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Padiglione della Repubblica del Kenya / Pavilion of the Republic of Kenya

55. Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia

Reflective Nature #. A New Primary Enchanting Sensitivity

Commissario: Paola Poponi

Assistente commissario: Paolo Mozzo

Curatore: Sandro Orlandi, Paola Poponi

Sedi: Caserma Cornoldi, Castello 4142 e Isola di San Servolo

Artisti invitati: Kivuthi Mbuno, Armando Tanzini, Chrispus Wangombe Wachira, Fan Bo, Luo Ling & Liu Ke, Lu Peng, Li Wei, He Weiming, Chen Wenling, Feng Zhengjie, César Meneghetti (Special Project)

 

SPECIAL PROJECT I/O_IO È UN ALTRO

Promosso dalla Comunità di Sant’Egidio/Laboratori d’Arte

Commissario Special Project: Antonio Arévalo

Curatori Special Project: Simonetta Lux – Alessandro Zuccari

Artista: César Meneghetti

Sede: Isola di San Servolo

 

INAUGURAZIONE: Giovedì 30 maggio 2013, ore 18 (San Servolo) e ore 18.30 (Caserma Cornoldi)

Prima partenza barca alle 17.30 da Cornoldi verso San Servolo, andata e ritorno per tutto il pomeriggio.

APERTURA AL PUBBLICO: 1 giugno – 24 novembre 2013

ORARI DI APERTURA AL PUBBLICO: da martedì a domenica dalle 11,00 alle 18,00 – chiuso lunedì

(apertura straordinaria lunedì 3 giugno e lunedì 18 novembre)

CATALOGO: Maretti Editore

Nell’ambito del Padiglione della Repubblica del Kenya alla 55. Biennale di Venezia, sarà presentato lo special project dell’artista italo-brasiliano César Meneghetti I/O _IO È UN ALTRO, a cura di Simonetta Lux e Alessandro Zuccari, commissario Antonio Arévalo.

I/O _IO È UN ALTRO è ormai alla sua terza tappa: dopo la presentazione della sua fase preliminare al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma (gennaio 2011) e in occasione della Biennale Session nel contesto della 54. Biennale di Venezia (ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, ottobre 2011), Meneghetti espone nel Padiglione kenyota sull’Isola di San Servolo i risultati del lavoro di tre anni condotto con più di 200 persone con disabilità mentale dei Laboratori d’Arte di Sant’Egidio, mettendo in atto un lungo processo relazionale, creativo e di conoscenza di sé come Persona. Riflettendo sul concetto di alterità, l’artista ha lavorato con gli Amici di Sant’Egidio raccogliendo le loro testimonianze ed invitandoli ad esprimere la loro visione del mondo.

In occasione della mostra, che inaugura il 30 maggio 2013 alle ore 18.00 (Isola di San Servolo), è pubblicato un libro edito da Maretti Editore, con testi di Simonetta Lux, Alessandro Zucccari, Antonio Arévalo, Mike Watson. Pubblichiamo qui in anteprima l’intervista a cura di Paola Poponi, pubblicata nel catalogo del padiglione della Repubblica del Kenya, Maretti editore, 2013 nella quale parlano l’artista, il commissario, Antonio Arevalo e i curatori dello Special Project, Simonetta Lux e Alessandro Zuccari.

Introduzione e intervista a cura di Paola Poponi, commissario del Padiglione della Repubblica del Kenya [click here for the English version]

