In una delle sue mostre, fra le tante in sedi internazionali, Fabio Mauri aveva riunito le sue opere con il titolo di Male e Bellezza, una mostra forte e mutevole in cui l’evidenza dell’Etica di tutto il lavoro si poneva a motivo dominante del percorso dell’artista. Una mostra che nel suo splendore, del bello sottolineava la ragione Etica della morale nell’uomo contemporaneo nella sua identità formale. Il bello è il male? Ovvero, è nel bello l’espressione del pieno nascondimento del male? A queste domande l’autore rispondeva con una taxonomia di immagini del bello e vari, molteplici, allestimenti di quest’idea sino all’horrorificazione del suo stesso divenire, il disgusto di un bello a priori ed idealista. Ma ciò che è nel bello si sottrae al male, concludeva l’artista: intendendo con ciò qualcosa di irreparabilmente altrove da ciò che era l’arte e da ciò che deve essere l’arte. Il contenuto idealista, che verte poi sulla ragione tedesca da Kant ad Heidegger, in Fabio Mauri non è insolito alla rappresentazione di eventi che abbiano una precisa motivazione storica.
Così questa doppia personale allestita in due spazi romani, per la cura attenta e consapevole di Giacomo Zaza, richiama la contemporaneità ai temi della storia e della sua apparenza. In un’altra occasione, quando incontrando per la prima volta il lavoro di Fabio Mauri nel vivo delle cose, ne avevo già avvertito la folgorazione, l’idea dell’incipit, quale appunto la rovinosa demitizzazione del sacro. Da allora non ho mai smesso di interrogarmi sul lavoro di Fabio Mauri quando si presenta l’occasione e ne ho anche cercato il senso più remoto senza tuttavia raggiungere la convinzione di averlo compreso completamente. Il suo apparire complesso all’interno delle problematiche irrisolte del contemporaneo, come folgorazione improvvisa e inaspettata, lo rende grande.
Bella e tagliente la parte allestita da Volume!, con la realistica visione del cinema in Cielo Vicino, visione capovolta, illusiva e potente, dell’immagine, materia sensibile, condizionante. Il suo impatto con le folle e la consapevolezza che Male e Bellezza questo cinema abbia spacciato, irrimediabilmente per tempo a venire. Ma qui, s’intende, la desacralizzazione dell’oggetto sembra indicare in Fabio Mauri la certezza che non tutto sia possibile al cinema o a chi per lui. Esiste una verità più profonda che nessuna forma allusiva può celare, nascondere e demistificare. Una realtà esiste ed è tangibile. In sala: un uomo fisso nella platea legge un giornale senza parole su cui il raggio del proiettore disegna la lettura. Siamo in un mondo capovolto, dove l’immagine si fa parola, in cui le sedie sono attaccate sul soffitto come la ragione della burocrazia, lenta o veloce che sia, servile anche nella costruzione dell’inferno dell’Olocausto. Ancora una volta Fabio Mauri non si lascia intenerire dalla richiesta presente nel pubblico, ovvero di manifestare una chiara verità, un punto fermo, una soluzione. L’artista indica ogni profondità senza mai vincolarsi ad uno scenario, intento com’è a disegnare spazi ulteriori del vivere e della sua consapevolezza.
Intensa e impegnativa anche l’installazione proposta a La Nuova Pesa, in cui l’idea dell’arte e delle tecnologie fa da mixer critico per le complessità del segno video e del multimediale, non presente ma solo evocato. Poiché, in realtà è di tecniche e di contenuti della tecnica che lì si parla. La tecnica usata da Fabio Mauri pur essendo comunque ad alto coefficiente è sempre e soltanto uno strumento, quasi una protesi manuale. La presenza non ostile di tanti giovani artisti e critici d’altra parte risponde da sé alla domanda non formulata ma sempre in agguato sull’attualità di ogni proposta. Dove ci sono giovani c’è innovazione e dove ci sono giovani questa innovazione non è mai fanatica, ma è sempre banalizzata per quello che è: uno strumento che pochi però sanno usare come bisogna. Così in Murato Vivo Fabio Mauri indaga sulla mitizzazione del video riconducendone le sue prospettive al contesto reale. E qui l’equazione si risolve; se il video coglie la realtà, ne è parte, Fabio Mauri è davvero murato vivo, o altrimenti se così non fosse anche la tecnologia, la sua insondabile e macchinosa strumentazione, sarebbe illusione. Illusioni che nutrono le giovani generazioni dell’arte? Questo lo mostra nei due luoghi non lo dice ma il suo messaggio è chiaro. Il Male è Bellezza. La tragedia dell’arte si compie in questo rito.

Fabio Mauri
Cielo Vicino – Murato vivo
Volume! – La Nuova pesa, Roma 2005
A cura di Giacomo Zaza

Dall’alto:

Convincimi della morte degli altri capisco solo la mia, 2005, Installazione, Smalto nero su carta, (cm. 78 x 1044)

La corrida, 2005, Proiezione-Performance con Miriam

Murato vivo, 2005, Muro scassinato. Proiezione “Ballata di un soldato” di Ciukhrai.