Luca Patella discioglie “la freddezza” (“che aveva fatto nascere Auschwitz”): non solo non vuole essere “assassino di se stesso”, né che noi lo siamo, anzi vuole porsi – e porci – nella condizione di libertà di giudizio e di interpretazione, incuneandoci sotto “la pelle”, sotto “la superficie della comunicazione di immagine” (Argan). Rinnovare continuamente se stessi, testimoniare di se stessi.

Sceglie, fin dagli inizi degli anni Sessanta, un intervento diretto sulla immagine, interpolando elementi grafici, anche di parole, con elementi sonori, con la parola parlata. Dispone le sue operazioni come un vasto “campo di ricerche sperimentali” il cui oggetto/soggetto (egli stesso e il suo pubblico/attore) è l’uomo – nei suoi comportamenti tipici e nei suoi rapporti psicofisici col mondo, col reale.

La realizzazione di un film come Tre e basta (1965) che prende in esame tre possibilità di filmare (di entrare quindi in rapporto con la realtà in tre modi diversi) è come la forma di una strategia di fatto politica: differenziare i modi dell’affettività per meglio stimolare la creatività, per reazione contro l’obbedienza passiva alle consegne borghesi (Boatto).

È un’arte, quella di Luca Patella in azione ed efficace, diretta e senza quelle mediazioni oggettuali e produttive che anche il Bauhaus pretendeva.

La poliforme pratica del <mezzo> o della tecnica (ad esempio della fotografia, in cui Patella è un maestro internazionalmente riconosciuto) sono fondati in Patella su una complessità di riflessioni che potremmo definire in termini attuali hard e soft. Quando si concentra sull’obiettivo fotografico in quanto “estensione dell’occhio”, non produce l’immagine peculiare solo grazie ad obiettivi anomali – come scrive Daniela Palazzoli nel 1975 – “ma di obiettivi da lui appositamente inventati per deformare le apparenze ottiche del reale. Essi distruggono il punto di fuga e tolgono ogni possibilità di orientare gli oggetti secondo la visione tradizionale, offrendo a chi le guarda nuove, inedite possibilità di associazione e di scoperta, da ricercare non solo fuori, ma anche dentro di sé”.

Il fatto che però sconvolge il contesto artistico italiano dei primi anni Sessanta (ed oggi riconosciuta anche negli Stati Uniti come ”un’opera chiave per la storia della Land Art prima della Land Art”, e aggiungerei “oltre” la stessa etichetta Land), è la proiezione/esposizione di forma anomala, diremmo, di “Terra animata” (1965, film 16 mm., intonazioni col. e B. N., muto, 6’) a Roma nel teatrino di via Belsiana nel 1966 e l’anno successivo alla Calcografia Nazionale diretta da Maurizio Calvesi. Che si integra in “una performance – scrive l’artista in Prolegomeni allo ATLANTE SPECIALE di LUCA PATELLA (1978) – svolta da due personaggi umani indicativi (un uomo e una donna con competenza espressiva del corpo vestiti ugualmente) su vasti campi arati di zolle uniformi. Progettata, filmata e fotografata da Luca, l’azione è stata ripetuta in due diverse occasioni. Il film propone una struttura e non tanto problemi di immagine. La ripetuta misurazione della terra, effettuata sulle ampie distese dei campi, con una lunga fettuccia bianca tesa da mano a mano, a formare linee ed angoli che indicano gli andamenti della terra. La presa di contatto con la materia. I due compiono gesti e movenze indicative anche con il corpo: affiancati, capovolti, braccia alzate, inquadratura di piedi su materiali naturali. Brevi interventi di animazione razionalizzante di piccoli oggetti. Una giovane con un vestito specchiante e teso, in cui si riflette l’ambiente di zolle arate”.

Il film, nelle due presentazioni citate va certo oltre il tratto anticipatorio Land: nel libro citato, Patella scrive ancora: ”Azioni calibrate e programmate per osservazioni di comportamenti: a metà strada tra realtà e analisi in vitro. Un <uomo indicativo> cammina regolarmente davanti a una proiezione in sviluppo (teatro di Via Belsiana). In un Ambiente proiettivo animato (galleria L’Attico, 1967) “400 immagini (che si propongono uno studio strutturale dell’immagine) e scritte-concetti, si susseguono automaticamente coprendo le pareti, raggruppate in complessi evolutivi (dalla 1° alla 400°), con un <titolo> scritto a grossi caratteri rossi fosforescenti”. Tutta la struttura segue una precisa concezione, ma è anche reale, il soggetto altro (i diversi esseri umani indicativi, che si muovono o si fissano dentro la proiezione) a seconda del tipo di azione, si fissa o si muove, in alternanza con la proiezione o le immagini still dal film.