I lavori con gruppi di persone come i motoboys di San Paolo (2002-2004), l’opera realizzata in Africa con gli abitanti di Keita in Niger (2007-2009), lo studio della quotidianità in Estremo Oriente (2010-2011): la persona al centro. Una vitale necessità di indagine sull’essere umano rende l’artista César Meneghetti errante da anni tra i continenti per scoprire e comunicare nella totale contemporaneità il confine ultimo: “l’abilità di esprimere il proprio IO”. Una novità, un’idea, un’intima razionalizzazione di poter “mappare” l’interiorità dell’altro nella consapevolezza del lato più immateriale e difficilmente (ri)conoscibile di abitanti di un mondo parallelo, capaci di produrre logiche, visioni e spazi alternativi. Ma alternativi a cosa? Di fronte alle promesse mai mantenute della globalizzazione, César Meneghetti si propone di cercare il pensiero dove da troppo tempo si pensa di non trovare nulla. Troppo bello per essere vero…, troppo giusto per essere compreso… È quel senso di appagamento spirituale che trascende ogni schema e pregiudizio ed innesca in noi il misterioso senso del rispetto; verso la natura che riflette il nostro sogno, verso la natura umana che riflette la nostra speranza. E allora, come ora, per questa azione critica svolta nel senso della complessità e dell’innovazione multidisciplinare, mi sono lasciata coinvolgere immediatamente dal colpo di fulmine intellettivo ed emotivo che ne è nato, con César Meneghetti autore, artista e testimone nei Laboratori d’Arte per persone disabili della Comunità di Sant’Egidio. Il risultato di questa conoscenza sensibile di uomini e donne che percorrono un pezzo di strada insieme è l’opera dell’artista e nel contempo la loro presenza al Padiglione della Repubblica del Kenya a questa 55. Biennale di Venezia. Sono il primo pubblico dello Special Project, posso testimoniare il fascino intrinseco che può avere la comunicazione e l’espressione di una parte di mondo considerata diversa, troppo spesso tabuizzata ed emarginata con disprezzo. Nell’arte di Meneghetti priva di cosmetica (spesso inutile) o tradizionalismi (a volte ingessanti), vince l’essenzialità del linguaggio, che al tempo stesso va dritto al cuore e al contenuto del problema: una società di pregiudizio genera inevitabilmente oppressione. Dalla cultura del pregiudizio e dell’indifferenza si esce anche per la via dell’arte, tracciata da Duchamp e Beyus. Ognuno a suo modo e con i propri strumenti, da professionisti e non, da intenditori e non, ma con il coraggio dell’interazione. E se Mike Watson afferma che la democratizzazione del termine arte rischia di cancellare il ruolo privilegiato dell’artista in quanto tale, io invece non ne ho timore…. Perché se ognuno si afferma altro dall’altro che percepisce, l’Arte in quanto tale nasce, dalla sensibilità che è sempre altra da sé ed universalmente in dovere e in diritto di manifestarsi. Mi interessa l’artista che non solo testimonia con strumenti di abilità, cioè con arte, ma che mette strumenti di abilità anche in mano a chi ne è, per natura e/o cultura sprovvisto.

Paola Poponi: I\O_ IO È UN ALTRO, un progetto intrapreso da te nel 2010, un lavoro in progress (2010-2012), e ora opera (2013): ti chiedo perché lo hai iniziato, e perché questa volta hai deciso di lavorare in un unico luogo- Italia, Roma- invece di essere in transito in Africa, Asia o America Latina, scenari dei tuoi recenti lavori?

César Meneghetti: Ho continuato in questi anni a transitare tra civiltà e culture, come testimonia il lavoro fatto in Niger che conosci. Si dice che Roma sia la culla mitologica della nostra società contemporanea. Si dice anche che abbiamo costruito a immagine e somiglianza della antica Roma, una società individualista, con il capitalismo come sistema e un’ipotetica piramide sociale basata sul controllo economico-sociale della minoranza da parte della maggioranza e sullo sfruttamento dell’uno sugli altri. Quanto più la società è costruita a forma di piramide, tanto meno sono le persone con cui avere rapporti simmetrici e reciproci. Un mondo nel quale si hanno poche affinità reciproche, è un mondo che difetta di altruismo, un mondo disuguale e di conseguenza più violento, che ci conduce molto probabilmente nel vicolo cieco della premessa tribale, involuta e persistente, di homo homini lupus. Ed è proprio nella vecchia Roma, nella periferia e in centro, a Trastevere – oggi gentrificato, ma un tempo quartiere marginale – e a Tor Bella Monaca, la periferia odierna che, su invito di Simonetta Lux, parte e si dà inizio alla prima tappa di I\O. Nel Museo di Tor Bella Monaca ho conosciuto all’inizio del 2010 un gruppo di persone con disabilità di vario tipo che frequentavano uno dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio e realizzavano lavori usando prevalentemente tecniche tradizionali come pittura e scultura. Sin dal primo momento, mi ha colpito moltissimo il fatto che, dentro quel laboratorio creativo, nell’ambito del fare artistico, queste persone erano diverse, come immersi in un liquido che li faceva volare. Quando invece erano sul punto di uscire, iniziavano ad incupirsi al solo pensiero di tornare alla loro quotidianità. Più li frequentavo, più constatavo che il desiderio di ognuno di loro era di partecipare, di appartenere, ma forse soprattutto di poter realizzare qualcosa, qualsiasi cosa per un altro. Questo è in contraddizione con la nostra società odierna e con i luoghi comuni di cui è infarcita. Allora vivevo i ragazzi come “gruppo”. Poco a poco ho imparato a comprendere anche la particolarità di ognuno; a considerarli singole persone che si identificano e hanno empatia con l’altro e manifestano una sorprendente disinvoltura nel dimostrarlo quando entrano in rapporto/contatto. Per toccare questa realtà bisogna vincere il primo impatto che nasce dai paraocchi culturali, dai pregiudizi, dal meccanismo di potere. Questa è la mia sensazione primordiale che ho voluto uscisse intatta in questo lavoro. In I\O_IO È UN ALTRO le sensibilità e le intelligenze ci sono. Diverse, individuali e specifiche: non devono essere ignorate, come se appartenessero indistinte a una totalità indistinta. In questo lavoro non abbiamo invertito questa piramide, né abbiamo attuato una rivoluzione violenta. Abbiamo solo cercato la simmetria e la reciprocità. Sono partito dal cubo, elemento primario che è alla base della perfezione della scultura greco-romana. È l’elemento dell’intelligenza che plasma e prefigura un’idea o una rappresentazione. In questo contatto con l’alterità mi sono chiesto: perché devo perdere il mio tempo di vita pensando a creare cose per il possesso o usufrutto di pochi mentre posso con il mio lavoro fare qualcosa per molti, tutti, e a partire da me stesso?

