Lo scorso ottobre abbiamo incontrato a Mosca Viktor Misiano, uno dei maggiori esperti di arte russa contemporanea. Direttore e ideatore della rivista di arte russa contemporanea Moskovskij ChudoÚestvennyj ³urnal (Moscow Art Magazine), Misiano ha gestito a Mosca prima il Centro di arte contemporanea della città, poi, per circa 10 anni, il museo Puùkin. L’incontro ha avuto luogo presso la sede del Moscow Art Magazine, nella parte più elegante del centro di Mosca.
Situata in una piccola traversa della via Tver’skaja, il Bolshoy Palashevsky Pereulok, a pochi passi dalla piazza Pushkinskaja, cuore pulsante della città, la redazione del giornale si colloca all’interno di una galleria- atelier dove è possibile ammirare opere d’arte contemporanea ed eventualmente acquistarle.
Misiano ci accoglie nello studio alle cui pareti sono appesi disegni di amici artisti quali Kabakov e Rojter. Indaffaratissimo, impegnato, come dice lui stesso, a rispondere “laconicamente” a qualcuno che gli scrive da lontano, si scusa per l’attesa. D’altra parte ritorna da un viaggio a Berlino dove è stata appena presentata la seconda parte di una serie di esposizioni legate al progetto “Mosca-Berlino”, mostra che ripercorre il XX secolo accostando gli artisti di Russia e Germania. Il progetto parte dalle esperienze degli anni ’50 e raggiunge i giorni nostri, confrontando le strade percorse da artisti che hanno condiviso periodi significativi del secolo passato. Vi si accostano dunque lavori che esprimono differenti punti di vista e che propongono, con le loro rappresentazioni, squarci di una realtà connotata dal suo ipertesto.
Sappiamo che di recente Misiano è stato anche curatore, all’ultima biennale di Venezia, del padiglione russo, intitolato Il ritorno, dove si presentavano opere di artisti alla ricerca di una via culturalmente “interna – interiore dopo anni di sperimentazioni che puntavano verso l’interrelazione con l’esterno e gli altri sistemi culturali non russi” [si veda in proposito il sito: http://www.biennale.org nella parte sul padiglione russo].

Caterina Cecchini: Vorremmo approfondire il discorso dell’evoluzione degli artisti in Russia dal crollo dell’URSS a oggi, e chiediamo dunque al nostro ospite di darcene una interpretazione.
Viktor Misiano: L’arte russa oggi riflette in realtà continuità piuttosto che distacco, così com’è sempre stato nella storia della cultura russa. Si pensi ad esempio al rapporto tra le icone e l’arte rinascimentale, messo in luce da Florenskij, al rapporto dell’avanguardia russa con il successivo Realismo Socialista e di quest’ultimo con l’Underground.
Certamente l’apertura al resto del mondo e l’aumento di interconnessioni con l’Occidente hanno avuto un certo rilievo per quanto concerne l’avanguardia degli Anni Novanta, fortemente impegnata dal punto di vista mediatico a volte con risultati non apprezzabili. Chiediamo quali sono gli artisti che esprimono allora la continuità.

C.C.: Quali sono quindi le principali tendenze nell’arte russa contemporanea?
V.M.: Si può dire che gli artisti attuali tornano al passato. Il caso più eclatante è proprio quello degli artisti video, che io per altro ho proposto nella mostra di cui sono curatore intitolata “Mosca – Berlino” che si tiene attualmente a Berlino. [http://www.bm.007-berlin.de/] In questa mostra il quadro dell’artista V. Popkov Stoiteli bratska (sugli operai sovietici degli anni Sessanta), è esposto insieme all’opera di V. Kiprjanov Ne otverzhi ot menja (“Non allontanarti da me”, frase biblica), dove sono riproposti gli stessi operai della stessa fabbrica di Nizhny Novgorod dal primo artista, insieme all’opera video di Dimitry Vilensky. Quest’ultimo ha ripreso gli stessi operai, che ci appaiono sullo sfondo per mezzo di una telecamera frontale.
Nel primo caso abbiamo a che fare con il quadro di un romantico che credeva nel Socialismo dal volto umano. Anche Kiprjanov, autore della seconda opera, credeva nell’ideale socialista di tipo patriarcale, in contrapposizione alla retorica modernista tardo sovietica. Così se Papkov dipingeva nel periodo della destalinizzazione la gente semplice (narod) facendo un’apologia del lavoro, mostrando più tardi la stessa fabbrica si è fatto un evidente riferimento operista. E l’ultima opera dunque mette in luce valori di autenticità e non mediatici.

