Schifano 1934-1998
11 giugno – 28 settembre 2008
a cura di Achille Bonito Oliva 
GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Viale delle Belle Arti, 131 – 00196 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 8.30-19.30
Ingresso: intero € 9; ridotto € 7
Catalogo Electa

Info: tel. +39 0632298221; fax +39 063221579;

gnam@arti.beniculturali.it

www.gnam.beniculturali.it

A dieci anni dalla scomparsa, la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma dedica a Mario Schifano, artista-icona dell’arte italiana del Novecento, una grande retrospettiva, con circa 130 opere tra dipinti e disegni. Il percorso espositivo analizza l’intero corpus di lavori di Schifano, in cui si riscontrano le varie fasi attraversate dall’artista in quarant’anni di attività: dai primi lavori degli anni ’50, opere perlopiù inedite in cui affiora una certa influenza informale, ai monocromi; dall’esperienza Pop degli anni ’60 alle tele emulsionate degli anni ’70. E poi, il ritorno alla pittura negli anni ’80, fino ad arrivare al ciclo dedicato alla televisione e al linguaggio multimediale, testimonianza della sua ricerca verso una commistione tra pittura e altre forme d’arte come musica, cinema, video e fotografia. “Il tema costante, documentato anche da questa mostra – sottolinea il curatore Achille Bonito Oliva – è quello della relazione dell’artista col mondo che lo circonda, una spazio-temporalità pulsante di immagini, suoni, forme e colori”.

L’ingresso alla mostra avviene sotto l’insegna di una celebre frase di Schifano “Io aspetto un segnale per partire, basta niente, un giornale, un titolo, un’insegna…”. Lungo le pareti laterali che circondano il salone centrale della Gnam, comincia il percorso espositivo che scandisce, decennio dopo decennio, la frenetica attività di Schifano. Punto di partenza sono gli anni Sessanta, caratterizzati dalla creazione di cicli tematici progressivi quali i monocromi, gli incidenti, i paesaggi anemici, i marchi pubblicitari, le insegne stradali. In questo decennio Schifano riesce a destare l’attenzione di critici e galleristi, prima con i monocromi, poi con le opere di chiaro gusto pop, entrando a far parte, anche se per un breve periodo, della scuderia di Ileana Sonnabend, celebre gallerista americana.

Nel 1960 Schifano espone alla galleria La Salita con Festa, Angeli, Lo Savio e Uncini che insieme a lui saranno i protagonisti della Scuola di Piazza del Popolo. Il successo vero e proprio arriva poco dopo, con i monocromi. Attraverso queste opere, Schifano sente la necessità di stringere un legame con i grandi artisti che hanno fatto della pittura monocolore l’oggetto della loro ricerca. Ma il suo studio opera su basi radicalmente diverse, in quanto l’artista comincia ad interrogarsi soprattutto sulla natura del colore e della materia. A tal proposito, Achille Bonito Oliva scrive in catalogo: “L’unica materia, infatti, è il colore, perché lo spazio è puro supporto e occasione per la sua estensione. Così se la superficie del quadro indica lo spazio, il colore è direttamente il tempo.[…]”. Schifano omaggia Malevic e Kline, ai quali dedica splendide opere: Murale (iniziale) grande n.1 a Franz Kline del 1962 e Senza titolo (Kasimir Malievic) del 1965. Come scrive Marco Meneguzzo “[se la storia della cultura attribuisce al ‘monocromo’ certe valenze intellettuali di un meditato percorso verso il punto zero della pittura, non si dovrebbe attribuire questo titolo alla produzione artistica dei primi anni di Schifano. Che, semmai, costituiscono la partenza, e non l’arrivo, di un’esperienza culturale” (Da Mario Schifano l’immagine approsimativamente, in M. Meneguzzo, Schifano, cat. Mostra Loggetta Lombardesca, Ravenna, 1982). La A, che campeggia sulla tela dedicata a Kline, diviene quindi un segno, un’immagine, una via di mezzo tra langue e parole, così come Nodel 1960, in cui si può trovare la chiave dell’intera ricerca di Schifano in quegli anni. Anche il colore in questo momento diviene simbolico e, sulla stesura del colore, Schifano comincia ad inserire un numero o una parola, una sorta di simbolo dada che cattura lo sguardo dello spettatore invitandolo a meditare sullo spazio. È questo Aut Aut, una grande carta intelata del1960 in cui le due parole sono posizionate simmetricamente, “emergendo” dallo sfondo a smalto giallo al centro della tela.

