritto umano è coinvolto nel supportarsi l’un l’altro: se ne perdi uno diventa più difficile proteggere gli altri. Se non ci importasse di avere libere elezioni, se non ci importasse che la stampa fosse sotto il controllo di una sola persona, avremmo dei problemi gravi.

S.P.: Nelle scuole e nelle università sono in uso software proprietari. Pensa che ciò sia dovuto puramente a ragioni economiche o che lo scopo sia quello di abituare le menti ad usare i mezzi senza comprenderli, oppure crede che il fine sia un altro?
R.S.: Non è una cosa nuova che le compagnie di informatica diano alle università questi mezzi, perché se gli studenti imparano ad usare questo tipo di computer le compagnie ne traggono benefici sul lungo periodo. Solo venticinque anni fa tutti i sistemi operativi erano proprietari; c’erano ben pochi programmi liberi e non si poteva svolgere con essi tutto il lavoro, si era costretti ad usare software proprietari, non c’era altro modo. Perciò naturalmente le scuole avevano computer con software proprietari. È il motivo per cui ho iniziato questo movimento.
Storicamente i programmi liberi erano comuni negli anni ‘50 e ’60, ma negli anni ’70 per lo più scomparvero e negli anni ‘80 l’unico modo di far girare un programma era quello di usarne uno proprietario. Dal 1983 iniziai a cercare di cambiare questa cosa, ma da allora è stato soltanto nel 1992 che c’è stato il primo sistema operativo libero da poter installare su un computer. Durante quel lasso di tempo, naturalmente, chiunque usasse un computer lo faceva con software proprietario. Incluse scuole e università. Da allora qualcosa ha iniziato a cambiare, ma non tutto e in parte questo è dovuto all’inerzia: ci sono persone che sanno usare windows e non vogliono cambiare. Perciò, se le amministrazioni delle scuole non hanno una forte politica orientata alla libertà, non potrà cambiare nulla. Dovrebbero dire: “Abbiamo concluso che il software proprietario non è etico e l’obiettivo della scuola è insegnare principi etici”. Se questa decisione non fosse abbastanza forte e accogliesse le argomentazioni insensate di chi cercasse di ostacolarla, allora le cose non cambierebbero. Non è facile, bisogna avere persone col giusto carattere e con la giusta posizione per prendere tali decisioni.
Intanto ci sono Microsoft ed Apple che cercano di convincere le scuole ad insegnare l’uso del software non libero, da loro prodotto. Queste società usano il potere che hanno ai danni degli utenti, immettendo caratteristiche che limitano gli utenti nel fare ciò che desiderano e immettono nei programmi backdoors per poter cambiare i programmi in ogni momento e senza chiedere il permesso di chi li ha acquistati e li possiede. Così l’utente crede di possedere il proprio computer, ma nei fatti sono la Microsoft o Apple a possederlo.

S.P.: Solitamente ci si istruisce nell’uso del computer per fini lavorativi. Vorrei sapere in che misura esiste, secondo lei, la possibilità reale che sempre più persone si avvicinino al Free Software nonostante questo e che probabilità ci sia di un decisivo incremento anche da parte delle aziende.
R.S.: Non so quale sia la percentuale di aziende che usa free software, ma so che ce ne sono. So anche che se ci si interessa unicamente di trovare un lavoro e non ci si preoccupa della propria libertà si va verso la schiavitù. Questa sarebbe una scelta folle. Ci si deve preoccupare della propria libertà, altrimenti si rischia di diventare un pericolo per se stessi e per gli altri. Non si dovrebbe accettare un lavoro che obblighi all’uso del software proprietario.

Intervista ad Husk di Estereotips

Serena Pisano: Fai parte di una rete di giovani artisti, attivisti ed hacker che ricorre al famoso paradigma punk del do it yourself. Mi piacerebbe sapere di cosa ti occupi in particolare e qual è stato il tuo percorso.
Husk: Sono un attivista digitale.
Faccio parte di Estereotips, che in catalano significa “stereotipi”. Dopo aver viaggiato tra Catalogna, Argentina e Cina adesso siamo arrivati e stiamo lavorando qui. Ho sempre studiato l’impatto della tecnologia a livello sociale. Dopo anni mi sono reso conto che studiare le tecnologie senza conoscere le tecniche che vi stanno dietro è un’impostazione che ti porta ad avere un’interpretazione errata di alcuni processi e che ti impedisce di avere una comprensione complessiva del fenomeno.
Per queste ragioni ho avuto l’esigenza di imparare la tecnica ed ho iniziato ad autoformarmi sulle tecniche del software come la programmazione. Tutto questo l’ho fatto da sempre all’interno di una prospettiva politica e artistica.