La opera è aperta, si è immersi allo stesso tempo nel reale (della struttura d’immagine o di montaggio) e nell’artificio (la propria azione/comportamento incastonata e alterata dalla proiezione su di sé).

Accusato di “essere uscito dall’arte”, Luca Patella accentua la esibizione e rottura delle esistenti connotazioni psicologiche e culturali, chiamate in causa.

Ciò che nella condizione <moderna> e delle avanguardie, era sublimato e coperto (nell’illusione utopistica razionalizzata di cambiare la struttura del mondo, dimenticando la centralità del soggetto/ dei soggetti uomo), nell’opera fotografico/filmica proiettiva/pittorica di Luca Patella si scopre e si <attiva>.

Nella ANALISI DI PSICO VITA (in diverse versioni dal 1970), sottotitolata REATTIVO DI INTERCOINVOLGIMENTO CULTURALE, PSICOLOGICO, ECC., si svolgono “aperte al pubblico, con il coinvolgimento suo e di critici, psicologi, linguisti, o sociologi delle analisi proiettive in atto, dei reattivi totali, invece di mostra, delle manifestazioni-lezioni-laboratorio, durante le quali – con ductus scientifico e ironico/serio – si mettono in moto tutti i propri strumenti mentali, forma e deformazioni.

La invenzione dell’artista di Macchine, tra cui quella da lui progettata, realizzata e manovrata per fare dissolvenze manuali, variate e musicali/sonore (non ancora eguagliata nel digitale attuale), rappresentò nel 1970 un ulteriore scandalo, quando fu presentata al Sicof di Milano e negli eventi di analisi proiettive in atto: voleva far sorridere, includendo e attivando, ed invece veniva da alcuni ambienti duramente respinta.

Si tratta tuttavia di un’opera <relazionale>, trenta anni più giovane della sistematizzazione di Nicolas Bourriaud e delle pratiche ipercontemporanee estese dalla fine degli anni Ottanta (Gea Casolaro, Maurizio Bolognini). “Le analisi – scrive l’artista nell’opera sopracitata, p. 104) – sono metodi, non solo dell’espressione, ma del rapporto, ed ecco: su questa china, indelebile, non vuol trattarsi di feed-back o di coinvolgimenti tout court, ma di… attualizzate teoria & prassi in atto!”.

Il <linguaggio> è soggetto/oggetto della sua “iper-creazione”: termine che conia e appare per la prima volta nel 1979, nel manoscritto degli Atti del I Convegno di Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei (Sapienza, Teatro Odeion, 1979, a cura di Simonetta Lux con la collaborazione di Paolo Boccacci).

Il “libro totale” è la sua meta, evento proiettivo proiettato e installato.

Una ricerca che si orienta su linguaggio, sulla parole: che sono visti come realtà avvolgente, che può prorompere sui muri e dagli alberi (i Muri e gli Alberi parlanti, del 1970). Libera le parole, le spezza in radicali, prefissi, suffissi che si fanno fluttuare in infinite associazioni, talvolta anche ricomporre in aneddoto, infine in racconto e poesia.

La sua e le nostre energie vengono liberate da Patella grazie a una specie di psicodramma che egli compone e in cui noi attivamente entriamo, con la “composizione” e cancellazione di parole sulla lavagna luminosa, in simultanea con la proiezione di immagini e spezzoni di film sui muri della Galleria. Già un modo per contrastare attraverso un linguaggio altro lo spazio <deputato>, il luogo di sistema: con la dissoluzione/ricomposizione del linguaggio e dell’ex-spettatore dell’arte.

Meta ultima l’idea di una specie di Libro totale che si svolge insieme senza fine. Che è poi anche l’approdo metodico (ipercreativo) di Luca Patella intorno al 1970: seguire e deviare l’infinito automatico estendersi della vita.

