BIBLIOGRAFIA:
M. Di Capua, Macchinomachia, Accademia del Belgica, Roma,1993
A. Demijttenaere, C. Morosin, Opera Bosco, Edizioni Opera Bosco, Calcata, 2000§

NOTIZIE UTILI:
Notizie utili
Ubicazione: Il Paese di Calcata si trova in provincia di Viterbo sul confine fra quest’ultima e la Provincia di Roma. Per raggiungerla è necessario percorrere la strada statale Cassia fino a raggiungere l’incrocio per Mazzano Romano. Oltrepassare il paese proseguendo per Calcata, costeggiando il paese senza entrarvi. Proseguire per Faleria e girare a destra per il borgo di Calcata nuova.
Attraversare il paese nuovo e all’incrocio evidenziato da una Madonnina girare a destra fino al cimitero. Continuare a seguire la strada che lo costeggia che nel frattempo diverrà sterrata. Proseguire fino a raggiungere a destra l’ingresso del Museo.
Informazioni: Opera Bosco. Museo di arte nella Natura. C.P. n. 5, Località Colle 01030 Calcata
Tel e fax (0039) 0761- 588048

sito internet: www.operabosco.com

Opera Bosco si trova a Calcata, un piccolo borgo che negli anni Sessanta è divenuto meta di artisti ed intellettuali i quali, animati da motivazioni politiche e sociali e progetti di vita collettiva, hanno riscoperto questi luoghi dove, a contatto con la natura, sembrava possibile ritrovare l’espressione più diretta del vivere umano. Qui a Calcata si potevano ancora percepire i segni di quell’equilibrio fra uomo e ambiente che esisteva dai tempi più antichi. I Falisci fondarono il primo insediamento ed i popoli che si avvicendarono nei secoli occuparono quelle stesse alture che ancora oggi sovrastano le forre, scavate nei millenni dallo scorrere del torrente Treja. È possibile ammirare in questa zona una delle tipologie abitative più affascinanti: il paese si erge su uno sperone di tufo che prosegue nelle case e nelle torri le quali sembrano originarsi al suo interno, dimostrando come la sfida fra architettura e natura possa trovare una sintesi, nella quale le relazioni che l’hanno generata divengono dialogo ininterrotto fra passato e presente.

Il bosco fitto, che talvolta corona la sommità delle rupi o ammorbidisce le linee taglienti degli strapiombi rocciosi delle forre, diviene lo scenario-contenitore di questo spazio. Sul crinale sottile della visione, talvolta ambigua, talvolta nitida nella sua concretezza, si muove l’operazione artistica ideata da Anne Demijttenaere e portata avanti con Costantino Morosin, che lavorano a questo progetto dal 1996: un museo insolito realizzato in un bosco, quindi completamente immerso nella natura, dove le opere poste al suo interno, sono eseguite dagli artisti con materiali completamente naturali. Le sculture appaiano mimetizzate dalla vegetazione o indicate solo da segni leggeri nel tessuto arboreo, spesso citando elementi tipici dei giardini o ricreando con materiali trovati una seconda natura che vive parallela alla prima da cui si origina.

Anne Demijttenaere si stabilisce a Calcata nel 1985. Aveva precedentemente vissuto a Roma negli Settanta dove aveva lavorato come attrice con Roberto Rossellini. Nella natura la poetica dell’artista si evolve verso una sintesi dove le varie esperienze trovano spazio: le due polarità sessuali si integrano senza contrasti e vivono scolpite sui massi erratici nelle figure degli amanti uniti per sempre da una linea ondulata, e la critica della città trova integrazione nel sentimento ecologista che anima il progetto. Il fare artistico vi opera infatti con estrema riduzione di mezzi. Non è necessario nulla all’infuori dell’ispirazione, che ricondotta a quel contenitore-contenuto che è il bosco, si esprime usando i materiali trovati sul posto, con un linguaggio poetico estremamente semplificato ma di grande suggestione. Ogni opera è pensata con grande rispetto del genius loci, anzi è esso che rovesciando la situazione sembra divenire dominante.

