Dalla tesi di laurea L’inizio e la fine della riconoscibilità nell’arte. L’immagine pittorica “tra” tardoantico e contemporaneo, relatore prof. Maria Andaloro, correlatore prof. Elisabetta Cristallini, 
Università degli Studi della Tuscia, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, Viterbo 21 novembre 2004.

 

Questo articolo prende le mosse da uno studio in cui propongo alcune riflessioni su come l’uomo pensa e riconosce se stesso nell’immagine e su quali vie l’artista sceglie, oggi come ieri, per rappresentare o raffigurare il visibile della realtà.
Dopo la fotografia la pittura deve trovare un’altra via rispetto a quella della riproduzione mimetica della natura, se l’icona è, citando Regis Debray, “l’astuzia di Dio”, l’immagine teofanica che non vale per la sua forma visibile ma per l’effetto che scaturisce dalla sua visione, l’immagine pittorica del Novecento comincia a percorrere la strada della liberazione dall’imitazione: citando le parole di Pavel Evdokimov, “quando l’arte rifiuta coscientemente il carattere di somiglianza, o addirittura elimina l’oggetto, essa cade nell’astratto”.
Dalla rivelazione dell’arte orientale nella pittura di Matisse, che assume valore di vera e propria conferma per un’immagine occidentale profondamente mutata, nuova, attiva, più ispiratrice che ispirata, al quadrato nero su fondo bianco di Kazimir Malevich, vero mezzo pittorico per raggiungere il Trascendente, alla “svolta spirituale “ nell’arte di Kandinsky: ecco che, puntando lo zoom sull’immagine pittorica “tra” tardoantico e contemporaneo, emerge quanto e come il percorso artistico della pittura del Novecento spesso si trovi a percorrere il doppio binario modernità -tradizione, per raggiungere la comune meta dell’immagine astratta.
Quando Kandinsky si trova davanti a Il Pagliaio di Monet, l’artista dice di essere assalito dal “potere favoloso della pittura” che dispiega una “incredibile potenza della tavolozza del colore”: per la prima volta si accorge della non indispensabilità dell’oggetto nell’opera d’arte. 
Da quel momento la forma diventa da organica ad astratta, l’artista scioglie il legame mimetico con la natura per diventare profeta dell’Invisibile, nel quadro non riproduce le forme delle cose ma ne evoca la sostanza, traducendo in figura attraverso il mezzo pittorico la loro “necessità interiore”. E come la musica nel suo essere sinfonica rinuncia alle parole, così la pittura deve rinunciare all’oggetto ponendosi rispetto alla natura non più come imitazione ma come creazione parallela nel nome di una pittura “puramente astratta, e cioè senza oggetto”.
Ecco che, nel farsi profeta di una “nuova arte spirituale”, l’artista concepisce un’immagine metafisica, che si apre ad una dimensione priva di luogo e di tempo, vicina a quella sacra dell’icona, la quale si svela nell’arte di Kandinsky, non solo nei singoli temi profetici ma soprattutto nell’intero modo di concepire l’immagine pittorica, astratta e spirituale.
Molti dei grandi “temi profetici” che si dipanano nelle opere eseguite tra il 1910 ed 1923, ancora legate ad un certo ingrediente di figuratività, si rifanno alle Sacre Scritture: i temi neo-testamentari della Risurrezione, delle donne al Sepolcro, della Trasfigurazione i motivi apocalittici come il San Giorgio contro il drago, la caduta di Babilonia, il Giudizio Universale.e quelli vetero-testamentari quali il Diluvio Universale, Elia e il carro del fuoco. 
Nell’ambito di questa rivoluzionaria operazione artistica i temi profetici talvolta si celano e tal altra si svelano nel quadro in una grande varietas di elementi iconografici, dispiegati sulla tela in modo solo apparentemente casuale: ognuno di loro acquista un posto fondamentale nell’intero ordine dell’immagine, come in una composizione sinfonica essi attraverso il caos aspirano al raggiungimento di una dimensione altra, irrazionale e spirituale. 
Con uno sguardo il più possibile attento anche alla realtà pittorica della tradizione antica si vede chiaramente e ci si accorge, non con poca meraviglia, della presenza dell’icona nell’arte di Kandinsky: due esempi, tra altri, le opere Berg (Montagne) Arabisches III-Mit krug (Arabo III. Con brocca) 
Accostando la prima opera, eseguita nel 1911, all’icona russa del XV secolo il riferimento all’iconografia della Natività si fa evidente: a destra una figura di donna distesa e di fronte a lei due figure alate, in basso una brocca (l’indizio di riconoscibilità ci è dato dal titolo) e un fascio di linee azzurre ondulate. L’insieme di questi elementi all’interno della figurazione sembrano tradire chiaramente la ripresa del tema della Natività narrato nei Vangeli Apocrifi e presente nella pittura dell’icona, dove sotto la figura della Vergine, distesa in una posizione piuttosto simile alla figura di donna dipinta da Kandinsky, una figura femminile versa dell’acqua da una brocca, secondo l’iconografia della Lavanda del Bambino. Nella tela il tema dell’icona è contemporaneamente ripreso e re-interpretato in nome di un’immagine che, pur diventando autonoma rispetto al modello originario, ne conserva quella che si potrebbe definire una sorta di –innegabile- “matrice formale”. 