C.C.: Ci parli della sua rivista.
V.M.: Oggi compie 10 anni, con l’uscita del numero 54. La rivista è strettamente legata alla situazione russa, isolata, divisa. Nel mondo dell’arte russa infatti solo una minoranza è aperta al dialogo internazionale. La rivista è dunque forte nel contesto locale.

C.C.: Non avete mai pensato quindi a un’edizione bilingue con l’inglese?
V.M.: Non è economicamente interessante. Uscì un numero bilingue sui paesi dell’est che ebbe molto successo all’estero ma passò quasi inosservato in Russia.

C.C.: Eppure nei confronti della Russia e dell’arte russa in Italia, come in Europa, c’è molto interesse.
V.M.
Quello di voi italiani è piuttosto un interesse romantico, legato all’atteggiamento caratteristico di voi italiani di irresponsabilità, e di fatto è un interesse non compensato dai russi. Quando negli anni ’60, ’70, ’80 in Italia si produceva di più era più interessante avere contatti. Oggi non è più così e ogni curiosità deve essere sostenuta.
E tornando alla rivista e alle sue edizioni internazionali, per creare un prodotto soddisfacente, questo deve avere un grande successo interno. La Russia non è matura. La nostra rivista è nata negli anni ’90 come rivista di grande formato (A3 per i primi sei numeri), per sostenere le nuove idee. Poi è diventata più accademica (A4) con traduzioni di testi filosofici. Oggi è ancora di più una rivista specialistica, che dà spazio a professionisti del settore, intellettuali che hanno qualcosa da dire, come artisti, filosofi, sociologi.
Ogni numero ha un tema. Collaborano anche molti russi che vivono all’estero. Così oggi la rivista è più la voce di una comunità teorico-critica piuttosto che artistica. Anche le strutture professionali sono più nette. Così c’è un comitato di redazione composto da 5 o 6 teorici che espongono le loro riflessioni con cadenza bimestrale (con meno interessi personali se non quelli di essere opinion makers nel dibattito intellettuale russo di oggi).
Per esempio si dà spazio a Boris Groys, russo che vive in Germania e scrive in tedesco, con traduzioni dei suoi scritti che appaiono puntualmente insieme a testi originali di Vladimir Jampol’sky.

C.C.: Qual è invece il ruolo degli artisti russi che vivono all’estero nella situazione russa contemporanea?
V.M.
Prendiamo il caso di Komar & Melamid. Loro sono americani e collaborano con noi. Kabakov si considera un “classico” di un paese dove non torna.
C’è però un dialogo tra esperienza sovietica e internazionale.
Oggi poi un caso particolarmente interessante è quello degli artisti russi formatisi all’estero e che hanno avuto successo all’estero come artisti russi. Costoro esprimono un’identità complessa: in Russia non sono considerati come artisti locali, ma loro al contrario non vogliono discutere su questo argomento, considerandosi russi e volendo convincere noi russi di questo. Secondo il loro punto di vista, Komar & Melemid sono solo russi. Prendiamo il caso di Anna Ermolaeva, che si è formata a Vienna, lì vive e lì ha avuto successo. Lei si propone come russa, ma per i russi non lo è.
Ma anche il caso di Ol’ga Kisseleva che vive a Parigi e incontrandomi alla Biennale mi ha rivolto l’accusa di essere troppo intellettuale, senza considerare che anche io a lei facevo lo stesso rimprovero. Si tratta quindi di un problema rovesciato.