Paola Poponi: Cosa rappresenta per te il codice I\O? L’io? Le lettere “i” e “o”? Il numero 1/0 (uno/zero)? E perché questi segni, simboli sono all’inizio del nome del progetto?

César Meneghetti: Siamo tutti parte di un corpo unico. 1/0 (uno/zero) come se gli uno e gli zeri si riunissero e formassero un linguaggio unico come quello informatico (ASCII), o come accade nella base di ogni cosa, della cultura, della vita. L’unione degli opposti, i paradossi, la dialettica, il positivo e negativo che genera una nuova energia: gli uno (o uni) e gli zero della società post-global, i normali e gli altri, i ricchi e i poveri, il bianco e il nero, il Nord e il Sud, il giorno e la notte, l’atomo e l’universo. O anche: “l’uno contiene i molti e i molti contengono l’uno” buddista; o l’osmosi che si dà nella natura “bio-psico-sociale” dello sviluppo umano dove nulla si può comprendere nell’isolamento dal proprio ambiente, dalla propria cultura.

Paola Poponi: Come si coniuga all’insieme il tuo riferimento al digitale?

César Meneghetti: Oggi i mezzi digitali utilizzati sono uno strumento alla nostra portata, come lo sono state le iscrizioni sulle caverne, la scultura, la pittura per rappresentare un flusso di pensiero, sia esso dominante o no. Attraverso il cubo-concetto platonico dell’idea preesistente, facciamo come gli scultori del passato che dovevano liberare dal cubo di marmo figure rinchiuse nel rigore del blocco. Il parallelismo di I\O mette in primo piano le relazioni critiche alla cultura digitale e alla cultura in generale. Il parallelismo di I\O mette in primo piano un modo critico d’uso della cultura digitale. La tecnologia è in continua evoluzione, o meglio in continua obsolescenza, così come le piattaforme per i nuovi media, gli hardware, i dispositivi elettronici diventano vecchi ed inutilizzabili dopo appena pochi anni. Un vecchio nuovo, una mentalità di superproduzioni e deperimento del creato, in una maniera che appare vertiginosa. Tutto deperisce in fretta: gli oggetti, le idee, i sentimenti, i legami, i principi, la propria apparenza, la propria vita. Tutto è un costante macinare che non lascia il tempo di capire qual è il vero e quale il falso; di cosa necessitiamo veramente e perché la realtà che ci è proposta, venga costruita attraverso mezzi media creati da un sistema dominante che detiene il proprio canale di veicolazione, di informazione. In questo lavoro, come nei nuovi media, se si vuol essere veri è necessario rimanere fedeli, ma entro un puro flusso di immagini. Qualsiasi cristallizzazione rischia la morte precoce o il deperimento per l’obsolescenza programmata. Il digitale ha solo accelerato e portato tutto questo ad un livello di pensiero. Siamo rapidi, reperibili, universali. Niente veramente ha più bisogno di esistere in verità, perché tutto esiste in maniera fittizia.

Paola Poponi: Come entra nel cono di luce (o nel cono d’ombra) del tuo pensiero critico l’opera di César Meneghetti?

