Con questo lavoro focalizzato sui rapporti di forza fra mondo della produzione e mondo del lavoro, fra contrattualità aperta e capacità individuale, Mauro Folci rende visibile con uno sguardo “reale” le dinamiche socio-economiche del sistema culturale del tardo liberismo e gli effetti causati dalla società del terziario avanzato sulla percezione della forza lavoro.
Una parte del progetto sarà inoltre ospitato presso la Associazione Culturale Rialtoccupato con l’esposizione, sempre il 5 dicembre a partire dalle ore 21,30, di Lavoro Morto, Ghost Buster e Sciopero, sempre per la serie dedicata alla Fiat di Melfi ed alla produzione nel tempo del postmoderno liberista.
Effetto Kanban è prodotta grazie al sostegno della Regione Lazio per il programma di ricerca “Applicazione nuove tecnologie multimediali arte contemporanea”. La mostra è realizzata nella programmazione del Museo in coordinamento con i Nuovi Corsi di Storia dell’Arte Contemporanea e di Curatore d’Eventi Culturali e fa parte della programmazione “Laboratorio” realizzata nell’ambito del Dottorato di Ricerca “Arte di Confine”, e dei relativi corsi sperimentali di Stage/Master in Cura Critica ed Installazione Museale, voluti dal direttore del Museo Simonetta Lux e realizzati del curatore del MLAC Domenico Scudero.
Inaugurazione 5 dicembre 2002, ore 18,30.
La mostra resterà aperta dal 5 al 27 dicembre 2002. Dalle 10 alle 20
Nota alla mostra Effetto Kanban di Mauro Folci
testo di Domenico Scudero
Effetto Kanban si presentava già nel suo progetto alquanto difficile ed intensa. Ho reputato comunque necessario realizzare questa mostra che nel suo procedere integrava e analizzava criticamente le relazioni fra mercato e metodologia del lavoro, poiché l’argomento interessa da vicino molte persone soprattutto in ambiti intellettuali dove le nuove prassi di coinvolgimento lavorativo sono spesso assimilabili al sistema del nuovo precariato – lavoro interinale e/o contrattazione separata Co.Co.Co. – in cui le specificità gerarchiche del sistema di produzione sono esasperate dalla provvisorietà di tali nuove procedure.
Il progetto prevedeva quindi l’esposizione di cinque grandi striscioni pubblici negli spazi interni della Città Universitaria e una performance lavorativa rinchiusa fra paratie provvisorie ritratta in tempo reale da un sistema di ripresa a circuito chiuso. Gli striscioni recanti la scritta Kadavergehorsam dovevano rimanere esposti sulle pareti esterne del Rettorato, sul colonnato d’ingresso di Piazzale Aldo Moro, sulla ringhiera della terrazza esterna al Museo Laboratorio e davanti il museo di Arte Classica. Il giorno precedente l’inaugurazione, tuttavia, quando la più ampia mole di lavoro era già stata realizzata, nonostante la mostra sia stata preparata seguendo la consueta prassi burocratica prevista per simili occasioni – permessi controfirmati dal Rettore previo controllo dell’Ufficio Tecnico d’Ateneo, consegna di fotomontaggi atti a descrivere la presentazione del progetto – un ordine di requisizione degli striscioni veniva emesso dalla segreteria del Rettorato lasciando intatta solo la parte performativa e museale della mostra. Ad una settimana dall’inaugurazione, dopo aver assistito all’indifferente noncuranza degli organi d’informazione e al freddo distacco del corpo docente e amministrativo dell’Università per i fatti accaduti, Mauro Folci ha ritenuto di dover ritirare il suo lavoro per preparare ulteriori mosse per documentare questa vicenda.
La mostra si offre naturalmente a svariate letture non ultima quella sulle condizioni reali della comunicazione sull’arte contemporanea, sulla reale libertà d’espressione, sul reale interesse nutrito nei confronti di questa disciplina dalle cosiddette “riviste di settore” sempre attente a trascrivere pedissequamente quanto accade su commissione nel circuito delle gallerie di mercato e cieche per ciò che non arreca immediato interesse economico; ci ricorda inoltre, brutalmente, le origini stesse di quella “obbedienza cadaverica” che era tema fondante della mostra e che, come in un asfittico replay metalinguistico, ci viene dimostrata “in fieri” nelle azioni e nella grigia atmosfera che fa da contorno a questo incredibile avvenimento che reputo comunque, per l’ambito dell’arte contemporanea, storico e testimoniale di un’epoca.
Ritengo mio onere, in qualità di curatore della mostra e del museo stesso, esporre pubblicamente il mio specifico punto di vista sui fatti accaduti e dichiarare la mia persistente convinzione ad aver realizzato un evento di portata storica per il suo contenuto sociale e politico qui inequivocabilmente sottoscritto.
Le foto pubblicate documentano l’affissione degli striscioni prima del sequestro censorio, alcune fasi della performance lavorativa e lo spazio interno del museo trasformato in guardiola di controllo.
Roma, 16 dicembre 2002.