C.C.: Ci parli della esperienza al Centro di Arte Contemporanea di Mosca.
V.M.: Il Centro nacque mentre l’URSS si sgretolava, da un’idea del “romantico ubriacone” Leonid Bozhanov, che nel periodo della perestrojka voleva cerare anche a Mosca un centro Pompidou, senza peraltro aver mai visto l’originale. La struttura di questo centro fu quindi costituita in modo euforico, senza appoggi politici. Il periodo di Eltsyn infatti fu molto problematico. Avevamo a disposizione una struttura municipale senza l’appoggio del municipio. Ci fu data la disponibilità di utilizzare tre cortili di tre edifici che piano piano avremmo dovuto comprare con nostri fondi, per un costo totale di 3 milioni di dollari. Accettammo perché allora sembrava tutto possibile, senonché Bozhanov lasciò dopo poco per accettare un meno problematico posto di lavoro al Ministero della Cultura e io gli succedetti nella gestione del centro. Alla fine arrivammo ad avere circa 7 appartamenti, di fatto gallerie private. Oggi ne resta solo una. Io ho abbandonato il progetto perché volevo fare il curatore di mostre e non il fundraiser.

C.C.: Alla fine degli anni Ottanta lei organizzò a Roma una mostra del titolo Mosca Terza Roma. Ce ne può parlare?
V.M.: In realtà questo titolo derivava da un tema caratteristico in particolare di solo uno degli artisti che vi partecipavano, e cioè Andrey Filippov.
Lui è uno spiritualista colto e raffinato, un bizantinista. Anche Zvezdochyotov era uno molto colto che condivideva questi temi.
Al contrario Prigov e Orlov molto meno, e Zakharov era assolutamente indifferente. Dal mio punto di vista il lato più interessante di quell’esperienza è che fui proprio io, il curatore, a impormi sugli artisti, tra i più importanti del periodo, superando le conflittualità che c’erano tra alcuni di loro per esempio nei confronti di Rojter, e aprendo una finestra tra Russia e Italia.

Il tempo a disposizione per continuare a parlare con Misiano è finito. Lo salutiamo ringraziandolo per la disponibilità ma vorremmo chiedergli ancora molte cose. Vorremmo chiedergli se Komar & Melamid sanno di non essere più russi, o se non sono diventati loro stessi, come la Mosca di oggi, il segni di un finto maquillage applicato sul volto della vecchia madre Russia.
Domandiamo invece a Misiano se ha visto Prigov, artista e poliedrico rappresentante dell’underground (o secondo categorie russe Anderground), in televisione, qualche sera prima sul canale “Kul’tura” e cosa ne pensa. Lui dice che non l’ha visto, ma che il caso di Prigov sottolinea piuttosto un rapporto costruttivo che solo alcuni tra gli artisti russi contemporanei hanno saputo instaurare con la televisione.
Ci salutiamo con la promessa di rimanere in contatto, per aprire una piccola finestra su questa Russia che ci sembra un po’ troppo slavofila, un po’ troppo “cirillica”. Una Russia che, se anche sta cercando di ritrovarsi (è emblematico anche il titolo dell’esposizione russa alla biennale) utilizzando principalmente l’eredità di un sistema chiuso e dunque caratterizzandosi nel presente come estremamente autoreferenziale, può essere comunque interessante anche per uno sguardo esterno.
Non ci sembra in questo senso casuale la mostra Mosca-Berlino, ma piuttosto volutamente portatrice di una significativa riaffermazione di quel retaggio socialista testimoniato in Germania dalla cosiddetta Ostalgia, ben rappresentata da film come Good Bye Lenin o da libri come 33 Attimi di Felicità di Ingo Schulze.

 

 


 

Dall’alto:
Viktor Misiano

Copertina n41 moscow art magazine

Copertina n50 moscow art magazine

Papkov-Strojteli Bratska-1960-61