 

Dall’alto:

1 e 2 Luca Patella, Terra animata (still dal video), 1967, Terra animata, 1965, film 16 mm., intonazioni col. e b/n., muto, durata 7’, con: Rosa Foschi (artista, compagna di Patella) e Claudio Meldolesi (oggi, noto storico del teatro). Vai a clip (1 minuto, file avi, 15 Mb) in: http://lucapatella.altervista.org/terraAnimata(clip).avi

Luca Patella, Alberi parlanti, 1970-71; Un boschetto di Alberi Parlanti e profumati, e di Cespugli Musicali, sotto un Cielo, 1970-’71 (gli Alberi mormorano lunghi discorsi, i Cespugli reagiscono, al contatto, interattivamente, diffondendo, nell’ambiente, vento e cinguettii di uccelli.. Le Nuvole si spostano..), Walker Art Gallery, Liverpool, da

http://lucapatella.altervista.org/immagini.htm, Sito Ufficiale & Ufficioso di Luca M. Patella.

Luca Patella, Ambiente proiettivo delle sfere per Amare, 1969, proiezione da calotte emisferiche semilucide. Per la nuova sede de L’Attico l’artista propone, nel maggio 1969, il vasto Ambiente proiettivo delle Sfere per Amare che ingloba le esperienze proiettive precedenti. Le Sfere naturali sonore si presentano come due calotte emisferiche traslucide sulla superficie delle quali sono proiettate immagini e scritte che, tramite un particolare sistema di proiezione ideato dall’artista stesso, non subiscono le deformazioni anamorfiche dovute alla curvatura. Sono riproposte per la VI giornata del Contemporaneo il 9 ottobre 2010 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Luca Patella, Cover (1° di copertina), fustellata a colori, del catalogo della mostra Luca Patella alla galleria L’Attico, aprile 1968 (progetto del catalogo, Luca e Rosa Patella). Il catalogo è un vero proprio libro o catalogo d’artista. Contiene una dichiarazione “estetico – pratica” di Luca Patella ed il “Reportage marziano” contenente ingredienti, Gruppi di immagini, Svolgimento della mostra.

 Luca Patella, Cover (IV° di copertina), fustellata b. e n., del catalogo della mostra Luca Patella alla galleria L’Attico, aprile 1968 (progetto del catalogo, Luca e Rosa Patella).

Luca Patella, Reportage marziano, apertura di pagina del catalogo L’Attico 1968.

Luca Patella, Piove, still dal film oggettivo statico proiettato. “L’inquadratura è statica – scrive Luca nel suo Reportage Marziano -, come nelle diapositive, ma l’immagine si muove: gocce d’acqua che cadono.

9-10. Luca Patella, Davanti allo schermo, nel camminamento, un uomo cammina…, fotografia dello svolgersi della mostra, e Davanti allo schermo, l’uomo sta poi seduto ad un tavolo di bar e tutt’al più, beve, senza gestire…, L’Attico, 1968.

Luca Patella, Biglietto d’autobus, ecc. ecc. (indice icone simbolo ecc.), 1966, dall’Ambiente proiettivo animato.

Luca Patella, Gravitazione dell’ossequio, ecc.. L’artista proietta quel grafico durante le Analisi di Psico vita, Milano 1971 e Roma, 1972, Incontri Internazionali d’Arte.

Luca Patella, Intervento in Atto di Giulio Carlo Argan, un momento di Analisi di Psico vita, Roma, 1972, Incontri Internazionali d’Arte. Sono presenti tanti critici dell’epoca più o meno giovani: Luigi Spezzaferro, Filiberto Menna, Simonetta Lux…

Luca Patella, Polvere di proiezione iperconnotativa. L’artista scrive alla lavagna luminosa durante la Analisi di Psico vita, Roma, 1972, Incontri Internazionali d’Arte.

Luca Patella, Ogden e Richards, dialettici, ribaltati nella prassi, particolare di Id e Azione!, 1972, grafico mentalsinergico, per “Libro” e Analisi proiettiva; e tela fotografica cm. 90×130 (questa didascalia all’immagine è di L.P, integrata nella pagina a fronte (dal volume Luca Maria Patella, Prolegomeni allo ATLANTE SPECIALE di LUCA PATELLA, Martano, Roma, 1978).

Luca Patella, Dice A (pragmatica della comunicazione), 1966, diacolor e tela fotografica b.n., cm 130×190.