Nel 1962 Schifano va per la prima volta in America dove resta particolarmente colpito dalle opere di Rauschenberg e Kline, di Dine e Jasper Johns. Ma soprattutto è l’incontro con Andy Warhol che lo segna. Spesso paragonato all’artista americano per la velocità del gesto pittorico e perché entrambi esaminano le immagini stereotipate della cultura di massa, le ricerche di Schifano e quelle di Warhol sono in realtà molto diverse. Coca cola o Esso si discostano dalle immagini riprodotte in maniera fotografica dall’artista americano, come ad esempio il rifacimento della bottiglia di Coca cola o della zuppa Campbell’s, poiché Schifano non trasforma l’oggetto in puro segno, bensì lo scompone. Quindi, mentre le opere di Warhol rappresentano un oggetto di consumo prelevato dal suo contesto e rappresentato in maniera realistica ma del tutto immobile, Schifano decentra le sue scritte pubblicitarie conferendogli così una sorta di movimento. 
Dopo il ’62 l’artista lascia la serie dei monocromi e delle coca-cola (motivo per cui viene interrotto il rapporto con la Sonnabend), per dedicarsi ai particolari di paesaggio e agli incidenti. La serie degli incidenti di macchina, tra i quali ricordiamo presente in mostra Incidente D662 (1963), sono spesso realizzati con un effetto di sdoppiamento dell’immagine. Anche in questi lavori, infatti, i contorni sono sommari con un effetto sbavato e mosso che dimostra ancora una volta la sensibilità di Schifano verso la fotografia e il cinema. 
A partire dagli anni Settanta Schifano inizia a fotografare le immagini televisive che trasferisce sulla tela emulsionata, dove agisce con colori alla nitro. Le tele sono spesso “chiuse” in una teca di perpespex, ricreando in qualche maniera l’oggetto stesso. “Televisione cattiva maestra” mi verrebbe da dire, citando il titolo di un celebre saggio di Popper. E dalla tv Schifano prende proprio tutto, dalle immagini delle aste ai video pornografici, dai telegiornali alle corse ciclistiche. Il televisore appare come musa ispiratrice (Musa ausiliaria è il titolo di una sua celebre opera del 1996), tanto che Schifano passa dal dipingerlo, alle volte acceso altre spento (Il seduttore del 1995 e Televisione del 1997) al fotografarlo, ora come oggetto, ora come luogo di accadimenti (Ora esatta, 1970; Paesaggio Tv, 1970; Ex film, 1975). Schifano è l’artista che più di ogni altro è riuscito ad utilizzare tutte le immagini possibili, sia quelle prodotte dall’arte che quelle prodotte dai media, in uno sconfinamento perpetuo tra mezzo e messaggio.
La sezione dedicata agli anni Ottanta è caratterizzata da tele monumentali in cui il gesto pittorico, a volte colato altre volte che lascia intravedere la tela grezza, sconfina nelle cornici in un’orgia di colori prettamente industriali (smalti e acrilici). Sono Biciclette (1982), Ballerini (1982), Il parto numeroso della moglie del collezionista (1985).