S.P.: La tua attività artistica è dunque inserita in una prospettiva politica? Fai hacker art? Sei un hacker?
Husk: Sì, io sono un hacker, dal punto di vista politico, per questo per parlare della mia attività artistica si può parlare di hartivismo, (hacking-art-attivism); anche se queste categorizzazioni non mi fanno impazzire, capisco che sono spesso utili.

S.P.:  Cosa accomuna l’arte e il Free Software?
Husk: L’arte è uno spazio, ed è uno spazio di conflitto, uno spazio in cui la società si descrive, quindi uno spazio che un certo tipo di attivismo si è preso, in cui ha deciso di stare per ribadire alcuni concetti estremamente importanti come la condivisione della conoscenza e l’accessibilità del sapere.

S.P.: Perché net.art?
Husk: Perché questo tipo di arte vive attraverso le tecnologie della rete. Non necessariamente sta in rete, ma prende vita dalle tecnologie di rete. I nostri dati viaggiano su internet e sono passibili d’interpretazione. Il dato non è mai neutro, il dato è sempre interpretato. Un esempio è il fatto che, quando si cerca un’informazione su Google, si ottiene una visualizzazione che va dall’alto verso il basso con un’indicizzazione gerarchica degli elementi secondo criteri precisi. Quegli elementi sono dati che Google interpreta in un modo e che io posso reinterpretare in un altro modo. L’interpretazione dei dati che generalmente ci viene imposta è un elemento estremamente importante, perché questa interpretazione è sempre culturale e politica. L’accesso e la manipolazione alternativa dei dati permette di svelare dei meccanismi che rimangono spesso celati.
Una delle cose su cui ha lavorato moltissimo la net.art ed in particolare la net.art dei primi anni è proprio il concetto di visualizzazione e correlazione dei dati.
Un’opera che cito spesso è  wefeelfine.org,  commissionata dalla Tate Modern Gallery: si tratta di un motore di ricerca e di visualizzazione delle emozioni umane, che a partire da una serie di blog e di web journal, che sono indicizzati nel suo sistema, rileva in tempo reale il tipo di emozioni espresse in un post e lo visualizza attraverso una pallina che viaggia nello schermo. Su questi dati, rappresentati graficamente, è possibile poi fare anche delle ricerche.
Questo progetto svela i meccanismi dell’accesso ai dati ed è stato realizzato interamente con software libero, perché basato su un sistema che si chiama Processing,
Processing è stato sviluppato al MIT ed è uno di quei linguaggi che sono stati alla base della net.art, in quanto linguaggi di programmazione nati proprio per gli artisti. Si trattava, infatti, di linguaggi molto semplici, affinché potessero essere usati liberamente dagli artisti per esprimersi. 
Il modo migliore per manipolare i dati è usare il software libero, perché permette un totale controllo su questi dati e la comprensione totale dello strumento che si usa.
Un esempio in questo senso è la libreria Carnivore, un tool che in origine era utilizzato dall’FBI per il tracciamento dei dati e delle connessioni e che, in seguito ad un conflitto che si è venuto a creare in relazione all’uso di queste tecnologie, è stato “liberato” da un collettivo artistico informatico (il Radical Software Group) e che rappresenta, adesso, uno degli strumenti di base per un certo tipo di creazione artistica.

S.P.: Mi sembra che la correlazione tra arte e software libero sia molto forte e che per alcune realizzazioni artistiche ci sia la necessità di strumenti che abbiano caratteristiche particolari sia dal punto di visto pratico che ideologico, come appunto il software libero.
Si potrebbe dire che, oltre a trovare la politica nell’arte, ci sia bisogno per l’arte di una politica che permetta la disponibilità di un determinato tipo di strumenti?
Husk: Assolutamente sì. Di strumenti e quindi di conoscenze. In questo caso arte e politica sono inscindibili.

 

Dall’alto:

Flyer della conferenza La Mala Educaciòn: software libero cinema e net art come strumenti di consapevolezza.

Richard Stallman, fondatore della FSF.

Estereotips, MesaQ – Table User Interface, installazione interattiva creata con un software rilasciato sotto licenza G.P.L.