Se Kandinsky non descrive mai ciò che dipinge nei suoi quadri, perché per lui l’oggetto nell’opera non ha importanza, non stupisce che il suo stesso biografo Will Grohmann riconosca in Arabisches III-Mit krug una “pittura di fantasia” dove “soltanto in primo piano a destra sono riconoscibili una donna dell’harem e una brocca” (Will Grohmann, Kandinsky. Vita e opere, Milano 1968), travisando il contenuto dell’opera e cadendo in pieno nella volontà ingannatrice dell’artista che, se da una parte non svela mai cosa è nelle sue opere, dall’altra, in tutta risposta all’amico Grohmann, rifugge a chiare lettere dal fiabesco, affermando ne Lo Spirituale nell’Arte “perché non si perda lo scopo dell’arte bisogna evitare il fiabesco.(…) La lotta contro l’atmosfera fiabesca è come la lotta contro la natura, con quanta facilità si insinuano nell’opera!”(W. Kandinsky, Teoria, in Lo Spirituale nell’Arte, Milano 1989).
Nella tela dipinta nel 1909 dal titolo Berg (Montagne) si ritrova il motivo dell’ascesa: tre gruppi principali di figure appaiono organizzati compositivamente in funzione della grande forma triangolare al centro della rappresentazione, disegnata da un arcobaleno di colori puri quali il rosso, il blu e il giallo: dentro una grande macchia bianca sembra suggerire un senso di rarefazione”, configurandosi come una sorta di ” aurea di luce” che ospita l’evento miracoloso. 
A mio parere nella rappresentazione si può individuare un chiaro riferimento al tema biblico della Trasfigurazione: il gruppo figurativo al vertice del triangolo appare come segno dell’epifania di Cristo, dal quale discende lungo una scia bianca di luce un vortice divino che sembra “sbaragliare” la figura centrale, proprio come avviene nella tradizionale rappresentazione della Trasfigurazione di Cristo dipinta nell’icona russa presa ad esempio. Nella scena che si dispiega in Berg il significato di salita, di ascesa risulta piuttosto chiaro e il motivo dei monti, che a Murnau erano stati protagonisti della produzione figurativa di Kandinsky, viene riproposto qui come in altre opere successive: le montagne che salgono al cielo esprimono l’anelito che aspira all’altezza, al dominio, alla rarefazione, alla sublimità. Il triangolo conserverà, nel successivo periodo di “astrattismo concreto”, sostanzialmente la stessa valenza espressiva, anche se resa assoluta e riportata all’archetipo: per l’artista “Un grande triangolo acuto diviso in sezioni disuguali, che si restringono verso l’alto, rappresenta in modo schematico , ma preciso, la vita spirituale “(W. Kandinsky, Movimento, nel citato Lo Spirituale nell’Arte).
Ecco che i temi della Natività e della Trasfigurazione si disvelano nella pittura di Kandinsky per apparire completamente rimeditati attraverso quella definita dall’artista come una rivoluzionaria “visione interiore”, nella quale i termini della grammatica figurativa dell’icona vengono ri-semantizzati per essere inseriti all’interno del quadro, isolati tra loro e organizzati secondo un principio formalmente irrazionale ma pienamente partecipe della vita interiore dell’artefice.
Nel celebre articolo del ‘12 Sulla questione della forma l’artista dichiara che per la costituzione di una “nuova arte spirituale” occorre “liberarsi dalle vecchie (il corsivo è mio) forme per creare forme nuove ed infinitamente varie (…) che siano in grado di esprimere il principio della necessità interiore”.
Ma è giusto continuare a pensare in termini rigorosamente cronologici, determinando rigide corsie all’interno del percorso artistico della pittura di Kandinsky e più in generale del Novecento o forse occorre cominciare ad adottare un approccio critico che, rifuggendo dalla categorizzazione, sia capace di allontanarsi dall’univocità del concetto di influenza per stabilire tra immagine antica e immagine moderna un vincolo di inerenza, dipanando un filo rosso tra passato e presente nel nome di un’opera d’arte “senza tempo”?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto:

Icona della Trasfigurazione Scuola di Novgorod( XV sec.)

W. Kandinsky, Berg (Montagne), 1909; Olio su tela; 109×109 cm Monaco, Stþdtische Galerie. H. Roethel, J. Benjamin, Kandinsky. Catalogue raisonné of the oil painting,vol. I (1900-1915), London 1982, pag.279. 

W. Kandinsky, ArabischesIII (mit krug), 1911; Olio su tela; 106×158;
State Picture Gallery of Armenia.
Cfr.H. Roethel, J. Benjamin, Kandinsky.
Catalogue raisonné of the oil painting, vol. I (1900-1915), London 1982, pag. 373.

Icona russa della Natività (XV sec.)