L’abitazione dell’artista ci accoglie nella parte alta della rupe e diviene porta d’ingresso del parco introducendoci, attraverso un sentiero, che dapprima pianeggiante e luminoso, comincia a scendere e, inoltrandosi nel bosco, diviene sempre più scosceso ed ombroso. Questa discesa simile ad un immersione nella natura, ci obbliga ad abbandonare posizioni certe, come quelle usate una volta per costruire città, e ad accettare una perdita metaforica di sé e delle proprie certezze culturali per entrare a contatto con l’elemento più inquietante che la storia dell’uomo ricordi, la natura caotica nella sua quintessenza: il bosco.

La nostra discesa-immersione diviene quindi viaggio iniziatico nel grembo della natura e mette alla prova le nostre capacità sensoriali le quali, dapprima subiscono il suo assalto, poi reagiscono ad esso entrando in sinergia con l’ambiente. Si percepisce, anche se in modo sfumato, la citazione di giardini d’altri tempi. Come in un parco antico anche qui nel bosco, l’acqua scorre, dapprima lontana nel fondovalle, poi nella Fonte viva, una fontana realizzata con una pianta di salice che la convoglia tramite il tronco sezionato ma vivo con i suoi rami frondosi. Scopriamo inoltre l’esistenza di un teatro a gradoni che qui è utilizzato per seminari di studio ma anche per concerti e rappresentazioni.

Allo stesso modo rimane, lieve, la capacità di incantarci e di sorprenderci ci ricorda lo spaesamento sensoriale che in certi momenti provoca il Sacro Bosco di Bomarzo. Una situazione simile influenzò la scelta di Vicino Orsini quando, lontano dal palazzo sorto sulla cima del colle che domina il borgo, decise di scendere nella valle, per creare nel bosco il giardino più insolito che la storia ricordi. Qui le enormi sculture utilizzavano i massi erratici che la natura gli proponeva in modo casuale sul suo percorso. Anche i due artisti di Opera Bosco utilizzano nello stesso modo le rocce presenti nel bosco fino ad influenzare il percorso del museo stesso.

Tuttavia è stata la visita al Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, che come sappiamo deve molto a quel giardino manierista, che ha fatto nascere in Anna Demijttenaere la volontà di realizzare questa opera. Se il parco di Garavicchio ha influenzato la nascita del museo, dal punto di vista formale i suoi lavori sono molto vicini a quelli di Andy Goldsworthy, il land artist noto per le sue costruzioni effimere consegnate alla memoria grazie al supporto fotografico.

Nell’uso dei materiali alcune realizzazioni sembrano nascere da una simile ispirazione, in realtà le loro poetiche sono ben distinte. Nel Museo Opera Bosco ogni operazione estetica prevede una durata che è in stretta relazione con la trasformazione nel tempo che, assimilando le opere al contesto naturale, potrebbe farcele considerare eterne, nella loro incessante trasformazione.
Una situazione intermedia che se da un lato rifiuta l’idea dell’opera perenne, ne respinge tuttavia l’abbandono e la distruzione. Il risultato sarebbe la perdita del messaggio, che deriva dalla presenza come flusso comunicativo dato esclusivamente dalla partecipazione agli eventi naturali.

In questo museo macrocosmo e microcosmo sono opere in fieri e noi, attori e registi sullo scenario naturale, finiamo inclusi in questo processo temporale ed estetico, fino a quando, perduti e ritrovati, riprendiamo la strada in salita e siamo consapevoli che Opera Bosco ci ha insegnato qualcosa di importante.

La sfida perenne fra uomo e natura, non può risolversi nell’isolare da quella una parte ordinata e fuori dal tempo realizzandovi un giardino, ma oggi richiede la volontà del confronto e qui in modo umile, interpretando quei segni leggeri, è stato possibile attraverso un esperienza estetica, sentirsi partecipi di quell’ordine immenso e sconosciuto.

Nel Museo Opera Bosco hanno realizzato degli interventi i seguenti artisti:
Anne Demijttenaere e Costantino Morosin, Giuseppe Canali, Roberto Carbone, Francesco Costantino, Lucilla Frangini-Ballerini, Monica Meyer, Dario Perri, Luigi Serafini, Natalia Van Ravenstein.

Dall’alto:

Anne Demijttenaere, Porta, Opera Bosco, Calcata

Anne Demijttenaere, Serpente, Opera Bosco, Calcata

C. Morosin, Stanza naturale, Opera Bosco, Calcata