La mostra è visibile dal 14 ottobre al 10 novembre
Galleria Sala 1, P.zza di Porta S. Giovanni, 10, 00185 Roma
Tel. 067008691
Fax 067008691
salano@salauno.com
In contemporanea proiezione di film di autori cinesi
presso la Casa Internazionale delle Donne
via della Lungara 19, 00165 Roma
Per il programma consultare il sito della galleria Sala 1


Bibliogafia di riferimento:
GuangYIN. Tempi di DONNE, a cura di Monica Piccioni, con testi di Li Xianting e Liao Wen, Edizioni Sala 1 e OffiCina ltd, 2004
Monica Piccioni, At Real Time, nuove prospettive per l’arte contemporanea cinese in patria e all’estero, in «Quaderno n. 4. Camera di Commercio Italiana in Cina», Dicembre 2003, pp. 17-25
Out of the red, con testi di Eleonora Battiston, Francesca Jordan, Shu Yang, Damiani Editore, 2003
Out of the red, a cura di Primo Marella e Francesca Jordan, Spazio Consolo, febbraio-marzo 2003, Edizioni Marella Arte Contemporanea, Milano 2003
Francesca Jordan, Sulle strade di Pechino, in «Flash Art», n. 242, Milano, ottobre-novembre 2003, pp. 69-71
Francesca dal Lago, Il realismo critico della giovane arte cinese, in Biennale di Venezia, 2003, a cura di Achille Bonito Oliva, p. 538
Li Xianting, L’ultima avanguardia cinese, in Biennale di Venezia, 2003, a cura di Achille Bonito Oliva, pp. 538-541

Oriente vs occidente. La forza espansiva economica e culturale dell’Est del mondo sembra destinata a ribaltare la corsa a senso unico della Storia. Le forme dell’incontro/scontro con le culture orientali si arricchiscono di nuovi canali di trasmissione, tra i quali l’arte sta guadagnando un posto di primo piano. Se è pur vero che rimangono difficoltà insormontabili nella reciproca comprensione di due concezioni del mondo decisamente opposte, la progressiva condivisione di linguaggi e strumenti non potrà che favorire una pacifica penetrazione di nuovi punti di vista nel monolitico sistema culturale dell’Occidente.
In Cina, dopo la chiusura del post-Tienanmen, il rapporto tra la politica e l’arte contemporanea sta lentamente avviandosi a un disgelo, profilando nuove possibilità di sviluppo. Una maggiore autonomia rispetto alle influenze occidentali ha guidato gli artisti alla definizione di un’identità più originale. Lo status dell’artista cinese è ancora tale da non consentirgli vita facile in patria, soprattutto laddove non scelga di accettare passivamente il compromesso con le direttive dell’autorità. La censura è tuttora uno strumento pesantemente impiegato in Cina, soprattutto verso forme artistiche considerate sovversive, come la performance. Ma anche l’arte è destinata a confluire nel nuovo sistema di mercato: attualmente è stata oggetto di sempre maggiori attenzioni e numerose iniziative del governo mirano oggi a inserire la ricerca contemporanea nel progetto di espansione economica e culturale della Cina. Mentre le attività dei privati aumentano e contribuiscono a una diffusione di massa della nuova arte, gli spazi pubblici rinnovano la propria immagine e ampliano l’offerta culturale.
Prendendo atto di questo risveglio, l’Europa ha moltiplicato le iniziative volte a creare un terreno di incontro e scambio con l’universo orientale. Tra le altre, L’annee de la Chine in Francia, fra l’ottobre 2003 e l’estate 2004, ha previsto esposizioni d’arte nelle maggiori città, come Alors, la Chine al Centre Pompidou di Parigi e Le moine et le démonArt contemporain chinois al Museo d’Arte Contemporanea di Lione.
Negli ultimi dieci anni anche l’Italia ha rivolto una crescente attenzione all’arte cinese. Lo documentano le numerose presenze di artisti cinesi nelle edizioni della Biennale di Venezia, dall’esordio del 1993 al Leone d’Oro per Cai Guoqiang nel 1999, fino al primo padiglione completamente dedicato alla Cina nel 2003, poi chiuso in seguito al caso SARS. Il 2003 è stato un anno particolarmente ricco di manifestazioni legate alla Cina. Out of the red, realizzata presso lo Spazio Consolo a Milano e curata da Primo Marella e Francesca Jordan; Chinart al Macro di Roma, curata da Walter Smerling; la grande retrospettiva che il PAC di Milano ha dedicato a Chen Zhen. Il quadro che ne emerge è ancora confuso, ma è chiara la nuova coscienza degli artisti: prendendo atto del processo di modernizzazione del paese, la loro produzione ha inglobato i nuovi linguaggi, contemporaneamente affermando la necessità di venire a patti con una tradizione persistente e permeante. L’attitudine all’invenzione ironica e fantastica, col suo carico di colorate iconografie assurde e spiazzanti, convive con una vena più riflessiva ed esistenziale. L’arte contemporanea cinese si dimostra altamente matura, ormai aggiornata nell’uso dei linguaggi contemporanei e consapevolmente abile nel manipolare gli stessi metodi operativi dell’arte occidentale.
