Istanbul, 19 novembre 2011. Tre melograni attirano lo sguardo, entrando nell’appartamento di Şükran Moral (Terme 1962, vive tra Roma e Istanbul) nel quartiere di Beyoğlu. L’artista è qui per  la collettiva Dream and Reality – Modern and Contemporary Women Artists from Turkey (a cura di Fatmagül Berktay, Levent Çalıkoğlu, Zeynep İnankur e Burcu Pelvanoğlu), al Museo d’Arte Moderna di Istanbul (fino al 22 gennaio 2012).

Dalla finestra della casa-studio entrano le luci e i colori del Bosforo. Una scatola piena di uccellini finti (usati per Bulbul) è sul tavolo della sala, prima che venga apparecchiato per la tipica merenda-colazione turca. Şükran è accogliente e, in perfetta tradizione mediterranea, mostra il suo affetto e la sua ospitalità anche attraverso il cibo:  çay (il té turco), pane scuro, biscotti, formaggio di capra, olive, prezzemolo e concentrato di succo di amarene.

L’ordine, in giro per gli ambienti, è apparentemente casuale – o meglio il disordine ha una sua logica creativa – un soprammobile a forma di elefante procede lentamente su una mensola, vicino ad una candela bianca; una mascherina nera di carnevale con il pizzo è appesa vicino ad un ciondolo-portafortuna di vetro a forma di “Occhio di Allah”; la foto di Mustafa Kemal Atatürk accanto al libro di Mario De Micheli David, Delacroix, Courbet, Cézanne, Van Gogh, Picasso: Le Poetiche. Antologia degli scritti; un paio di pantofole rosa accanto agli stivali di cuoio chiaro; Cosmopolitan e Ipazia muore di Maria Moneti Codignola…

Sulle pareti dominano tre grandi fotografie di altrettante performance, tutte datate 1997 – che raccontano tre momenti importanti del lavoro di Moral. In Bordello e Manicomio (presentate alla Biennale di Istanbul del 1997) l’artista è entrata – travestendosi – in posti solitamente inaccessibili al pubblico, per ragioni diverse. Entrare in un luogo, per lei, è viverlo visceralmente vestendo i panni della puttana o della pazza per smascherare l’ipocrisia, denunciare le iniquità, mettere a nudo i dolori della società con un’attenzione costante – e coerente – sulla condizione femminile.

Sulla parete del divano, infine, c’è uno scatto in bianco e nero di Speculum con due gambe divaricate su un lettino ginecologico e un grande monitor – muto – diventato rosso nella manipolazione digitale.

Manuela De Leonardis: Tra le migliori dieci esposizioni, all’ultima Biennale di Istanbul, Fiachra Gibbons (critico di The Guardian) ha selezionato anche il tuo nome con Bordello/Dream and Reality. Questa fotografia tratta dall’omonimo video, tra l’altro, ha ispirato il disegno acquisito, insieme a Despair, dal British Museum di Londra nel 2010. Che effetto fa questa consacrazione internazionale che avviene proprio nel tuo paese?                                                                                                                                                                                          Sukran Moral: Prima di tutto di grande felicità. Non me lo aspettavo! Si lavora, si corre, si va avanti e certe volte il successo non arriva mai… Ho faticato molto in questi anni e anche sofferto, soprattutto dopo Amemus di un anno fa, in seguito alla quale sono stata minacciata di morte. Una performance che sarebbe insignificante in qualsiasi altra città dell’occidente, ma che ad Istanbul ha avuto un grande significato. Non ho rischiato tanto mentre facevo l’amore con un’altra donna, ho rischiato dopo!

M.D.L.: Un sentimento complesso, di amore e insofferenza, ti lega alla Turchia. Hai sempre dichiarato, comunque, che è qui che nasce sempre l’ispirazione per i tuoi progetti…                                                              S.M.: Sì, più la gente – qui – mi vuole ammazzare e più mi sento legata alla Turchia. Qui ci sono le mie origini, che sono importanti. Forse sono troppo sentimentale, ma per me tutto parte da questo paese. Mi piacerebbe essere cittadina del mondo, ma non lo sono. Quando sono lontana mi sento come un bulbul (usignolo) dentro la gabbia.

M.D.L.: Da sempre la sessualità è la chiave che usi per esplorare e denunciare problemi sociali legati soprattutto alle donne, ai deboli in generale: omosessuali, malati di mente, disoccupati, emigranti, minoranze etniche…                                                                                                                                                                                   S.M.: Una volta, da ragazza, dicevo che il mondo gira con l’energia del sesso. Continuo a pensarlo! Dietro la creatività c’è una grande energia sessuale, una vitalità più primitiva che lascia libere le emozioni.

M.D.L.: Un libro di Fakir Baykurt fu il premio per quella poesia che hai scritto a quindici anni, quando frequentavi il liceo di nascosto da tuo padre e grazie all’appoggio di tua madre. Il soggetto era una donna curda morta per non essere riuscita ad arrivare in tempo in ospedale, per la mancanza delle strade. Quali erano, allora, i tuoi sogni?                                                                                                                                                                                                S.M.: Vincere quel premio ha voluto dire essere rispettata. Tutta la mia vita è cambiata dopo quel momento. Il mio sogno da ragazzina, comunque, era quello di essere istruita e indipendente. Per tanti anni mi sono sentita come Martin Eden, dovevo dimostrare ai miei genitori chi ero. Poi, quando li ho persi, per tanti anni mi sono persa anche io, ma alla fine mi sono ritrovata.

M.D.L.: La fotografia è uno dei linguaggi che utilizzi, insieme a video, installazione e soprattutto performance. La usi anche come diario personale?                                                                                                                                                                                       S.M.: Qualche scatto l’ho fatto come diario personale, ma non l’ho mai esposto. Comunque l’uso che faccio sia della fotografia che del video è molto limitata, proprio perchè chiunque – oggi – arriva ad abusarne. Spesso i miei sono autoscatti, oppure c’è qualcuno a cui indico esattamente quando fare lo scatto, durante una mia performance. O magari, non appena è terminata la performance – come in Despair – prendo in mano la macchina fotografica e faccio qualche foto, che diventano un altro lavoro. Ad ogni modo non utilizzo strettamente la fotografia come memoria e non ho mai rifatto in studio una performance, come alcuni artisti. Ci sono, poi, delle mie opere interamente fotografiche, come Ecco la colpevole (2009) – sulla vagina – realizzata in uno studio fotografico professionale.

M.D.L.: Ti senti più vulnerabile, ottimista, sensuale, provocatoria o contraddittoria?                                                                                                                                                                                          S.M.: Tutto insieme! Dipende dal momento… Non cerco di dimostrare a tutti i costi di essere forte, gioco un po’ sulle mie debolezze, anche se c’è gente mediocre a cui bisogna sempre dimostrare di essere forti e con il sangue freddo.

 

**questa intervista è stata pubblicata su “Il Manifesto” del 12 gennaio 2012 (www.ilmanifesto.it). Viene qui ripubblicata per gentile concessione dell’autore e del giornale

Dall’alto:

Şükran Moral, Sposata con tre uomini, 2011. Courtesy the Artist
Şükran Moral, Sposata con tre uomini, 2011. Courtesy the Artist
Şükran Moral nella sua casa ad Istanbul, novembre 2011. Foto Manuela De Leonardis