Ilija Soskic nasce a Decani, località montenegrina della ex-Jugoslavia, nel 1934. Tra i primi autori dell’arte di comportamento insieme a Luigi Ontani. Dal 1969 Soskic si trasferisce in Italia, a Bologna, e dal 1973 a Roma dove frequenta l’ambiente sovranazionale delle gallerie Gap e l’Attico; tornerà nella sua terra solamente per assistere e testimoniare ai disastri della guerra.
Il suo lavoro, che si orchestra tra azione performativa, fotografia, video ed installazioni, tende a fondere in un’elaborazione altamente critica elementi culturali e politici, mitologie ed elementi drammatici della natura: un percorso che offre ampio spazio alla dimensione progettuale condensandone la natura concettuale.

La cultura è la risposta all’omologazione di massa

In memoria del trentesimo anniversario dalla morte di Pier Paolo Pasolini, il MLAC ha proposto la mostra fotografica di Ilija Soskic, “Pier Paolo Pasolini. Nove ore dopo” a cura di Simonetta Lux.

Il 2 novembre 1975 Ilija Soskic si reca sul luogo dell’omicidio nove ore dopo la scomparsa dello scrittore-regista dove partecipa, insieme ai “ragazzi di vita”, ad una funzione post-mortem di cui lui diventa portatore di una memoria attraverso le sue foto tableaux. I ragazzi di Pasolini – spiega l’artista – dopo una partita di calcio costruiscono sul campo un cerchio di pietre e una croce col nome “Pier Paolo Pasolini”.
Ilija Soskic per questa occasione espone 11 fotografie a colori inedite, un testo scritto di suo pugno su quanto ha vissuto ed infine ripropone, mediante un’installazione il cerchio funebre dei “ragazzi di vita”.
Un progetto che Soskic aveva in mente di realizzare da anni e coglie l’occasione di presentarlo oggi al MLAC. Gli scatti di Soskic non sono testimonianza giornalistica della tragedia, piuttosto attimi colti e rivissuti mediante il suo occhio-obiettivo, che riprende anche i segni e le orme lasciate sul terreno qualche ora prima.

Un luogo, una traccia, un evento – secondo Simonetta Lux, curatrice della mostra ed autrice della monografia su Soskic di prossima pubblicazione – quale che sia la parte del mondo in cui si trova, costituisce per Soskic un punto di presa su tale realtà immediatamente vissuta. L’azione che egli compie è la messa in scena che registra e svela in profondità l’effimero attimo di quel tempo e di quel luogo, rendendolo l’eterno grazie all’autenticità del suo procedimento attivo, cioè grazie all’arte.

INTERVENTO DEL RETTORE RENATO GUARINI

Oggi inauguriamo la mostra fotografica di un artista contemporaneo in omaggio a Pier Paolo Pasolini, nel trentesimo anniversario della sua morte.
Anzitutto voglio ringraziare tutto il gruppo del Museo Laboratorio e in particolare Simonetta Lux per questa iniziativa.
Come Rettore è mio compito rappresentare l’unicità de “La Sapienza” ed esprimerne gli orientamenti culturali.
Perciò, anche se la mia formazione è di area scientifica, invaderò un campo che non mi compete, con qualche breve considerazione sul significato che il pensiero di Pasolini riveste oggi, a mio avviso, per un’istituzione universitaria come la nostra.
Pasolini è un punto di riferimento centrale nella cultura italiana.
Non aveva a che fare con il mondo accademico – anzi, forse oggi entra per la prima volta con tutti gli onori a “La Sapienza”.
Nonostante lo leggessimo sul Corriere della Sera, era una figura scomoda.
La sua opera di scrittore, regista e intellettuale – un’opera interrotta troppo presto da una tragica morta – ha affrontato tutti i nodi della società del Dopoguerra: il divario tra la cultura popolare e la modernizzazione, il rapporto tra il Palazzo e il Paese, le prospettive concrete delle giovani generazioni.
Il suo pensiero rimane attualissimo: quasi nessuno dei nodi che Pasolini ha portato al pettine è stato compiutamente risolto.

Pasolini sul Corriere della Sera affermava: “Io so”; diceva di conoscere i nomi “delle persone serie e importanti” che erano dietro alle stragi degli anni ’70, ma di “non avere le prove”.
Dopo la sua morte il fenomeno dello stragismo è proseguito ancora a lungo: in gran parte i nomi dei responsabili sono ancora ignoti.
Pasolini affrontò molti temi tabù, che toccano la sfera della libertà personale e sollevano la questione della tolleranza: non mi pare che a tutt’oggi nemmeno questi temi siano stati serenamente elaborati dalla società italiana, nonostante trent’anni di corsa verso un’apparente modernità.
Nel pensiero di Pasolini credo si possa individuare un filo conduttore, presente negli Scritti corsari – la raccolta degli editoriali sul Corsera – come nelle opere letterarie e poetiche e nei suoi film: Pasolini si batteva affinché la cultura fosse la risposta – quasi l’antidoto – all’omologazione della società di massa.
Usava l’arma della polemica per spiazzare i perbenismi della società borghese, ma anche i luoghi comuni e le certezze ideologiche della sinistra.
Come quando, a proposito degli scontri a “La Sapienza” a Valle Giulia nel ’68, si schierava con i poliziotti, contro gli studenti.
L’insegnamento di Pasolini contro l’omologazione culturale resta più che mai valido: oggi il rischio è addirittura quello dell’affermarsi di una monocultura a livello globale.
Credo allora che il mondo universitario debba fare proprio quell’insegnamento e sia più che mai chiamato a una missione: quella di andare controcorrente, di garantire spazio al pensiero critico e alla cultura nelle sue più diverse forme ed espressioni.

In un’epoca nella quale le lucciole sono quasi del tutto scomparse, oggi a “La Sapienza” accendiamo doverosamente una luce che illumina, attraverso la bellissima arte della fotografia, l’attualità e la grandezza della figura di Pier Paolo Pasolini.

Dall’alto:
L’installazione fotografica e la performance di Ilija Soskic.