Frequente è il prelievo e l’impiego di immagini popolari e simboli del socialismo cinese, secondo una corrente definibile come pop politico. Nei quadri di Shi Xinning, esposti a Out of the red, Chairman Mao è immortalato in situazioni improbabili a fianco di famosi personaggi dello star-system occidentale. Gli artisti si interrogano sulle ragioni e l’opportunità della sopravvivenza di un sistema politico e sociale in via di sgretolamento, che arretra di fronte alla onnipervasiva way of life occidentale, con capitalismo consumistico al seguito. Accanto alla riflessione politica è possibile rilevare una diversa tendenza, già definita poi, “realismo cinico”, dal critico Li Xianting, emersa in ambito pittorico ma applicabile più in generale a una produzione artistica che incarna un atteggiamento cinico e spregiudicato. Tipica della generazione dei nati negli anni ’60, questa visione si ispira al banale dell’esistenza quotidiana e all’assurdo panorama di materiali e oggetti del mondo contemporaneo, esasperando la proliferazione barocca di un immaginario distorto e surreale.
Nel panorama delle esposizioni dedicate alla Cina, GuangYIN si presenta come una coraggiosa indagine che tenta di individuare una linea di ricerca più introversa e riflessiva. Già presentata a Viterbo nel marzo 2003, l’esposizione approda alla Sala 1 di Roma, per la cura di Monica Piccioni e di OffiCina ltd., con il coordinamento di Antonella Pisilli.GuangYIN offre un punto di vista critico ben definito, orientato a una selezione di artisti legati da assonanze e affinità: uno scandaglio nel sentire più intimo e nelle esperienze vissute nel proprio ambiente familiare, dove anche l’immagine del paesaggio urbano è trasposta nel ricordo personale. Una messa a fuoco sulla sfera privata che indirettamente rivela un più complesso ritratto sociale della Cina attuale: il rapporto fra individuo e storia del paese, i retaggi culturali e lo scontro con una diversa concezione del proprio corpo e della propria identità, la proiezione della memoria personale nel panorama metropolitano e il disagio dell’essere umano alle prese con la straniante vita contemporanea.
Tutti gli artisti selezionati impiegano la fotografia o il video, due media che solo nell’ultimo decennio hanno conosciuto una graduale diffusione in Cina. Impiegata dapprima come mezzo documentativo, dalla seconda metà degli anni Novanta la fotografia si è velocemente trasformata in uno dei principali ambiti espressivi dell’arte contemporanea cinese. Da allora sono state sviluppate le tendenze più varie: dalle foto digitalmente manipolate al ritratto realistico della quotidianità, passando spesso da un confronto con il passato, attraverso l’impiego di filtri formali e compositivi tipici dell’arte tradizionale. Ne sono un chiaro esempio le foto di Wang Qingsong, viste a Chinart e Out of the red. I suoi stranianti tableau vivant, impostati sulla griglia compositiva della tradizione pittorica cinese, sono scene collettive in bilico fra l’antica sospensione spazio-temporale e lo sfavillante kitsch del contemporaneo; ibridi dove l’essere umano in carne e ossa si trasforma in tipo, bloccato nella dimensione astratta degli sfondi neutri e vuoti. Rimane poi assodato l’uso della fotografia come documentazione di una performance (Ma Liuming, Xu Zhen), o come veicolo di operazioni concettuali.
