Nel testo di Simonetta Lux, pubblicato in occasione della mostra al MLAC, si colgono le peculiarità di un vissuto esposto in chiave aforistica: l’interlinearità, l’analisi, l’atemporalità. Nel primo caso si tratta di interporre tra i pensieri propri dell’artista alcune riflessioni gnomiche, in modo da alternare delle vere e proprie annotazioni al flusso meditativo dell’artista. “Seguendo il suo filo logico del tempo, il pittore euristico è capace di dipingere il suo soggetto nella sua sequenza del tempo e sarà capace anche di affrontare l’eventuale situazione. Sarà un mero quadro della situazione eventuale per il tempo comune di tutti”. Il rapporto tra pittura e scrittura è espresso per parallelismi nella consapevolezza del loro aspetto propositivo. L’artista espone il suo itinerario mentale e si avvicina alla definizione senza mai raggiungerla completamente, il suo è un atteggiamento teleologico, in lui c’è la previsione del progetto. La scrittrice parte, invece, da un’iconicità concreta getta le basi per le ulteriori considerazioni, in questo modo articola il flusso narrativo facendo vacillare ogni continuità autoreferenziale, contrapponendo una proposizione capace di asserire e significare uno stato di cose alla descrizione di un processo in corso. Due anime s’intrecciano in questo libro, “spartito” della mostra al Museo Laboratorio, diario di un’elaborazione che, oltre ad essere l’edificio teorico di una prassi operativa, ne è la sua motivazione profonda. Sfruttando l’equivalenza delle parti, critico ed artista, si lanciano in una stimolante concorrenza su piattaforme comuni, luoghi d’incontro intellettuale. L’analisi si svolge per “incursioni” nella storia dell’arte senza mai perdere di vista la specificità del lavoro dell’artista. Simonetta Lux divide in due parti la sua diagnosi dal titolo Il giardino perduto. Il lavoro di Ikeda è una tipica “chiusura dello spazio” in cui si avverte sia l’intenso legame con la cultura d’origine, il Giappone, sia il rapporto continuo con la condizione spaziale occidentale, in particolare quella urbana, di cui traccia delle resezioni significanti, degli spazi teatrali vuoti quasi a indicare la messa in scena del nulla, un diastema atto ad accogliere una vitalità ritualizzata dall’arte che, in tal caso, sottrae il pubblico alla “dimenticanza, all’inerzia, alla smemoratezza”. Nella seconda parte dell’analisi Simonetta Lux si sofferma sui dipinti dell’artista, ne intuisce lo spostamento del punto di fuga al di fuori del quadro creando, così, uno sbilanciamento della “scatola prospettica” che fa scattare lo sguardo oltre i confini del pannello.
Emanuela Termine