Alexander Borovsky nasce a Leningrado nel 1952 dove nel ‘75 si diploma presso l’Accademia di pittura e scultura, laureandosi pure in Storia e Teoria dell’Arte. Dal 1985 è curatore capo al Museo Statale Russo della città. Ha curato molti allestimenti sia in patria che all’estero, tra i quali il progetto The Ludwig Museum at the Russian Museum (installazioni e video art) e varie esposizioni con temi riguardanti l’arte del xx secolo, dal modernismo alla contemporaneità.

Alexandr Borovsky, Siluety Sovremennykh Khudozhnikov (Silhouettes di artisti contemporanei), Ivan Limbakh, San Pietroburgo 2003.

L’ultima pubblicazione di Aleksandr Borovsky, critico d’arte al Museo Russo di San Pietroburgo, offre al lettore una grande mole di materiale concernente artisti contemporanei, in particolar modo russi, ripercorrendo molte delle tappe toccate dall’autore nella propria esperienza professionale di curatore.
Si tratta dunque di un volume che in ben quaranta articoli propone una serie di riflessioni sull’opera ma anche sulla personalità di artisti, osservati sotto un’ottica che punta a individuarne piuttosto le particolari identità, al di fuori cioè di categorie interpretative scolastiche che talvolta rischiano con il proprio sistema paradigmatico di escludere la soggettività, elemento invece fondamentale della creazione artistica anche quando negato. La soggettività è dunque fortemente sottolineata nella breve ma condensata introduzione al volume, intitolato non casualmente Silouhettes di artisti contemporanei, e ciò è ancor più significativo se si pensa alla scuola critica d’arte sovietica dove questa, insieme all’individualismo, è stata ritenuta a lungo pericolosamente borghese e deviante rispetto a una concezione dell’arte che doveva essere prodotta da figli della collettività per la collettività stessa. L’autore comunque nella sua introduzione si sofferma piuttosto sulle motivazioni alla base della scelta della forma narrativa a mosaico per il volume (pp.6-7), determinata in primo luogo dalla propria identità di uomo di museo e curatore di allestimenti, con una particolare tendenza a ricercare i tratti salienti delle personalità di artisti nel confrontandoli gli uni con gli altri.
Nati quindi in un simile contesto e nell’ambito di queste considerazioni, gli articoli che stanno a formare il volume, nell’affrontare l’arte in Russia in alcuni casi portano dei titoli interessanti e significativamente collegati alla cultura patria. Così il concettualista Prigov è diventato il “demone non meschino” (il riferimento è a un noto romanzo simbolista intitolato il demone meschino), mentre altri saggi sono dedicati al “Gavrilik nazionale”, o all’orgoglio nazionale dei grandi russi o al ‘”segreto della barba”(elemento, quest’ultimo, di notevole valore segnino nel paese del monachesimo “barbuto” e di Pietro il Grande, il quale modernizzò la Russia anche tagliando la barba ai suoi bojardi).
E dunque, in questa organizzazione testuale di tipo tradizionale (il rimando in particolare è alle miscellanee di profili di artisti dell’inizio del secolo XX) del testo critico, cui d’altra parte l’autore stesso sottolinea di far riferimento, trova poco spazio il post–moderno come riferimento critico, mentre la storia dell’arte russa nei suoi richiami intertestuali–concettuali viene così rappresentata da un mosaico le cui tessere sono costituite dai singoli saggi, parti di un disegno comune.
Le fratture, le contestazioni e le innovazioni quindi in questo libro di Borovsky sembrano soccombere davanti alla tradizione russa, connotata come sempre dal proprio spirito autarchico e apparentemente chiusa all’esterno.