Simonetta Lux: Nei lavori di César Meneghetti c’è sempre un doppio registro: una tematica che va alle sue lontane radici brasiliane ed una universalizzazione delle questioni fatte emergere in quanto intercettate per così dire dalla condizione nomadica ed emigrante che egli condivide con la maggior parte degli artisti di questo mondo globalizzato. Se la bellezza dei risultati potrebbe fare pensare a un nuovo formalismo, in particolare nella serie Montage (1999-2003), il mode d’emploi dei media e l’eccellenza formale tesa talvolta fino all’astrattismo non escludono il soggetto, anzi assistiamo a un “ritrovamento del centro”, un centro che si sposta continuamente, un centro nomadico, in un intreccio infinito di individui e luoghi o contesti, dunque la componente etico-critica, una volta di più, diventa il nuovo protocollo dell’arte. Una nuova soggettività, senza espressione, ma con sapienza. Lo sfondo politico-sociale è sempre più importante: tanto da provare costantemente a canalizzare questo impegno nei lavori filmici. Anche questo sguardo trasversale è inevitabilmente politico, perché non mi trovo ad osservare una realtà da un unico punto di vista.

Paola Poponi: Nella ricerca dell’artista si fa riferimento allo psichiatra e ricercatore Daniel Siegel dell’Università della California che parla di “neurobiologia interpersonale”. Mi domando, può questa posizione attribuirsi al processo dell’arte che Bourriaud ha definito estetica relazionale e che di fatto è connaturata al progetto I\O_ IO È UN ALTRO?

César Meneghetti: È noto che il funzionamento del nostro sistema nervoso è strettamente collegato alle nostre relazioni personali, alle importanti figure affettive della vita e alla relazione che abbiamo con la nostra cultura. Questo processo può essere interrotto o sviluppato dal cervello durante la vita in società, se questa si basa sullo sfruttamento e sulla concorrenza, ma può essere attivato un processo inverso, positivo, istituendo opposte condizioni di vita e di relazione di segno opposto.

Alesandro Zuccari: César Meneghetti da noi invitato, ha esplorato lungamente il feedback del soggetto ad interferenze negative ed è il primo degli artisti invitati nei Laboratori d’Arte per confrontarsi con questo processo, esplorato in lunghi anni di attività nel quale si è dimostrata l’intelligenza e la possibilità di espressività, in-comunicata nelle persone disabili. Come artista Meneghetti ha reso visibile questa invisibile potenzialità.

Simonetta Lux: Attraverso il dispositivo della videocabina #03, consapevole o no, ha condotto un’intervista reciproca che entra in risonanza con l’idea del colloquio persona con persona di Franco Basaglia. Quindi, nel colloquio, ovvero qui nell’intervista – è di lui a loro e di loro a noi – realizzata in un luogo protetto e violato dalla macchina da presa e/o dalla fotocamera, scaturiscono delle risposte/reazioni inattese, positive, inaspettate, oltre quelle possibilità già intraviste. L’artista, il regista, è andato a sondare un terreno tutt’ora incognito e l’arte giunge dove non si era giunti in precedenza. Paure dello spazio, insofferenza a sonorità eccessive, difficoltà di concentrazione, ricerca emozionale alla cieca – come nel laboratorio di movimento attivato dalla coreografa Cristina Elias insieme a Meneghetti – sono barriere del tutto cadute come ci appare in in_visibilità (2013).

Paola Poponi: Ma allora, che fa l’arte? E come fa questo processo–progetto a farsi Arte?

Simonetta Lux: Documentazione, workshop teorici e riprese di 30 disabili con l’artista, i critici, alcuni volontari, hanno rappresentato la prima fase del progetto sostanziato innanzitutto nell’incontro tra César Meneghetti e il gruppo, eterogeneo per età, condizioni fisiche e sociale. Eterogeneo anche nella disabilità, a volte mentale, a volte fisica e a volte fisico-mentale. Queste persone vivono da anni una ricerca espressiva e comunicativa che passa anche attraverso la creazione artistica nei Laboratori sperimentali d’Arte della Comunità di Sant’Egidio. I principali sono stati Tor Bella Monaca e l’atelier messo a disposizione dell’artista nel quartiere di Trastevere. Meneghetti ha utilizzato all’inizio lo strumento denominato VIDEOCABINA, per un’investigazione preliminare e un confronto chiamato di VERIFICA #01: interviste, registrazione di voci, frasi, racconti, storie di vita in presa diretta. Si è dato vita cosi ad un’esperienza relazionale, mentre l’artista avviava una seconda parte del confronto, la VERIFICA #02. Si tratta di un processo aperto di insegnamento in cui – attraverso confronti, interviste bilaterali – sono stati offerti al gruppo strumenti contemporanei del linguaggio della comunicazione e dell’arte non badando – come egli ci ricorda continuamente – alla asimmetria delle diverse condizioni, intendendo ottenere, in una relazione orizzontale, delle risposte/opera (foto, video). Sono stati inclusi anche coloro che, bloccati, per motivi diversi, oltre che nell’espressione verbale anche nel corpo, conservano il loro diritto all’espressione: come nella VERIFICA #04, sul movimento.