GuangYINTempi di DONNE rivela la nuova identità della donna cinese e le modalità impiegate dalle artiste nell’elaborazione dei conflitti socio-culturali. Il tempo (guangyin), concepito come alternarsi di luce (guang) e ombra (yin), è qui riferito in modo particolare all’universo femminile, che in cinese è espresso dallo stesso carattere yin. La selezione delle opere è stata guidata da una certa spregiudicatezza, grazie a una libertà organizzativa non concessa in eventi più ufficiali e direttamente finanziati dal governo cinese, come è accaduto per Alors la Chine al Centre Pompidou: esemplare il caso della giovane Chen Lingyang, che ha visto in parte censurata la propria attività a vantaggio dei suoi lavori più innocui. Come la serie fotografica 25:00, caratterizzata da una volontà di evasione fantastica, dove l’artista sogna di essere una gigantessa, rannicchiata sul tetto di palazzi e grattacieli nella notte metropolitana. Onirica e suggestiva ma meno incisiva della serie Twelve Flower Months, più intensa, di forte impatto per l’aperta sfida rivolta ai tabù che soprattutto in Cina hanno fortemente condizionato l’identità della donna. La concezione dell’opera – interamente esposta presso Sala 1 – si lega alla cultura tradizionale cinese, che attribuisce una stretta coincidenza fra i ritmi della natura e quelli dell’essere umano: qui la fisiologia femminile è riferita al ciclo annuale dei mesi. Il sesso della stessa artista, fotografato nel periodo del ciclo mestruale, è ritratto in dodici immagini, accostato ai diversi fiori che sbocciano nei dodici mesi dell’anno. Ma il corpo femminile non è direttamente ripreso dall’obiettivo: riflesso in antichi specchi, è incorniciato nelle tipiche forme dell’estetica cinese, le stesse che ritagliano anche i formati delle foto. L’apparente crudezza è così dominata da un rigore formale che conferisce all’immagine un equilibrio compositivo, temperandone l’emotività. Come notano Li Xianting e Liao Wen nei testi in catalogo, Twelve Flower Months non è riducibile a una semplice derivazione dall’attività delle artiste femministe occidentali, ma è piuttosto il frutto di un’elaborazione più profonda e autentica, scaturita da una reinterpretazione attuale e coraggiosa della cultura cinese, alla quale propone un’immagine muliebre più veritiera.
Ancora legata al tema dell’identità femminile è l’installazione di Yin Xiuzhen, già riconosciuta a livello internazionale, presente in Italia in occasione dell’ultima edizione di Artissima. I ritratti fotografici dell’artista nelle diverse fasi della sua esistenza sono riportate sulle solette di dieci paia di scarpe da donna, quelle tradizionali con cinturino, un tipica calzatura che tutte le cinesi nate negli anni Sessanta hanno indossato. Interamente fatte a mano, queste scarpe sono contemporaneamente il simbolo di ciò che la donna è stata nella storia della repubblica cinese e il ricordo, rivissuto con affetto, del rapporto fra Yin Xiuzhen e sua madre. Fabbricando insieme le scarpe presentate nell’installazione, le due donne hanno condiviso gesti e abitudini legati all’universo femminile cinese.
I video di Cui Xiuwen sono spesso analisi indiscrete dei comportamenti femminili nel mondo contemporaneo. InLady’s, 2000 (Out of the red; Visibilità Zero, Castello Colonna di Genazzano) l’occhio indiscreto della videocamera spia i gesti e gli atteggiamenti delle ignare protagoniste, davanti allo specchio della toilette di una discoteca. PerGuangYIN l’artista presenta Toot, breve sequenza in cui da un fondale omogeneo e indefinito emerge un corpo di donna che lentamente si libera dalle bende di carta igienica nelle quali era imprigionata. Impiega il video anche Xing Danwen, nell’installazione multimediale Sleep Walking. Una cassa di stile Ming, qui riprodotta in plexiglas, rappresenta la memoria collettiva e quella personale, in quanto mobilio solitamente usato dalle famiglie come contenitore di abiti e di oggetti. Su di essa sono proiettate le immagini di uno dei due video in mostra, riproducenti diversi luoghi visitati dall’artista e qui rielaborati come ricordo, confusi nella visione onirica che lo accompagna. Wang Ning, nata nel 1974, è una delle artiste più giovani del gruppo. Nel video 1201, la sua prima prova artistica dopo un esordio come attrice, Wang Ning definisce un proprio sofferto autoritratto presentando, con un linguaggio che sovrappone al racconto il monologo interiore, una condizione di incomunicabilità dove il rapporto con l’altro è falsato o impedito.
Infine una nota per i due artisti uomini presenti nell’esposizione, i fotografi Hai Bo e Han Lei. Non stupisce il loro inserimento in questa mostra, per la natura poetica e riflessiva dei loro lavori: foto nelle quali lo sguardo degli autori si carica di profondità temporale e spirituale, dove l’obiettivo cattura lo spessore umano delle donne e degli uomini che appartengono al vissuto quotidiano dei due artisti. Un vissuto che nell’opera di Hai Bo si costituisce nella dialettica fra il passato e il presente della persona ritratta, chiamata a reinterpretare se stessa a distanza di anni.