Se negli anni Settanta Schifano estrapola il fotogramma di un programma televisivo per proiettarlo successivamente sulla tela, negli anni Novanta l’artista interviene pittoricamente sull’immagine stessa e comincia ad usare tele pvc preparate al computer (Tracce di minaccia, 1990), opere che dichiarano la felice coabitazione tra pittura e tecnologia.
La sala al piano di sopra è dedicata ai disegni (è esposta per la prima volta la cartella grafica realizzata con il poeta Frank O’Hara), alle polaroid e al cinema. Attraverso la fotografia l’artista fissa centinaia di immagini che spesso trasferisce sulle grandi tele. Schifano adotta la Polaroid dagli anni Settanta poiché questa, a differenza degli altri mezzi tecnologici, conserva come l’opera d’arte il suo carattere di unicum. Viste nel loro complesso le polaroid di Schifano denotano l’atteggiamento amatoriale di una persona colta, assetata di immagini, che privilegia questo mezzo per la sua istantaneità. Chiude la mostra la proiezione di una sequenza di clips tratte dai corto e lungometraggi realizzati dall’artista tra il ‘64 e il ’69. I film di Schifano sono lunghe sequenze ricche di immagini. L’artista, così come nella pittura, procede sempre per frammenti trascurando quasi totalmente la narrazione. Per questo i suoi film, fuori dai canoni cinematografici tradizionali, sono stati collocati dalla critica nel cinema d’artista. Tra le pellicole ricordiamo Reflex, Round Trip e Schifano (1964) e la trilogia Satellite, Umano non umano e Trapianto consunzione e morte di Franco Brocani (1968-69)

Prima di giungere alla sala, però, il pubblico è invitato ad osservare le opere di Schifano degli anni Cinquanta. Tele in cui si evince una chiara influenza dell’arte Informale prima della “conversione” all’arte pop. Come Schifano stesso dichiarerà: “Erano gli anni dell’informale… O uno andava nelle strade e guardava i cartelloni pubblicitari, o andava nelle gallerie a vedere i quadri informali. Stranamente per me ed altri pittori era quello che si trovava all’esterno delle gallerie che ci sollecitava. In seguito il mio lavoro ha subito tutte le modificazioni del mio modo di guardare. Di guardare intorno cose ed oggetti.” (Da Schifano e l’immagine, testo di Nancy Ruspoli, in Mario Schifano, cat. Mostra Salone delle Scuderie in Pilotta, Parma, 1974). Se le origini di Schifano, quindi, si possono collegare per alcuni versi all’informale, si tratta di un momento che viene superato nel giro di pochi mesi.

Fulcro della mostra la colossale opera, visibile per la prima volta al pubblico, dal titolo Interno di casa romana, commissionata a Schifano nel ‘68 per la sala da pranzo di casa Agnelli. “Un incontro tra due persone disinibite, lui e Agnelli”, afferma Bonito Oliva. 
Sono esposte in mostra anche le opere che hanno reso celebre in tutto il mondo Schifano, come Futurismo rivisitato a colori del 1965 e Compagni compagni del 1968. L’opera dedicata al gruppo avanguardista riprende una celebre fotografia dei futuristi a Parigi. Le figure, semplici sagome, sono come evocate dalla memoria sotto pannelli colorati di perspex.
I numerosi prestiti che hanno reso possibile una mostra così completa, sono stati concessi soprattutto da collezionisti privati, dalle gallerie d’arte e da Giorgio Marconi, prima gallerista e poi presidente della Fondazione Marconi di Milano, che dall’inizio degli anni Sessanta si è occupato del lavoro di Mario Schifano.

 

Dall’alto:

Murale (iniziale) grande n. 1 a Franz Kline, 1962, smalto su carta intelata, cm 230×150, collezione privata

A De Chirico, 1962, smalto su carta intelata, cm 170×150, collezione Ileana Sonnabend, presso il Museo MADRE di Napoli

Grande particolare di paesaggio italiano in bianco e nero, 1963, smalto su carta intelata, cm 200×298,5, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma

Incidente D662, 1963, smalto su carta intelata, cm 160×120, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma

Fiori maschili, fiori femminili, 1984, smalto e acrilico su tela con cornice dipinta, cm 200×450, collezione Chiara e Francesco Carraro, Venezia

Il bambino pittore,1985, smalto e acrilico su tela, cm 160×220, Comune di Ponte di Piave, Casa di cultura Goffredo Parise

Senza titolo (Fibre ottiche),1997, smalto e acrilico su tela pvc preparata al computer, cm 200×150, collezione privata