Paola Poponi: L’OPERA #01 VIDEOCABINA #03, una videoinstallazione monocanale, si può considerare la generatrice degli attuali dispositivi presenti in questa 55. Esposizione Internazionale d’Arte?

César Meneghetti: No, è solo una parte del lavoro fatto in questi anni con loro: è anche un’opera frutto del mio conoscere e indagare su di loro. Per più di mezz’ora ci troviamo davanti ad un video di quasi 40 minuti ad ascoltare, ma anche a interagire in una certa maniera, a interfacciare, ad addentrarci nell’intimità della vita non solo di 30 persone con handicap, ma forse anche della nostra. L’opera #01 è forse un anti-film, un anti-video di una sola inquadratura ma con migliaia di varianti interne. È un dialogo corale e privato a 30 voci per un unico spettatore, il pubblico.

Antonio Arévalo : Ci appare evidente il piacere per la poesia delle immagini, per la parola dei suoi interlocutori guardati con uno sguardo nuovo, lontano da ogni pregiudizio ed è altrettanto evidente l’abilità dell’artista nel generare flussi di pensiero e di immagini e nel trovare un modo nuovo e sensibile di raccontare tutto ciò. Nulla succede tranne la esperienza dell’incontro con l’altro. Mi vengono in mente le parole di Ignacio de Loyola: “Vedere le persone, le une e le altre. In primo luogo, coloro che sono sulla faccia della terra, in tutte le loro varietà di costumi e di attitudini: alcuni bianchi; alcuni neri; chi in pace, chi in guerra; gli uni in lacrime, gli altri allegri; alcuni prestanti, altri malati; alcuni che nascono, altri che muoiono”. Questo testo-pensiero calza perfettamente con l’ultimo progetto che César Meneghetti ci fa vedere in Biennale, I\O_IO È UN ALTRO un progetto dove l’altro è talmente presente da, a volte, confondersi con l’artista stesso.

Paola Poponi: Che mutamento apporta al mondo, alla cultura del pregiudizio o alla persona stessa, l’interscambio del principio di realtà (il vero e proprio agire, sentire, emozionarsi) col linguaggio delle arti che chiamiamo performative, col cinema, il video o la fotografia?

César Meneghetti: Questo lavoro, o meglio questo percorso, con i diversi-abili mi ha fatto riflettere. L’uomo ha bisogno di un surplus di produzione, di milioni di bits in forma virtuale in banca, per essere felice… O semplicemente essere? La crisi e le guerre sono un problema reale o è solo un’altra forma di controllo? L’uomo ha bisogno di essere in una maniera stereotipata, di obbedire a modelli dettati da un piccolo gruppo? E loro che pensano di loro stessi? L’uomo ha bisogno di un’intelligenza produttiva per essere o per fare arte? L’uomo ha bisogno di un corpo perfetto per semplicemente essere? Con queste quattro VERIFICHE credo che io abbia posto un interrogativo e nello stesso tempo loro hanno espresso la loro risposta.

Simonetta Lux: Felicità della consapevolezza di una loro diversa perfezione e comunque comunicare: “io penso”, “io sono”, “io posso”. Gabriele Tagliaferro, persona affetta da una grave forma di autismo, ha scritto attraverso la comunicazione aumentativa: “Io non dipingo, penso”.

Paola Poponi: Parlavi di una solitudine, di e in questo processo di conoscenza, comunicazione e creazione?

César Meneghetti: È la nostra angoscia, è l’uomo solo, con il suo egotismo, i suoi timori, le sue ansie. L’io, e l’altro che è dentro e fuori di noi, sono nel nostro mondo di indifferenti al dolore altrui, alla violenza che ci circonda e contro la quale, spesso, non ci opponiamo abbastanza. È semplicemente un dato di fatto storico che la cultura dominante di ogni particolare società rispecchi gli interessi del gruppo dominante in questa stessa società. Alla stagnazione, alla non-trasformazione, all’impietrimento e alla morte. Ma i vivi sono quelli che sono infedeli al sistema, i non conformati, i matti, i visionari, quelli che hanno freddo, paura, quelli che piangono e sono fragili, precari. Sono una tribù – minima, ma sono una maggioranza dormiente. E la verità posso solo osare a scoprirla quando incomincio ad uscire da me stesso e a percepire quanto è instabile e mistificatrice la realtà imposta che ci gira attorno.